Ricordare Furio Jesi

La tesi di fondo che anima Cultura di destra – l’ultimo libro scritto da Furio Jesi nel 1979, un anno prima di morire a soli 39 anni – è destabilizzante. Già, perché se davvero, come sostiene Jesi, l’eredità della destra e del fascismo italiano risiede ancora oggi, profondamente e pressoché inavvertitamente, nella nostra cultura popolare (anche e soprattutto a “sinistra”!), se la “mutazione antropologica” dell’età dei consumi di massa evocata da Pasolini può dirsi oggi definitivamente compiuta, allora anche solo l’atto di scrivere questo articolo pone non pochi problemi. “Non solo chi fa coincidere la propria impresa spirituale con lo squadrismo dei legionari, ma anche l’esponente dell’umanesimo borghese nella forma più alta e mai triviale” scrive Andrea Cavalletti nella prefazione al volume ripubblicato da Nottetempo nel 2011 “si situa in una posizione quanto meno ambigua. Ammettendo in questo tempo storico la possibilità di un rapporto esclusivo con la genuinità del mito, egli afferma la verità della vita e del tempo entro l’orizzonte del potere dominante. Altri, certo, sono i suoi gesti, e le sue parole ben misurate. Ma proprio la maschera del saggio, umanista e pedagogo, si presta all’azione di quel meccanismo scenico che allude al mito nel vuoto della storia e produce la storia dal vuoto intangibile del mito”.
La furia destrutturante di Jesi, liberata dall’identificazione della macchina mitologica che agisce in maniera occulta, si abbatte in primis sul suo maestro Károly Kerényi, il grande studioso ungherese con il quale rompe dopo il ’68 (il carteggio tra loro ha inizio nel ’64, quando Jesi ha appena 23 anni). Scrive Jesi a questo proposito, muovendo il suo attacco eminentemente politico: “È, questa, la tentazione maggiore per il mitologo moderno: credere alla macchina che produce mitologia – alla macchina mitologica – e dedicarsi appassionatamente a conoscere e a collezionare i prodotti di quella macchina. I materiali mitologici divengono cosi oggetti, oggetti veri, poiché dal loro essere oggetti traggono la loro sostanza reale. I libri che Don Chisciotte comperava dilapidando il suo patrimonio erano l’esatto opposto dei libri collezionati dal professor Kien (il protagonista di Auto da fé di Elias Canetti, ndr), dei miti collezionati dai mitologi che fanno murare le finestre. Vendendo campi da semina per comperare romanzi, Don Chisciotte rifiutava gli oggetti per ampliare la propria coscienza. Collezionando libri o miti in biblioteche dalle finestre murate, bibliofili e mitologi scelgono di stringere i confini della propria coscienza, per poterla arredare di oggetti”.
In questo lungo tempo, quarant’anni adesso, che ci separa dalla scomparsa di una figura così unica e folgorante come quella di Furio Jesi, crediamo sia necessario sollevare le sue domande come se fossero poste oggi. Perché in qualche modo proprio oggi, in questo momento di disorientamento, di incontrollabile accelerazione tecnica da un lato e di reazione reazionaria – populista dall’altro, a confronto con la più ancestrale delle paure, quella del virus originato dal rapporto malato che abbiamo con l’ecosistema, le sue domande acquistano un valore inedito. Come iniziare a sondare i presupposti della nostra visione ideologica? Come non ricadere nel culto della morte e del sacrificio a cui ci spinge la fede nelle “idee senza parole”? Come essere certi di poter parlare, proprio ora e qui, avendo sufficientemente indagato il retroterra mitologico dal quale emergono le nostre convinzioni, i nostri simboli, le nostre parole d’ordine, in modo tale da tentare di evocare un punto di vista alternativo e realmente contrapposto al discorso che affermiamo di combattere?
Nel nostro inquieto presente, le parole di Furio Jesi hanno la capacità di illuminare una prospettiva ancora tutta da esplorare. La scelta di un estratto dalla sua monumentale produzione ricade così su una particolare “auto-intervista” intitolata Quando Kerényi mi distrasse da Jung, uscita postuma. Un vero e proprio autoritratto elaborato poco tempo prima di scomparire, che racconta con poche parole l’itinerario di una vita intera votata alla ricerca.