QUESTO LAVORO NO!

Il 21 gennaio 2023 durante le proteste in Francia contro la riforma delle pensioni che hanno unito studenti, lavoratori, sindacati e movimenti ecologisti, Jean-Luc Mélenchon, presidente de La France insoumise, ha fatto un discorso in strada in una manifestazione che è circolato su tutti i media, conquistando anche tiktok, la piattaforma social dei più giovani. Queste alcune delle sue parole: “La verità è che non hanno capito perché siamo qui. Noi non difendiamo solamente il diritto di godere di una pausa della nostra esistenza, ma soprattutto, affermiamo che il tempo della vita, quello che conta, non è solamente quello considerato “utile”, perché dedicato a produrre. Il tempo che passa non è solo quel tempo vincolato e socialmente utile, il tempo del lavoro, ma anche il tempo libero. Il tempo libero non è un momento di inattività, ma un tempo di cui noi possiamo disporre quando possiamo decidere noi cosa fare, vivere, amare, anche non fare nulla, prendersi cura dei nostri cari, leggere poesie, dipingere, cantare, oziare. Il tempo libero è il momento in cui possiamo essere totalmente umani. Ecco di cosa parliamo. Loro dicono: bisogna lavorare di più. Perché bisogna lavorare di più? La chiave dell’avvenire del futuro non è produrre ancora di più. La questione non è produrre di più, ma produrre in maniera migliore, e per farlo, dobbiamo lavorare meno! La chiave di un futuro ecologico è lavorare meglio, dunque lavorare meno! E lavorando meno, la fatica potrà essere ripartita più equamente tra tutti. Noi vogliamo difendere il diritto a vivere in maniera piena ed umana nel tempo libero, in un tempo autogestito”. È anche a partire da queste parole che abbiamo scelto di occuparci non di lavoro, ma di lavoratori e lavoratrici. Delle loro condizioni di vita dentro i luoghi e i mondi del lavoro (Al Amin Rabby su Fincantieri, Ilaria Paradiso e il collettivo Educatrici arrabbiate), dei loro tentativi di influenzare i processi produttivi per guadagnare salario e diritti (Antonella Angelini sulla Coalition of Immokalee Workers e Fulvia Antonelli e Delia Da Mosto sulle sex workers), delle loro strategie di fuga e di contrasto – a volte individuali, a volte collettive – allo sfruttamento (Gianluca de Angelis sulle dimissioni dai lavori di cura e Mostafa Henaway su forme di organizzazione dei lavoratori in Amazon). Studiare chi lavora per un salario, ci insegna Devi Sacchetto intervistato da Bruno Montesano e Luca Villaggi, serve a capire non solo l’organizzazione dell’economia, ma anche la geopolitica delle frontiere, il razzismo, il farsi di un soggetto collettivo che non è scomparso dall’orizzonte come vorrebbero farci credere, ma che si è fatto più frammentato e le cui strategie si giocano sul piano di una mobilità transnazionale, come transnazionale si è fatto il capitale. A questo nostro tentativo di parlare di lavoro dal punto di vista delle condizioni complessive di vita che esso impone, hanno contribuito lavoratori e lavoratrici, sindacalisti, ricercatori, attivisti e anche quelle lavoratricə che del riconoscimento del proprio lavoro hanno fatto un terreno non solo di acquisizione di diritti ma anche di emersione dalla marginalità sociale e di contrasto allo stigma. Rigettiamo ogni adesione al discorso della produttività, del successo, della cultura d’impresa. È nella controcultura collettiva dei lavoratori e delle lavoratrici che crediamo il lavoro dia un contributo alla vita e alle sue possibilità di rigenerazione. È alla costruzione e alla ricostruzione di questa controcultura collettiva che, come rivista, vogliamo contribuire.