Quando l’America si prende un raffreddore, i neri si prendono l’influenza. Razza, medicina e salute ai tempi del Coronavirus

Nonostante Andrew Cuomo, governatore dello Stato di New York, abbia chiamato il Covid-19 “la grande livella”, la malattia che colpisce tutti, abbienti e meno abbienti, privilegiati e non, le cifre dicono che non è così. Nel momento in cui scrivo (10 maggio 2020) negli USA l’epidemia ha causato 80.000 vittime1 e si stima che il suo tasso di mortalità sia per gli afro americani 2,3 volte superiore rispetto ai latinoamericani, 2,4 volte rispetto agli asiatici e 2,6 volte ai bianchi2. In alcuni Stati il divario è ancor maggiore: nel Michigan e nel Missouri i neri hanno una probabilità 5 volte maggiore di morire rispetto ai bianchi, cifra che sale a 6 a Washington DC e addirittura a 7 in Kansas e Wisconsin. Sembra che gli afroamericani, il 13% della popolazione, subiscano il 27% dei decessi.
La questione della medicina razziale
Quando iniziavano a trapelare questi dati sulla mortalità dei neri, nei primi giorni di aprile, rispondendo alla domanda di un giornalista, Trump ha dichiatato di non saperne spiegare il motivo, aggiungendo che: “Questa cosa non ha senso; non mi piace e dobbiamo procurarci, in un paio di giorni, statistiche più precise”.
Eppure fino al 20 aprile Il Center for Disease Control and Prevention, che sovraintende alla gestione dell’edemia, non ha distribuito alcun dato sull’appartenenza razziale dei contagiati e delle vittime. E ciò nonostante negli Stati Uniti la raccolta di informazioni mediche di questo tipo sia obbligatoria3, al contrario di altri Paesi, come la Francia che dal 1978 vieta per legge ogni censimento basato sull’etnia dei cittadini. Il ritardo è stato superato solo in seguito alla pressione di centinaia di medici e gruppi per i diritti civili4, che hanno accusato il governo di nascondare informazioni indispensabili per distribuire efficacemente le risorse.
La riluttanza a pubblicare questi dati non sorprende, perché riflette la tensione fra due paradigmi opposti ma in qualche modo coesistenti nella cultura americana. Da una parte vi è il modello di tutela antidiscriminatoria, forte di una sentenza della Corte suprema del giugno 20075 che ha imposto al governo di adottare un approccio colorblind (daltonico) nei processi di policymaking. Come in Francia, ci si focalizza qui sulla giustizia individuale privilegiando la dimensione formale e neutralista dell’eguaglianza, in cui la razza non trova posto.
Allo stesso tempo, però, anche in seguito alla mobilitazione degli studiosi di colore impegnati a riformulare l’analisi del diritto americano in base alla prospettiva razziale (la cosiddetta Critical Race Theory), sono state inaugurate politiche razzialmente consapevoli come le affermative actions, interventi che compensano gli svantaggi derivanti dalla discriminazione. È un approccio che tenta di combattere l’idea di razza, una mera costruzione sociale e giuridica, non negandone l’esistenza ma partendo dall’analisi puntuale di tutte le sue manifestazioni.
È in questo contraddittorio quadro culturale che è nato un dibattito sui benefici e i rischi dell’utilizzare esplicitamente le categorie razziali in ambito medico. Il problema è ben illustrato in un episodio di “Doctor House” del 2005. Un paziente di colore con malattie cardiache rifiuta la prescrizione di BiDil, un farmaco approvato dalla Food and Drug Administration solo per gli afro-americani: “Non voglio comprare farmaci razzisti, ok?”. Il Dr. House gli risponde: “È razzista perché aiuta i neri più dei bianchi? È meglio morire per una questione di principio?”. Il paziente controbatte: “Guardi. Il mio cuore è rosso, il suo cuore è rosso. Non ha senso prescrivere farmaci diversi”6.
Ha ragione il Dr. House o il paziente? Difficile dirlo, perché alcune differenze fisiologiche esistono senza dubbio: fra i parametri di cui tengono conto le analisi mediche della funzionalità polmonare, oltre all’età, al sesso e al peso vi è anche la razza.
Ma molti ricercatori affermano che l’associazione automatica fra l’appartenenza razziale e alcune malattie conduce spesso a clamorosi errori medici7. Molti neri che presentano i sintomi della fibrosi cistica, ad esempio, non vengono diagnosticati perché i medici la considerano ancora oggi una malattia tipica dei bianchi.
“Non voglio comprare farmaci razzisti, ok?”. Il Dr. House gli risponde: “È razzista perché aiuta i neri più dei bianchi? È meglio morire per una questione di principio?”
Il mito dell’immunità nera
I rischi non si li limitano all’ambito clinico. Le convinzioni sull’incidenza razziale di determinate malattie possono avere un impatto drammatico quando fuoriescono dall’ambito medico e si depositano nel sentire comune sotto forma di miti. Nei primi giorni dell’epidemia, ha fatto clamore un video in cui un poliziotto di Baltimora (ora indagato) deliberatamente tossiva in faccia ad alcuni uomini di colore, i quali reagivano ricordandogli con rabbia che i neri sono immuni, non prendono il virus8. Forse, hanno poi argomentato molti commentatori, gli afroamericani hanno sottovalutato il pericolo e ora pagano il prezzo della credenza in una presunta immunità, una maggior resistenza alle patologie polmonari.
Come tutti i miti medici, anche questo si avvale di un’evidenza: in effetti, al contrario delle aspettative e per ragioni mai ben indagate, durante la “spagnola” del 1918-1919 la popolazione nera degli Stati Uniti soffrì una mortalità decisamente inferiore a quella bianca9
Ma il mito ha radici lontane e profonde, come spiega la storica Rana Hogarth in Medicalizing Blackness10. Risalendo nel corso della storia, nell’Ottocento Samuel Cartwright, influente consulente medico degli Stati del Sud, sviluppò una medicina su base razziale che in campo psichiatrico delineava la drapetomania, una patologia che spingerebbe gli schiavi a “vagabondare e desiderare la libertà”, e in fisiologia dimostrava come fossero costituzionalmente predisposti al duro lavoro nelle piantagioni. Ma già nel Settecento, uno fra i padri della nazione, Thomas Jefferson, nelle sue Note sullo Stato della Virginia teorizzava che i neri tollererebbero il calore molto meglio dei bianchi (e meno il freddo).
E proprio in quell’epoca, ricorda Rana Hogarth, la teoria dell’immunità nera emerse in modo evidente a Filadelfia durante un’epidemia di febbre gialla. Quando il numero dei morti iniziò a salire, 20.000 cittadini fuggirono nelle campagne, compresi George Washington, Thomas Jefferson e quasi tutti i politici al governo, che in quegli anni aveva sede a Filadelfia. Benjamin Rush, autorevole medico e direttore dell’Istituto di Medicina, oltre che stimato politico, convinto abolizionista e firmatario della Dichiarazione di Indipendenza, teorizzò che gli afroamericani fossero “acclimatati”, ossia immuni alla malattia e con l’aiuto di alcuni leader della loro comunità (i ministri episcopali metodisti Absalom Jones e Richard Allen, fondatori della Free African Society di Filadelfia) li reclutò per prendersi cura dei cittadini bianchi rimasti in città. Lavorando come infermieri, carrettieri e scavatori di tombe, i neri accettarono volentieri di fornire quell’aiuto, sebbene scarsamente remunerato.
Medicina e pregiudizi razziali
Connesso al mito dell’immunità dei neri vi è quello di una loro minor sensibilità al dolore. Nel 2016 uno studio per determinare se vi sia un pregiudizio razziale nelle prescrizioni di antidolorifici ha esaminato ben 60 milioni di visite in pronto soccorso di pazienti tra 18 e 65 anni dal 2007 al 2011. È risultato che i neri hanno circa la metà delle possibilità che venga loro prescritto un antidolorifico11. Si ipotizza che i medici presumano che possano abusare dei farmaci oppure che non riconoscano il loro dolore a causa delle differenze culturali nella sua descrizione, per esempio una minore verbalizzazione. In ogni caso, è un dato eclatante e forse spiega perché la dipendenza da oppiacei (un’emergenza che causa 78 vittime al giorno) colpisca principalmente la popolazione bianca, in particolare del Nord-Est. In questo scenario la scarsità di medici neri aggrava la situazione. Solo il 4% è afroamericano, un numero destinato a non aumentare in futuro: nel 2014 hanno frequentato la facoltà di medicina meno afro-americani che nel 1978.
Una forma di pregiudizio razziale é presente anche negli algoritmi che guidano la programmazione dei costi sanitari americani12, come dimostra un articolo di Science a cura di Ziad Obermeyer, dirigente della School of Public Health della University of California. Dall’analisi di 50.000 cartelle cliniche, egli mostra come l’algoritmo che stabilisce le priorità su cui investire le risorse usa come indice privilegiato per stabilire il livello di salute degli individui la quantità delle loro spese mediche. Erroneamente quindi, ne deduce che i pazienti neri sono mediamente più sani rispetto ai bianchi, quindi assegna loro un livello di rischio più basso, cosa che a sua volta orienta la spesa sanitaria. Con questo sistema, afferma Ziad Obermeyer, di fatto gli afroamericani subiscono una riduzione di 1.800 dollari della spesa medica annua pro capite.
La moralizzazione della malattia
Vi è poi il rischio che una medicina razziale sviluppi interpretazioni etiche, che moralizzando la salute e la malattia e facendone l’esito della buona o cattiva condotta individuale, di fatto si trasformano in stereotipi razzisti. Durante le epidemie di tubercolosi a cavallo del XX secolo, i neri erano spesso descritti dai funzionari pubblici come irrimediabilmente “incorreggibili”, refrattari ad adottare le norme igieniche e inclini al vizio, e dunque più propensi a contrarre la malattia13.
E anche in questi mesi si sono moltiplicati gli appelli ai leader della comunità afromericane affinché si impegnassero a informare sui rischi del virus. Durante una conferenza stampa alla Casa Bianca14, il capo della sanità pubblica Jerome Adams, lui stesso afroamericano, ha inviato un appello ai neri e ai latini. “Per bloccare il Covid-19 dovete evitare alcool, tabacco, droghe. E chiamate i vostri amici e familiari. Controllate come sta vostra madre; lei ha bisogno di sentirvi in questo momento… Abbiamo bisogno che facciate questo, se non per voi stessi, per la vostra abuela. Fatelo per vostro nonno. Fatelo per la vostra Big Mama [la nonna, NdA]. Fatelo per il vostro Pop-Pop [il nonno, NdA]”.
Molti hanno accusato di razzismo questo discorso, sia per la terminologia usata sia perché presuppone un collegamento fra l’alta mortalità dei neri e la loro condotta individuale per nulla provato. Anzi, un sondaggio nazionale condotto dal Pew Research Center 15 tra il 10 e il 16 marzo ha rilevato che gli intervistati neri avevano il doppio di possibilità di considerare il coronavirus come una grave minaccia alla propria salute rispetto ai bianchi. I neri erano anche più propensi dei bianchi ad acquistare alimenti non deperibili, disinfettante per le mani, prodotti per la pulizia, carta igienica e acqua in bottiglia.
Rientra in questo ambito la questione dell’obesità, perché rispetto alle altre epidemie storiche, un tratto peculiare di quella in atto è che il tasso di mortalità dipende molto, oltre che dall’età, soprattutto dalla comorbidità, cioè dalla presenza di altre patologie, in particolare ipertensione, asma e diabete, molto frequenti negli afroamericani e quasi sempre connesse all’obesità. È noto che negli Stati Uniti l’obesità è un importante problema sanitario, ma spesso di tende a darne una spiegazione morale, facendone il risultato di una cattiva alimentazione e della mancanza di esercizio fisico, dando per scontato che entrambe siano opzioni liberamente scelte e alla portata di tutti. In realtà si tratta di risorse che, come tutte quelle legate alla salute, scarseggiano nei quartieri a maggioranza neri. Come ha detto David Williams della Harvard University, “Il codice postale negli Stati Uniti è un indicatore della probabilità di vita migliore del patrimonio genetico”16. Chi vive nei quartieri più ricchi, semplicemente, vive di più.
Se è vero che Negli Stati Uniti un adulto su tre è obeso, è altrettanto vero che l’obesità riguarda soprattutto ispanici e afroamericani che vivono nei cosiddetti “food deserts”17, intere aree o quartieri dove l’unico cibo disponibile è quello “spazzatura” offerto dalle catene di fast-food. Il legame tra povertà e disponibilità di cibo è stato ben documentato dalla metà degli anni ‘Novanta, ma secondo una ricerca uscita nel 201318, se confrontiamo comunità con tassi di povertà simili emerge che i quartieri neri e ispanici hanno meno grandi supermercati e più negozi di alimentari rispetto alle loro controparti bianche. Fornitissimi di cibo spazzatura, questi locali più piccoli raramente offrono prodotti sani, latticini o frutta e verdura fresca.
Se è vero che Negli Stati Uniti un adulto su tre è obeso, è altrettanto vero che l’obesità riguarda soprattutto ispanici e afroamericani
Attività fisica, racial profiling e mascherine
Per quanto riguarda l’attività fisica, circa la metà dei neri (contro un terzo di bianchi) sopra i diciotto anni è fisicamente inattiva, secondo il National Center for Health Statistics19. Varie ricerche hanno sottolineato che vi è un legame fra la classe sociale e il praticare uno sport: i quartieri della classe media non hanno solo scuole migliori, case migliori e un tasso di crimini inferiore, ma anche più risorse per l’attività fisica, programmi ad hoc e aree sicure e pedonali dove praticarla.
Oltre a queste deficienze strutturali, nella realtà contano però anche più sottili pressioni sociali, culturali e psicologiche legate alla segregazione socio-spaziale. Uno studio interessante ha messo in luce che, più che l’appartenenza di classe, è la percezione della composizione razziale dei quartieri in cui gli afroamericani vivono ad influire sulla quantità di attività fisica praticata20. In quelli a maggioranza bianchi gli afroamericani, anche quelli della classe media, sono scoraggiati dal fare attività fisica per paura di essere criminalizzati e di subire racial profiling. Nello stesso studio emerge però una discriminazione di segno contrario: preoccupate della sicurezza, le donne afroamericane sono meno attive fisicamente nei quartieri a maggioranza afroamericani che in quelli bianchi. Questi ultimi in genere hanno zone specificamente pensate per l’attività fisica, percepite dalle donne come zone sicure e sorvegliate.
Del resto la percezione di una sorta di ipervisibilità che complica la vita degli afroamericani, legalizzata con la pratica del racial profiling, sembrerebbe spiegare anche perché molti di loro non indossano la mascherina: hanno paura che i dispositivi di protezione possano essere scambiati per segni di un potenziale comportamento criminale, specialmente se indossati da maschi. Su You Tube è popolare un video di due afroamericani che in un Walmart dell’Illinois sono seguiti da un poliziotto solo per aver indossato maschere chirurgiche21.
Il privilegio di starsene a casa
Nonostante tutti i rischi evidenziati di una medicina razziale, un approccio daltonico rispetto alla razza rischia di fare altrettanti danni. Sia il New England Journal of Medicine (NEJM)22 che il Journal of American Medical Association (JAMA)23 hanno recentemente pubblicato articoli che tentano di fornire un quadro etico per gestire la distribuzione dei pochi ventilatori e letti di terapia intensiva durante la pandemia di COVID-19. Nessuno dei due articoli ha riconosciuto il fatto che, indipendentemente dall’emergenza, negli Stati Uniti le risorse mediche sono già strutturalmente distribuite in base alla geografia, al reddito e soprattutto alla razza. Un dato di fatto di cui neppure la distribuzione delle risorse economiche, sia pubbliche che private, ha tenuto conto.
Basti pensare che solo lo 0,1 percento dei finanziamenti filantropici per l’epidemia di COVID-19 è stata assegnata alle organizzazioni che hanno come obiettivo dichiarato la tutela delle minoranze24. E sebbene il governo federale sia intervenuto per offrire oltre 600 miliardi di dollari di assistenza finanziaria attraverso il Paycheck Protection Program (PPP), secondo alcuni esperti, fino al 90% degli afro-americani saranno tagliati fuori, perché gli istituti finanziari tendono a favorire i clienti preesistenti nella distribuzione dei fondi25.
Una lettura daltonica dei dati relativi alcoronavirus rischia di essere dannosa anche “a monte”: ignorando i fattori strutturali che spiegano la maggior mortalità dei neri, finisce per rafforzare il divario esistente nell’accesso alle cure mediche e di conseguenza nella salute e nella malattia. L’amministrazione Trump ha evitato il lockdown limitandosi a raccomandare di evitare gli assembramenti e suggerendo ai lavoratori non essenziali di rimanere a casa. Ma questo è un lusso che moltissimi afroamericani non possono permettersi perché lavorano proprio in settori considerati essenziali. Sono il 30% degli autisti di autobus26 e il 20% degli impiegati nella ristorazione; dominano nell’edilizia, nei servizi di pulizia e di manutenzione. Molti sono bidelli, cassieri, magazzinieri27 e infermieri. Tutte occupazioni a basso reddito, prive di congedi retribuiti e di assicurazione sanitaria, ma senza le quali la società si ferma. E che più difficilmente possono risolversi con il telelavoro, di cui oggi si stima possa usufruire il 30% dei bianchi e meno del 20% dei neri. Dai dati emerge anche un inquietante risvolto di genere. Le donne, ancora non sa perché, muoiono meno degli uomini per Corona virus, ma questa discrepanza si ribalta per le afroamericane e le latine. Forse perché sono massicciamente impiegate in lavori di cura (infermiere, badanti, governanti) e dunque a rischio28, ma non vi sono verso di loro fenomeni di riconoscenza sociale come quelli tributati ai medici.
Sono il 30% degli autisti di autobus e il 20% degli impiegati nella ristorazione; dominano nell’edilizia, nei servizi di pulizia e di manutenzione. Molti sono bidelli, cassieri, magazzinieri e infermieri.
Segregazione socio spaziale e accesso ai servizi
Un secondo e fondamentale fattore strutturale che pregiudica, oggi più che mai, la salute dei neri sta nel loro minore accesso ai servizi medici. Nel 2018 la Health Resources and Services Administration ha mappato 17.657 Health Professional Shortage Areas, aree in cui mancano operatori sanitari in grado di fornire cure primarie, cure dentali e cure legate alla salute mentale29. Vi vivono circa 65 milioni di abitanti, il 25% dell’intera popolazione e l’84% delle contee rurali a maggioranza afroamericana. I quartieri neri hanno farmacie poco provviste30 e ospedali lontani. Sono tendenzialmente privi di opzioni alimentari sane, spazi verdi, strutture ricreative, illuminazione e sicurezza. Spesso sono anche più inquinati. Basti pensare al corridoio che va da Flint a Detroit, dove i bambini e le famiglie, a maggioranza afroamericana, sono sovraesposti alla contaminazione da piombo31.gli afro-americani hanno il 75 per cento di possibilità in più rispetto ai bianchi di vivere in quartieri vicini a complessi industriali, con una qualità dell’aria pessima. Nel 2014 i neri morivano di asma con tassi tre volte superiori rispetto ai bianchi (dati del Dipartimento alla salute del governo USA). Sono queste, a maggioranza di residenti afro-americani, le aree dove i servizi sanitari sono più scadenti; dove è più difficile che un medico stabilisca il suo ambulatorio; dove le assicurazioni sanitarie sono più rare. Sono queste, anche, le aree dove il coronavirus ha colpito in modo più spietato.
Bianchi, neri e la zona grigia dell’Obamacare
Infine occorre ricordare che gli afroamericani hanno meno possibilità di accedere all’assistenza sanitaria32, che negli USA non ha carattere universale. La cosa è ben nota ed è in Europa fonte di semplificazioni che rasentano il pregiudizio (“se non hai soldi, ti lasciano morire”). La discriminazione c’è, ma avviene in modo complicato e paradossalmente non colpisce i ceti più poveri.
Gli americani hanno vari modi per accedere all’assistenza sanitaria, il più frequente dei quali è stipulare un’assicurazione privata. Ma se una famiglia americana spende circa l’11% dei suoi introiti in premi sanitari e spese mediche (visite private, prescrizione di farmaci33), per gli afroamericani la cifra si avvicina al 20%, e il suo reddito è già più basso della media (41.361 dollari nel 2018, contro un 70.642 delle famiglie bianche)34. Di fatto, il costo delle coperture ha mantenuto elevato il numero di non assicurati (27,5 milioni, dei quali il 18% è afroamericano35), e dei sottoassicurati, stimati dal Commonwealth Fund in ben 87 milioni. Sono adulti dai 19 ai 64 anni che hanno una copertura, ma non riescono a sostenerne i costi e quindi ricorrono spesso all’indebitamento. Certo vi è la possibilità di assicurarsi tramite il proprio datore di lavoro, ma gli afroamericani hanno più probabilità di avere impieghi privi di benefit.
Anche se non offrono una copertura sanitaria totale e sono spesso accompagnati da un’assicurazione privata aggiuntiva, vi sono poi due programmi sanitari pubblici. Vi è Medicare, che dal 1966 garantisce l’accesso alla sanità agli anziani oltre i 65 anni e i disabili, e soprattutto Medicaid, destinato a famiglie e individui a basso reddito e con un nucleo familiare esteso, un’ancora di salvezza per gli americani a basso reddito e le donne in gravidanza. Finanziato congiuntamente dagli Stati e dal governo federale, dall’agosto 2019 ha coperto 68 milioni di persone, di cui il 20% afroamericani36.
Un tentativo di espandere Medicaid, in modo da assicurare ancora più neri, é stato fatto dall’Obamacare (Affordable Care Act). Tra i punti più importanti il divieto per le compagnie di negare le assicurazioni a chi ha determinate patologie; la creazione di un mercato sanitario in cui ottenere coperture mediche a prezzi ragionevoli; crediti d’imposta per aiutare il maggior numero di persone a sottoscrivere le polizze; incentivi fiscali per agevolare le piccole imprese ad acquistare un’assicurazione per i dipendenti; l’obbligo alle grandi imprese di fornire tutela medica ai lavoratori a tempo pieno. Sopratutto, Obamacare prevedeva di ampliare l’assistenza sanitaria al maggior numero possibile di americani da una parte tassando chi non è assicurato, dall’altra permettendo a giovani adulti privi di reddito di rimanere a carico dell’assicurazione familiare fino all’età di 26 anni. La percentuale di afroamericani non assicurati è diminuita dopo l’implementazione della legge: degli oltre 20 milioni di persone che hanno ottenuto la copertura in base all’Omamacare, 2,8 milioni di loro sono afro-americani37.
Tuttavia, gli afroamericani continuano a essere meno assicurati dei bianchi: in molti Stati costituiscono infatti una sorta di “zona grigia”: non hanno un reddito sufficiente chiedere di crediti d’imposta previsti dall’Obamacare, ma d’altra parte non sono poveri al punto da poter accedere a Medicaid.
La riforma voluta da Obama, infatti, ha esteso l’ammissibilità di Medicaid agli adulti con un reddito fino al 138% del livello di povertà federale. Questa espansione è stata originariamente pensata come obbligatoria e trentasette Stati l’hanno implementata ma gli altri, in gran parte del Sud e governati dai repubblicani, si sono rifiutati di farlo, nonostante Washington si fosse impegnata fino al 2016 a coprirne i costi e negli anni successivi a farsene carico per il 90%. Gli Stati negligenti sono anche quelli più popolati dagli afroamericani. Texas, Florida e Georgia hanno la maggior percentuale di non assicurati38. In Missisipi chi guadagna più di 3000 dollari all’anno non ha diritto di rientrare in Medicaid.
Il razzismo fa male alla salute
Non mancano gli studi che hanno provato un legame diretto fra l’esperienza di subire una discriminazione razzista e la salute fisica e mentale. Secondo uno studio della University of Southern California e dell’Università della California di Los Angeles pubblicato sulla rivista Psychoneuroendocrinology39 il razzismo aumenta i livelli di infiammazione in chi lo subisce, facendo crescere anche il rischio di malattie croniche come infarti, malattie neurodegenerative e cancro metastatico. I partecipanti allo studio hanno background socioeconomici simili, il che ha eliminato la povertà come fattore di stress primario.
Bisognerebbe allora rivendicare un approccio che tenga conto della razza come costrutto sociale, politico, e culturale fondamentale per capire le disuguaglianze sanitarie, ma allo stesso tempo attento a non ricadere in una medicalizzazione” e “biologizzazione” dei problemi sociali, economici e politici, (come già è avvenuto per malattie come la sifilide, la tubercolosi, l’anemia falciforme, l’l’AIDS). Un approccio concreto di questo tipo è il progetto di geocodifica delle disparità di salute pubblica di Harvard. Messo a punto da Jarvis Chen e Nancy Krieger, utilizza i dati del censimento disponibili su povertà, livello di affollamento delle famiglie, composizione razziale e segregazione socio-spaziale per analizzare i dati relativi alla diffusione del Covid-19. Se vi aggiungiamo la discriminazione razziale nelle strutture sanitarie, la distorsione implicita nel processo decisionale medico, possiamo avere un quadro del perché “Quando l’America si prende un raffreddore, i neri si prendono l’influenza”.
1 https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/cases-updates/cases-in-us.html
2https://www.apmresearchlab.org/covid/deaths-by-race
3 https://grants.nih.gov/policy/inclusion/women-and-minorities/guidelines.htm
4 https://blogs.scientificamerican.com/voices/to-protect-black-americans-from-the-worst-impacts-of-covid-19-release-comprehensive-racial-data/
5 Parents Involved in Community Schools v. Seattle School District n. 1, 551 U.S.; 127 S. Ct. 2738.
6 https://journals.sagepub.com/doi/abs/10.1111/j.1748-720X.2008.289.x?journalCode=lmec
7 https://science.sciencemag.org/content/351/6273/564.full
8 https://www.youtube.com/watch?v=pCK0GbvvIqc
9 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6678782/
10 https://uncpress.org/book/9781469632872/medicalizing-blackness/
11https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371%2Fjournal.pone.0159224
12 https://science.sciencemag.org/content/366/6464/447
13 Roberts SK. Infectious fear: politics, disease, and the health effects of segregation. Chapel Hill: University of North Carolina Press, 2009
14 https://www.cnn.com/videos/politics/2020/04/10/surgeon-general-jerome-adams-big-mama-abuela-comment-briefing-nr-bts-vpx.cnn
15 https://www.people-press.org/2020/04/14/health-concerns-from-covid-19-much-higher-among-hispanics-and-blacks-than-whites/
16 https://journals.sagepub.com/doi/10.1093/phr/116.5.404
17 https://www.cdc.gov/pcd/issues/2019/18_0579.htm
18 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3970577/
19 https://www.cdc.gov/nchs/index.htm
20 https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0049089X17302764
21 https://atlantablackstar.com/2020/03/27/video-cop-follows-two-black-men-around-illinois-walmart-for-allegedly-wearing-surgical-masks-asks-them-for-id/?fbclid=IwAR0beIifuCAOkgcrF5l1DUap0Hc3kRzQqpvMP3vbVZnik9kO–5aEczXzfk
22 https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMsb2005114
23 https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2763953
24 https://www.nytimes.com/2020/05/01/your-money/philanthropy-race.html
25 https://www.cbsnews.com/news/women-minority-business-owners-paycheck-protection-program-loans/
26 https://datausa.io/profile/soc/bus-drivers
27 https://www.mckinsey.com/featured-insights/future-of-work/the-future-of-work-in-black-america
28https://www.nytimes.com/2020/04/18/us/coronavirus-women-essential-workers.html?campaign_id=9&emc=edit_nn_20200419&instance_id=17774&nl=morning-briefing®i_id=127599200&segment_id=25500&te=1&user_id=12cc2d8d9e59b2f74f8773abaf935ad0
29 https://www.kff.org/other/state-indicator/primary-care-health-professional-shortage-areas-hpsas/?
30 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3387667/
31 A Baltimora (con una popolazione nera oltre il 60%), i livelli di piombo nei bambini sono oltre il doppio della percentuale raccomandata. Gli Stati Uniti pagano ogni anno circa $ 15 miliardi per far fronte ai casi di avvelenamento da piombo, fondi che potrebbero essere utilizzati per migliorare scuole, infrastrutture di quartiere e risorse sanitarie.
32 https://tcf.org/content/report/racism-inequality-health-care-african-americans/?agreed=1
33 https://www.kff.org/health-costs/press-release/interactive-calculator-estimates-both-direct-and-hidden-household-spending/.
34 https://www.census.gov/library/publications/2019/demo/p60-266.html
35https://collections.nlm.nih.gov/master/borndig/101750766/Collins_hlt_ins_coverage_8_years_after_ACA_2018_biennial_survey_sb.pdf
36https://www.ncpssm.org/documents/medicare-policy-papers/medicare-medicaid-important-african-americans/.
37 https://www.urban.org/sites/default/files/publication/86761/2001041-who-gained-health-insurance-coverage-under-the-aca-and-where-do-they-live.pdf
38 https://www.cbpp.org/research/health/african-american-uninsured-rate-dropped-by-more-than-a-third-under-affordable-care
39 https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0306453018310436?via%3Dihub