Russia: una blokadnika contro Putin

Incontro con Federico Varese
Riesco a parlare con Ludmila Nikolaevna Vasilyeva il 5 marzo, dopo diversi tentativi andati a vuoto. La mia interlocutrice è ormai una veterana delle proteste di questi giorni a San Pietroburgo ed è stata arrestata due volte, il 24 e il 27 febbraio. Per un verso quindi è solo una delle quasi quindicimila persone fermate dalla polizia dall’inizio della ‘operazione speciale’ in Ucraina (per i dati aggiornati, vedi il sito OVD.info). Per un altro, il suo gesto ha avuto una risonanza senza precedenti in Russia e nel mondo. Nelle prime parole che pronuncia nella nostra conversazione telefonica spiega: “Sono una pensionata di ottant’anni e ho vissuto tutta la mia vita a San Pietroburgo. Quindi, sì, sono una blokadnika”. Questa è l’espressione russa usata per riferirsi ai sopravvissuti dell’assedio di Leningrado da parte dei nazisti. Lo stesso Putin ricorda spesso Vitya, il suo fratellino di due anni, che morì durante l’assedio. I sopravvissuti al blocco occupano un posto speciale nell’immaginario collettivo dell’Urss e in quello costruito dal regime di oggi, sono l’anello nella catena ideale che lega la resistenza antinazista alla guerra di oggi in Ucraina. Il culto della Seconda guerra mondiale (Pobedobesiye) è diventato un strumento per legittimare l’ideologia etno-nazionalista del regime. La Russia è per definizione anti-nazista — perché ha vinto la Seconda guerra mondiale — quindi le minoranze o le nazioni che le resistono sono per definizione naziste. Per dimostare il proprio antifascismo la minoranza deve semplicemente accetare la superiorità dell’etnia russa e piegarsi al volere del Cremlino. Ma Ludmila si ribella: not in my name, potrebbe dire. Come è venuta a sapere dell’invasione? “I miei due gatti mi hanno svegliato la mattina del 24, come tutti giorni. Vivo da sola in un appartamento di tre stanze, mentre mio figlio è emigrato in Germania con la sua famiglia. Accendo Dozhd’ (“pioggia”, il canale indipendente adesso messo al bando) e sento che abbiamo invaso l’Ucraina. Sono incredula. La pressione mi sale a 200. Telefono a mio figlio e mi faccio dire dove posso andare a protestare. Quando arrivo di fronte ai grandi magazzini del Gostiny Dvor sulla Prospettiva Nevsky vedo delle ragazze con dei cartelli, ma non fanno in tempo ad alzarli che vengono arrestate. Allora li raccolgo e mi metto a urlare, “No alla Guerra!” Io amo la mia città, amo il mio paese, non potevo tacere.” La protesta di Ludmila dura circa un minuto, poi viene caricata anche lei nel furgone della polizia, dove ritrova le ragazze. Data la sua età viene trattata con un certo tatto, ma lo stesso non accade ai giovani, che vengono malmenati brutalmente, mi dice. “Avranno avuto dai 14 ai 21 anni. Quei giovani mi hanno fatto ringiovanire, mi hanno dato una grande energia. Durante il tragitto abbiamo continuato a urlare slogan contro la guerra nella speranza che qualcuno ci potesse sentire. Loro hanno cantato una canzone di Boris Grebenshchikov (il cantante del gruppo rock alternativo Aquarium). Io invece ho recitato una poesia della mia giovinezza, del periodo del disgelo, scritta da Viktor Bokov. Si intitola Dove inizia la Russia”. Ho ritrovato il testo e questa è la mia traduzione approssimativa:
Dove inizia la Russia?
Dalle Curili? Dalla Kamchatka? O dalle isole del Commodoro?
Perché sono tristi gli occhi di steppa
Che sorgono dal canneto di tutti i suoi laghi?
La Russia inizia con la passione
Il lavoro
La pazienza
La verità
La gentilezza.
Ecco dove sta la sua stella, che è bellissima!
Brucia e brilla nel buio.
Da qui tutte le sue grandi opere,
Il suo destino unico.
E se ne sei parte –
La Russia
Non inizia sui monti, ma dentro di te!
Contro le farneticazioni della geopolitica, Bokov rivendica un nazionalismo dell’anima, interiore e pacifico. Finito il viaggio verso la periferia, Ludmila viene messa in stato di fermo. Cerca di spiegare alla polizia che il diritto di protestare in maniera pacifica è sancito dalla Costituzione. Glielo urla in faccia, quasi disperata. Quando si rendono conto che è una blokadnika capiscono che il suo arresto può rivelarsi un boomerang, la vogliono rilasciare immediatamente e si offrono di accompagnarla a casa senza registrare il reato. Lei dapprima rifiuta, ma i ragazzi insistono e alla fine accetta. Ludmila è diretta, materna, senza freni. Quando i poliziotti tornano a farle visita in abiti civili la sera stessa, li fa accomodare e gli offre il tè. Passano un paio d’ore a guardare i vecchi album di famiglia. “Gli ho chiesto se vogliono che i loro figli crescano in un paese come questo. Hanno abbassato gli occhi.” Per un attimo, quello che unisce gli esseri umani — la famiglia, i figli, i ricordi, il futuro del paese che si ama — ha avuto la meglio sulla logica del potere. Ludmila è tornata a protestare il 27 febbraio ed è stata arrestata di nuovo, questa volta insieme alla nipote Alisa, che adesso rischia di essere licenziata. “Sono ottimista sul futuro di questo paese quando vedo i ragazzi che protestano, ma temo che se ne andranno tutti.” La nostra conversazione non è facile: a volte Ludmila è disperata, piange, urla “no alla guerra”, sembra voler convincere anche me. Ma presto ritorna la sua innata gentilezza, quel valore cantato nella poesia di Viktor Bokov: mi invita a farle visita quando passo per San Pietroburgo, “ho una stanza per gli ospiti, e vivo sola…” La nostra conversazione volge al termine: “Adesso — mi dice — vado. Devo discutere con mia nipote cosa fare dei miei gatti se veniamo entrambe arrestate. Chi darà loro da mangiare? Ci serve una strategia.” La voglio ricordare così: la sopravvissuta all’assedio di Leningrado che in una camionetta della polizia recita una poesia, una preghiera laica che per un attimo ha unito le generazioni e fermato le menzogne della propaganda.
Il 12 marzo mi rimetto in contatto con Ludmila. Le chiedo come si sente e se vi sono aggiornamenti degni di nota. La nipote, come si temeva, è stata licenziata e sta per raggiungere il padre in Germania. Ludmila invece non ha intenzione di lasciare San Pietroburgo: “Questa è la mia città, qui sono seppelliti i miei genitori e vivono i miei gatti, non posso lasciarli soli?” Come immaginavo, è stata arrestata una terza volta. Ieri sera (11 marzo) i poliziotti le hanno fatto visita per farle firmare un documento in cui dichiarava di essere a conoscenza delle sue responsabilità. Decisa sino all’ultimo, si è rifiutata, tanto che gli agenti si sono lamentati poiché temono di essere licenziati se non tornano con le carte firmate. “Ho detto a quei ragazzi: dimettetevi subito! Non aspettate un altro minuto.” Prima di congedarli, li ha abbracciati. Forse per l’ultima volta. La stella della Russia brucia e brilla nel buio.
Nota: alcune sezioni di questo testo appariranno in forma leggermente diversa in “Repubblica” e “The Times Literary Supplement”.
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