Raccontare il mondo: I comitati di resistenza in Sudan
Il 15 aprile 2023, in una caldissima mattina di fine Ramadan, a pochi giorni dall’Eid, tutto è precipitato. E le tensioni che da tempo maturavano sotto traccia tra l’esercito nazionale sudanese (Sudan Armed Forces, SAF) e la milizia paramilitare guidata dal generale darfuriano Mohammed Hamdan Dagalo, detto Hemedti, le Rapid Support Forces (RSF), sono sfociate in un violento conflitto nel cuore della capitale Khartoum, a pochi passi dal quartier generale dell’esercito e dalle ambasciate straniere.
E così una città fino al giorno prima tranquilla e sicura si è trasformata in pochi minuti in un terreno di scontro violento, combattuto per le strade di Khartoum e delle sue due città gemelle, Omdurman e Khartoum Nord/Bahri, tutte affacciate sulla confluenza tra Nilo Bianco e Nilo Azzurro.
In molti, anche nella comunità internazionale, speravano di essere riusciti a scongiurare il peggio. In fondo SAF e RSF avevano governato assieme dalla deposizione del trentennale dittatore Omar al-Bashir l’11 aprile 2019, dopo essere stati per molti anni parte essenziale dell’architettura di sicurezza del regime. Insieme avevano cercato di tenere il potere, insieme avevano negoziato e poi aperto a una coabitazione con i partiti civili e le personalità espressione della società civile che aveva guidato la rivoluzione iniziata a fine 2018. Insieme, infine, avevano posto fine a quella stessa coabitazione con un colpo di Stato nell’ottobre 2021. Rimasti da soli al comando, e di fronte alla mobilitazione e alle proteste della popolazione che non si era arresa ed era tornata nelle strade, nonostante la repressione, le divergenze e la competizione hanno iniziato a emergere in modo più netto. Soprattutto dopo che, a seguito di un processo di dialogo facilitato da Nazioni Unite, Unione Africana e IGAD, l’organizzazione regionale del Corno d’Africa, a inizio dicembre 2022 era stato firmato un accordo-quadro con i civili che doveva servire a fare ripartire la transizione democratica.
In un anno, i combattimenti hanno portato alla distruzione della capitale e all’estensione del conflitto in Darfur, nella regione del Kordofan e in diverse altre aree del Paese. Ha anche causato una crisi umanitaria tra le peggiori al mondo. 25 milioni di persone, poco meno della metà dell’intera popolazione italiana, dipendono dagli aiuti umanitari. 8 milioni sono quelli che hanno lasciato le loro case, tra sfollati interni e rifugiati nei paesi limitrofi. Almeno 4.5 milioni, che potrebbero diventare 7 entro giugno, sono a rischio di morte per fame.
Mentre si combattono tra loro per il controllo di città e regioni e per il potere nel Paese, i due schieramenti, che includono anche altri gruppi armati da entrambi i lati, hanno però un obiettivo comune: prendere di mira e fiaccare quanto più possibile quel movimento composito, spontaneo e democratico, molto spesso anche cacofonico, fatto di giovani, di donne, di persone di estrazione sociale e politica diverse che è stato il motore della rivoluzione sudanese. (Irene Panozzo)
I Comitati di resistenza, talvolta noti come “Comitati di quartiere”, sono nati durante le mobilitazioni di massa del 2013 contro la dittatura di Omar al-Bachir. Riunendo cittadinǝ di ogni età e provenienza sociale, questi gruppi auto-organizzati per quartiere hanno messo in atto forme di solidarietà a livello locale di fronte alle inefficienze dello Stato sudanese, organizzando un’autodifesa civile contro la repressione e mobilitando la popolazione durante le manifestazioni. In occasione della rivoluzione del 2018, che ha portato alla caduta del dittatore Omar al-Bachir, e delle mobilitazioni contro il colpo di stato militare nel 2021, i Comitati di resistenza sono diventati i protagonisti delle manifestazioni sudanesi. Rappresentano la vera voce della rivoluzione, capaci di mobilitare milioni di persone, a differenza dei partiti politici civili (come le Forze per la Libertà e il Cambiamento, FFC) al centro dell’attenzione dei media internazionali ma ampiamente screditati tra il popolo sudanese. I Comitati di resistenza si organizzano dal basso, a livello locale, e si coordinano a livello metropolitano o regionale. Il loro modo di organizzarsi decentralizzato, senza portavoce né leader, consente loro di rappresentare in modo equo l’intero territorio sudanese e garantisce il funzionamento democratico del movimento rivoluzionario. (di Sudfa Media).
Manifestazioni contro la guerra, solidarietà locale e informazione sul campo
Lo scoppio della guerra in Sudan il 15 aprile 2023 ha causato uno shock in tutto il paese, sconvolgendo l’attività dei Comitati di resistenza. Durante le prime settime di guerra, la fuga massiccia delle e dei sudanesi verso le zone risparmiate dal conflitto o all’estero, ha generato una confusione che ha reso difficile l’organizzazione collettiva. Il terrore provocato dai bombardamenti e dagli scontri armati, che ha costretto le persone a rimanere chiuse all’interno delle proprie case, ha portato ad un brusco arresto delle mobilitazioni, così come i continui blackout hanno impedito le comunicazioni.
Tuttavia, nelle regioni risparmiate dai combattimenti, i Comitati di resistenza di Port Sudan, Wad Madani e Kassala hanno rapidamente organizzato manifestazioni di protesta contro la guerra, esprimendo la propria opposizione sia nei confronti dell’esercito sudanese, che ha impedito la rivoluzione civile con un colpo di stato e ha commesso crimini di massa reprimendo le mobilitazioni, sia nei confronti della milizia RSF (Rapid Support Forces), colpevole di genocidio. In queste occasioni hanno reclamato la pace immediata e un governo civile integrale per proseguire la costruzione democratica voluta dal popolo sudanese.
Nelle città al centro degli scontri, i Comitati hanno partecipato al movimento di solidarietà spontaneo che si è creato tra lǝ abitanti, cercando di ricostruire le città, gli ospedali e le scuole dopo i bombardamenti, di ripulire le strade, di fornire aiuto alle persone maggiormente in difficoltà. Nella grande Karthoum hanno anche costruito delle barricate per impedire alle RSF di entrare nei quartieri, saccheggiare le case, uccidere e fare violenza contro lǝ abitanti, nonché installare basi militari nelle case vuote.
Nelle zone di combattimento, i Comitati di resistenza svolgono un prezioso lavoro di raccolta delle informazioni sul campo. Questo lavoro permette di contrastare la propaganda dell’esercito e delle RSF, allertando i media internazionali circa le violazioni dei diritti umani commesse dalle due forze armate che le negano sistematicamente: massacri, stupri di donne, arresti di massa contro presuntǝ oppositrici e oppositori… In particolare, in occasione della presa della città di Wad Madani nel dicembre 2023 da parte delle RSF, che ufficialmente dichiaravano di non aver commesso violenze contro la popolazione, si sono battuti contro questa propaganda denunciando gli abusi commessi e informando tramite i social network di quanto avveniva nella realtà. Sono stati i primi a denunciare il genocidio ad Al Geneina, iniziato nel maggio 2023. Hanno inoltre dimostrato come in molte città, sia stato il ritiro dell’esercito e il suo rifiuto a proteggere la cittadinanza ad aver permesso alle RSF di massacrare la popolazione, accusando entrambe le parti di essere responsabili della morte di civili.
Una violenta campagna di repressione e disinformazione
In tutto il paese, i Comitati di resistenza sono bersaglio di una campagna di repressione e disinformazione ad opera delle due forze armate. L’esercito sudanese li accusa di collaborare con le Rapid Support Forces (RSF), che a loro volta li accusano di collaborare con l’esercito sudanese. Queste false accuse, costantemente smentite dai Comitati di resistenza nei loro comunicati, li mettono in una posizione delicata, stretti tra due forze in conflitto. Questi attacchi mirano ad attaccare la loro credibilità presso la popolazione civile.
Questo discorso permette anche alle forze armate di giustificare la feroce repressione in atto contro lǝ attivistǝ dei Comitati di resistenza. Ogni settimana, i Comitati di diverse città pubblicano avvisi di sparizione o appelli per il rilascio dei loro membri detenuti dall’esercito o dall’RSF. Ad esempio, l’8 novembre 2023, il comitato della città di Al-Fitihab ha denunciato l’arresto di uno dei suoi membri, Khaled Al-Zubair, che lavorava in pronto soccorso. È stato arrestato a casa sua dai servizi segreti militari, che si sono rifiutati di rivelare il luogo di detenzione e il suo stato di salute. Il Comitato ha condannato: “un attacco evidente contro operatori e volontari del settore umanitario [che] arriva in un momento in cui tutti cercano di rompere l’assedio imposto alla città di Al-Fatihab e di fare tutto il possibile per mitigarne gli effetti sulla popolazione“. Hanno chiesto il suo rilascio immediato e la fine dell’assedio militare della città, invitando “le forze armate a smettere di attaccare operatori e volontari del settore umanitario “.
Si moltiplicano anche gli attacchi sui social network, dove le forze armate diffondono fake news e violano gli account facebook dei Comitati di resistenza per seminare confusione. Il 22 giugno 2023, ad esempio, una falsa dichiarazione del Coordinamento dei comitati di resistenza di Khartoum ha invitato i cittadini a prendere le armi per affrontare le RSF. In un comunicato stampa, i Comitati di resistenza di Khartoum hanno denunciato questa “dichiarazione contraffatta” e hanno ribadito la loro posizione a favore di una pace radicale, che prevede il rifiuto di prendere le armi e la continuazione della protesta civile.
“Prendere le armi da parte dei manifestanti nei cortei pacifici (…) rappresenta attualmente una minaccia diretta alla vita dei cittadini, data l’assoluta mancanza di sicurezza nello Stato di Khartoum, e noi non contribuiremo in nessun caso a questa eventualità. I Comitati di resistenza si rifiutano fare appello ai civili per partecipare al riarmo di qualunque delle parti in causa e di incoraggiare i cittadini ad affrontare delle forze che fanno ricorso ad armi pesanti. Queste forze non esitano a prendere di mira persone innocenti che si rifugiano nelle loro case, a fare loro violenza e ad ucciderle. Affermiamo la nostra chiara posizione a favore del diritto alla vita e alla sicurezza dei cittadini.”
Il 9 gennaio 2024, il governatore Mohamed El-Badawi, che rappresenta il campo militare golpista, ha dichiarato la messa al bando dei Comitati di resistenza, così come dei partiti politici civili, in tutto lo Stato del Nilo. I Comitati di resistenza di Khartoum ritengono che “questa decisione non sia altro che un tentativo del gruppo al potere di reprimere le libertà e monopolizzare l’attività politica. Consideriamo questo passo solo un tentativo da parte dei resti del vecchio regime di tornare al potere e sfruttare il caos generato dalla mancanza di sicurezza, determinata dalla guerra infernale che hanno scatenato, per liquidare i Comitati di resistenza e la rivoluzione”.
Il Comitato di resistenza Imtidad Chambat Al-Aradi sottolinea che: “Non c’è forza sulla terra in grado di proibire le attività dei Comitati di resistenza e dei rivoluzionari. Noi siamo il popolo che agisce per se stesso. Al contrario, spetta a noi decidere chi vogliamo bandire, chi vogliamo estromettere, e rovesciare tutti coloro che ci ostacolano, e lo faremo insieme alle fantastiche persone che compongono i nostri Comitati. Nessuno può sciogliere i Comitati che lavorano per il cambiamento, il servizio pubblico e l’organizzazione locale, se non altri Comitati di giovani resistenti delegati dal nostro potente popolo”.
Continuare a costruire la democrazia
Nonostante la violenta repressione, i comitati di resistenza hanno continuato con determinazione il loro lavoro di costruzione della democrazia a livello nazionale, già iniziato nel 2022 con la pubblicazione di una proposta di costituzione civile, la “Carta per l’instaurazione del potere popolare”. Il 25 ottobre 2023, nel corso di un’assemblea generale, i membri dei vari Comitati hanno approvato una “Visione per porre fine alla guerra, riprendere il cammino della rivoluzione e istituire il potere popolare”. La preparazione di questo documento è stata oggetto di discussioni in videoconferenza, sempre annunciate pubblicamente sulle pagine facebook dei Comitati, ed a cui tutti le persone comuni erano invitate. Questa “visione” propone un piano d’azione per uscire dalla guerra, basato sul lavoro dei media e dell’informazione pubblica, sulla collaborazione con i sindacati, i diversi settori professionali, i leader religiosi e i movimenti armati che combattono l’esercito regolare e le RSF. Il documento chiede l’attuazione di “soluzioni internazionali (…) e il rafforzamento di soluzioni di politica interna basate sulla volontà del movimento di massa e di tutte le componenti del popolo sudanese che aspirano alla pace, alla libertà, alla giustizia e alla democrazia e che desiderano porre fine alla guerra e affrontare le radici della più generale crisi nazionale”. In seguito alla pubblicazione di questo documento, il 27 ottobre si sono tenute riunioni con i sindacati per la costruzione di un fronte civile democratico contro la guerra e per la creazione di un consiglio legislativo civile per l’attuazione della “Carta per l’instaurazione del potere popolare”.
Così, nonostante il caos della guerra e la propaganda delle forze armate, i Comitati di resistenza non hanno interrotto le loro attività, e la loro organizzazione politica ha gradualmente ripreso slancio negli ultimi mesi. Mentre i partiti politici civili tradizionali hanno firmato il 3 gennaio un accordo con le RSF in caso di vittoria di quest’ultima, i Comitati di resistenza hanno denunciato questa collaborazione con dei “genocidari”, continuando a mantenere una posizione radicale di rifiuto della guerra e di ogni alleanza con l’esercito o con le RSF.
I Comitati di resistenza continuano a incarnare una terza via risolutamente pacifica, in continuità con la rivoluzione civile sudanese. Questi sottolineano che: “Noi, i Comitati di resistenza, prendiamo le nostre decisioni in base agli interessi della nazione e del nostro popolo, quindi sappiamo quando diventare luce e quando fuoco. Il nostro nemico è uno solo, ovvero le milizie terroriste Janjaweed (RSF) e i Kizan [sostenitori del vecchio regime di Omar al-Bashir] che le hanno create, e sono due facce della stessa medaglia”. (Dichiarazione del Comitato Imtidad Chambat Al-Aradi)
Portando avanti le richieste di giustizia, libertà e uguaglianza e la creazione di un governo civile, incoraggiano i cittadini che si mobilitano quotidianamente per ricostruire le città distrutte dai combattimenti e per promuovere una cultura di pace.
Questo articolo è stato tradotto da Rafael Campagnolo e Lavinia Lopez ed è ripreso da SUDFA MEDIA.
“Sudfa” significa “caso”, “coincidenza”, “fortuna”, in arabo standard e in arabo sudanese (è anche il titolo di una canzone di Mohamed Wardi, un famoso cantante sudanese). Per caso, un po’ come questo progetto, un po’ come i nostri incontri e la nostra decisione di aprire un piccolo media in comune per poter pubblicare articoli online, all’epoca della rivoluzione civile nel dicembre 2018. Siamo un piccolo gruppo di amiche e amici, attivistǝ francesi e sudanesi. Il nostro obiettivo è quello di far conoscere l’attualità e la storia sudanese – politica, sociale o culturale – e trasmettere a un pubblico francofono la voce del movimento rivoluzionario in Sudan e di tutte le mobilitazioni portate avanti dal popolo sudanese per la libertà, la pace e la giustizia. Il nostro sito partecipativo è concepito come una piattaforma per scrivere e tradurre testi (articoli, poesie, canzoni, ecc.) scritti da sudanesi in Sudan o in Europa. Potete trovare tutti i nostri contenuti sul nostro sito web: sudfa-media.com. Potete scriverci a sudfamedia@gmail.com, o tramite la nostra pagina facebook.