Quarantena, una prospettiva storica
Risvegliandosi oggi, un medico del Cinquecento non avrebbe alcuna difficoltà a riconoscere la quarantena e i cordoni sanitari che si stanno attuando per il Covid19. Tecnicamente la quarantena è l’isolamento dei malati o dei sospetti malati, mentre il cordone sanitario prevede restrizioni alla mobilità all’interno di un’area geografica definita. Queste sono fra le pratiche mediche che meno sono cambiate nel tempo. Gli abitanti di Firenze nel Seicento, Marsiglia nel Settecento, Hong Kong nell’Ottocento, New York o la Chinatown di San Francisco del Novecento riconoscerebbero senza difficoltà il sequestro delle navi, l’isolamento in casa, gli spostamenti ridotti all’essenziale. Eppure, nonostante le somiglianze, il significato storico della quarantena e dei cordoni sanitari è mutato nel tempo.
I primi stati a creare uffici preposti alla prevenzione sanitaria e all’igiene pubblica furono Venezia e Firenze nel 1347, appena colpite dalla peste bubbonica. La prima quarantena di cui si ha notizia, invece, venne imposta a Dubrovnik nel 1377 (e durò trenta giorni). Nel tempo queste istituzioni persero il carattere provvisorio e diventarono permanenti. Nella maggior parte degli stati italiani gli ufficiali di sanità non erano medici: per esempio, il magistrato di sanità a Venezia era formato da tre rappresentanti della nobiltà cittadina. Anche se misure di salute pubblica sono esistite in ogni epoca e luogo – pensiamo allo smaltimento dei rifiuti ad esempio – e certamente non nacquero con la peste, lungo il Sei e Settecento gli italiani erano guardati con ammirazione da altri paesi europei che li ritenevano all’avanguardia e a essi si ispiravano.
Come ha osservato lo storico Carlo Maria Cipolla, l’idea della quarantena e di altre misure preventive volte a isolare i malati dai sani venne proprio agli amministratori pubblici. Secondo Cipolla la quarantena nacque da un misto di intuizione, osservazione della realtà e di “idee preconcette e false analogie” legate alla medicina del tempo. Infatti la nozione di contagio—concetto complesso che aveva un significato diverso da oggi—e la credenza diffusa che la sporcizia e i cattivi odori fossero la causa della peste furono tra gli elementi che portarono a ideare la quarantena e a renderla accettabile per la popolazione. L’invenzione della quarantena non fu il frutto dalla conoscenza medica premoderna (ma neanche le era del tutto contraria), né tantomeno questa misura derivò dalla scienza come la conosciamo oggi. Non potendo conoscere i comportamenti delle passate epidemie di peste non siamo in grado di valutare gli effetti delle quarantene. È possibile che abbiano effettivamente aiutato a prevenire delle epidemie o a mitigarne gli effetti, ma considerato il modo in cui si trasmette la peste (ratti e pulci) non è certo.
Se non nacquero da idee scientifiche o mediche, quarantena e cordoni sanitari incarnarono invece aspetti tipici della società in cui vennero create: da un lato l’impronta religiosa e dall’altro il tentativo di riportare l’ordine in una società sconvolta dalla peste. Quarantena è una parola con profonde connotazioni religiose. Quaranta giorni rimase Mosè sul monte Sinai prima di ricevere le Tavole della Legge, quaranta giorni durarono le tentazioni di Gesù nel deserto, quaranta giorni dura la quaresima, il periodo di purificazione che precede la Pasqua, e quaranta giorni durava tradizionalmente il puerperio, il periodo di purificazione e riposo dopo il parto.
L’introduzione della quarantena fu anche dettata dalla necessità di riportare l’ordine fortemente perturbato dalla peste. Le virulente epidemie di peste potevano dissolvere sia le leggi umane sia quelle divine. Destabilizzavano rapporti personali e legami sociali, morale e commercio. Rispetto alle fughe disordinate di boccaccesca memoria, che spesso solo i più ricchi potevano permettersi, la quarantena imposta dalle autorità era un modo nuovo di governare, di affrontare la sfida posta dalla malattia. Un precedente si potrebbe trovare nei lebbrosari, che a differenza della quarantena e dei cordoni sanitari erano però definitivi, non temporanei. Nel caso della peste separare i sani dai malati o dai sospetti portatori era un compito che presupponeva risorse economiche, amministrative e militari che solo uno stato organizzato era in grado di implementare. I costi potevano essere altissimi. Ad esempio, per ovviare alle spese di uno dei cordoni sanitari più imponenti mai attuati, che correva lungo tutto il confine orientale dell’Impero asburgico dal 1710 al 1870, furono coscritti i contadini delle aree interessate.
Ieri come oggi, le restrizioni della quarantena comportavano perdite economiche e l’interruzione delle normali attività sociali. Anche per questo, durante le epidemie di peste che a ondate colpirono l’Italia nei secoli successivi, la quarantena fu spesso aspramente avversata e vista come un’imposizione violenta da parte dei governi. Proteste e critiche abbondarono. Lo storico inglese John Henderson ha studiato approfonditamente la peste fiorentina del 1630-31 quando l’ufficio di sanità decise la quarantena totale. Agli abitanti dei quartieri più poveri, dove la mortalità era più alta, veniva corrisposto un sussidio. Alcuni commentavano che non solo stare in luoghi chiusi e piccoli aumentava a possibilità del contagio, ma così si alimentava la pigrizia di chi già non aveva voglia di lavorare. In fondo, continuavano, altre epidemie si erano pur risolte senza il ricorso a questa nuova invenzione. Nel 1630 un critico bolognese invece scriveva “In Francia e in Germania non si considera nemmeno l’adozione di una quarantena generale che ha tanti effetti negativi in Italia”. Ben presto però la quarantena e i cordoni sanitari si diffusero in tutta Europa. Il francese quarantaine, l’inglese quarantine, e il tedesco Quarantäne vengono infatti dall’italiano. L’adozione da parte di altri paesi non va letta necessariamente come il segno evidente del successo di questa misura precauzionale, ma come l’emergere di un nuovo modo di pensare alla gestione della vita in società, di nuove idee e pratiche politiche e burocratiche.
Il legame fra stato e quarantena deriva non solo dalla crescita degli apparati burocratici e dal ruolo statale nella salute pubblica ma anche dal crescente ruolo dello stato nella vita economica e commerciale. Epidemie e commercio sono inscindibili. Infatti uno dei maggiori veicoli di diffusione delle epidemie è il movimento di persone, animali e cose derivante dagli scambi commerciali. Anche oggi, le regioni italiane che prima sono state interessate dal Covid19 sono quelle che hanno maggiori rapporti commerciali con la Cina, luogo di origine dell’epidemia. In epoca moderna sulla diade epidemia-commercio si inserisce un nuovo elemento: l’apparato statale in crescita sempre più interessato sia ai commerci sia alla salute pubblica. I lazzaretti—i luoghi fisici dove si effettuava la quarantena—sono un esempio illuminante di questo indissolubile connubio. Spesso posti su isole, come Nisida vicino Napoli o l’isola di San Bartolomeo sul Tevere, in molti casi i lazzaretti erano costruzioni in legno o edifici adibiti ad altri usi requisiti in momenti di necessità. In seguito però non poche di queste costruzioni assunsero l’aspetto di vere e proprie fortezze. Come ha scritto lo storico Daniel Panzac “la fondazione di un lazzaretto era un atto politico che precedeva future attività economiche”. Di fatto in età moderna i lazzaretti (di Livorno, Venezia, Marsiglia, Genova ad esempio) divennero simboli della forza commerciale di un paese quanto del potere dello stato di controllare movimenti di persone e cose. Le immagini della Fiera di Milano, un luogo fino ad oggi destinato esclusivamente al commercio, che diventa ospedale per i malati di Covid19 sono la declinazione contemporanea di questa relazione stato-commercio-epidemia.
Tale è il legame fra quarantena e stato che nel corso dell’età moderna, la quarantena è diventata un vessillo dell’Occidente, della modernità. Nei secoli precedenti gli osservatori europei giudicavano fatalista il modo in cui l’Impero Ottomano, ‘l’altrove’ per antonomasia, affrontava la peste. Un mercante del Seicento, Tommaso Alberti, ad esempio scriveva “e se bene le robe sono di quelli che muoiono dalla peste, non è perciò alcuno che si astenga di comprarle e di maneggiarle, come se il male non fosse contagioso; reputando i Turchi di avere nel fronte scritto il suo fine, senza poterlo per opera umana fuggire”. Al topos del turco fatalista nel Sei e Settecento si contrapponeva l’immagine dell’europeo razionale e attivo nel contenimento della peste proprio attraverso cordoni sanitari e quarantene. In effetti l’istituzione della quarantena nell’Impero Ottomano risale solo all’Ottocento. Non è però corretto affermare che i Turchi fossero passivi. Oltre alle fughe dai centri urbani per cercare rifugio nelle campagne —una risposta che stride con l’aggettivo fatalista—la storica Nükhet Varlik ha mostrato come lo stato ottomano mise in atto misure utili alla gestione delle epidemie: un meticoloso calcolo delle morti per peste separandole dalle morti per altre cause, sepolture fuori dalle mura cittadine (mentre i cristiani venivano spesso sepolti nelle chiese) e la pulizia delle strade. Ma l’assenza della quarantena e dei cordoni sanitari balzava agli occhi degli Europei come la grande differenza, un simbolo della distanza culturale e religiosa fra ‘noi’ e gli ‘altri’.
Speculare all’identificazione fra quarantena, razionalità e visione positiva, e spesso positivista dello stato, è l’analisi foucaultiana. Foucault pone proprio la quarantena e le misure contro la peste all’origine di pratiche statali intese a penetrare nei più piccoli dettagli della vita quotidiana, per vedere e disciplinare tutto. In quest’ottica misure come la quarantena, che servono a mantenere l’ordine in periodi di grande disordine e incertezza come le epidemie, permangono quando l’epidemia finisce dando origine a misure di un controllo sociale sempre più invasivo, dei corpi ma anche dello spazio. La contiguità semantica fra cordone sanitario e confini (della casa, della città, del paese) è evidente. I luoghi di quarantena, spesso al confine, coincidono con i luoghi in cui si stabilisce il limite tra inclusione ed esclusione, dove si decide chi è dentro e chi è fuori. Ci siamo abituati a pensare l’atto di chiudere (insieme a escludere, rinchiudere, controllare, isolare) come essenzialmente negativo. Escludere può essere, e spesso è, un atto punitivo, ma è anche una misura protettiva necessaria in situazioni di emergenza.
Punti di contatto fra quarantena e immigrazione non mancano. La storica della scienza australiana Alison Bashford ha mostrato come in Australia e a Hong Kong il linguaggio usato nelle leggi di quarantena sia spesso simile, e in alcuni casi addirittura identico, alle leggi per la restrizione dell’immigrazione. L’intricata storia dell’epidemia di peste del 1900-1904 a San Francisco rappresenta uno degli episodi meglio studiati della sovrapposizione fra quarantena e discriminazione razziale. La comunità cinese di Chinatown fu sottoposta a quarantena senza che vi fosse evidenza di contagio. Solo gli americani di discendenza europea potevano lasciare il quartiere, non così i cinesi o gli abitanti di altra discendenza. Anche se l’ufficio di sanità dovette rivedere questo provvedimento, successivamente ne prese altri che mantenevano un carattere discriminatorio. Un altro caso interessante è quello che riguarda la definizione del principale campo di raccolta per immigrati nello stato di Israele appena formatosi come stato indipendente, lo Shaar Haàliya. Questo campo, immortalato dalle foto di Robert Capa del 1950-51, era circondato da un recinto di filo spinato che tanto ricordava i campi di concentramento. Il campo accoglieva i migranti e doveva servire a sistematizzare le procedure mediche e amministrative di entrata nel paese. Secondo gli amministratori, il filo spinato doveva servire come barriera per imporre la quarantena. Ma la storia dello Shaar Haàaliya, raccontata dalla storica Rhona Seidelman, è più complessa perché in realtà i migranti uscivano e rientravano dal campo rinegoziando costantemente il loro posto come nuovi cittadini di Israele.
Mentre scrivo sembra che i paesi asiatici stiano avendo i migliori risultati nel gestire l’epidemia. Il cordone sanitario della regione di Wuhan ha suscitato un po’ dappertutto ammirazione per la determinazione e il rigore con cui è stato attuato. È probabilmente vero che in un paese autoritario si può imporre un cordone sanitario con più facilità e migliori risultati. Meno si legge della Corea del Sud e del Giappone che hanno sistemi di governo più simili a quelli europei e la cui risposta è più articolata: più capacità diagnostica, meno quarantena e cordoni sanitari, multe salate agli infetti che non rispettano l’isolamento. L’esperienza di recenti epidemie, come la MERS nel 2015, che non è arrivata in Europa, ha insegnato molto a questi paesi che si sono mossi con grande velocità. Come la storia della quarantena mostra, le misure per arginare le epidemie non sono mai solo risposte mediche, ma sono rappresentative delle forme di governo, del modo in cui gli interessi della collettività vengono interpretati, sono risposte scientifiche ma anche culturali, religiose e politiche. In questo senso i valori guida dell’Organizzazione Mondiale di Sanità, che prevedono sempre la collaborazione con le comunità interessate, derivano non solo dall’aderenza a principi astratti ma anche dall’esperienza che le misure che ‘funzionano’ contro una malattia in una regione possono non funzionare in un’altra perché culturalmente inaccettabili.
Intanto l’epidemia di Covid19 ci ha fatto scoprire che isolarsi, chiudere, escludere – verbi che fino a ieri per molti di noi avevano prevalentemente un significato negativo – possono trasformarsi in gesti di protezione, gentili, perfino affettuosi nei confronti di se stessi, ma soprattutto di chi è più fragile perché più esposto alle insidie dei virus.
La bibliografia sulla peste e istituzioni ad essa collegate è sterminata. In italiano rimando ai testi di Carlo Maria Cipolla, Alessandro Pastore, e Grazia Benvenuto. Di seguito i testi da cui ho attinto direttamente. Michel Foucault cita le misure contro la peste in Sorvegliare e punire (Einaudi, 1976).
Alison Bashford, a cura di. Quarantine. Local and Global Histories (Red Globe Press, 2016)
Cipolla, Carlo. Contro un nemico invisibile. Epidemie e strutture sanitarie nell’Italia del Rinascimento, Il Mulino, Bologna, 1986
- Miasmi e umori, Il Mulino, Bologna, 1989
Crawshaw, Jane L. Stevens. Plague Hospitals: Public Health for the City in Early Modern Venice (Ashgate, 2012)
Henderson, John. Florence under siege: Surviving Plague in an Early Modern City (Yale University Press, 2019)
Panzac, Daniel. Quarantaines et Lazarets: L’Europe et La Peste d’Orient (XVIIe-XXe Siècles) (Aix-en-Provence: Édisud, 1986)
Shah, Nayan. Contagious Divides: Epidemics and Race in San Francisco’s Chinatown (University of California Press, 2001)
Seidelman, Rhona. Under Quarantine: Immigrants and Disease at Israel’s Gate (Rutgers University Press, 2020)
Tomić, Zlata Blažina, and Vesna Blažina. Expelling the Plague: The Health Office and the Implementation of Quarantine in Dubrovnik, 1377-1533 (McGill-Queen’s University Press, 2015)
Varlik, Nükhet. Plague and empire in the early modern Mediterranean world: the Ottoman experience, 1347-1600 (Cambridge University Press, 2015)