Per arrivare fin qui: generazioni di donne iraniane

Incontro con Gli Asini
Hanieh Ghashghaei è nata a Teheran nel 1990. Dal 2005 al 2008 ha condotto studi grafici in Iran e nel 2014 si è trasferita a Bologna dove ha frequentato l’Accademia di Belle Arti. Le sue illustrazioni sono state pubblicate da varie riviste in Iran, USA, Grecia e Messico ed esposte in una serie di mostre a Bologna e a Teheran. Abbiamo parlato con lei dell’attuale movimento dei giovani e delle donne in Iran.
“Jin jîyan azadî, donna vita libertà” è uno slogan utilizzato per la prima volta da Ocalan, sostenitore del femminismo curdo e di una idea forte di uguaglianza di genere dentro il PKK il partito dei lavoratori del Kurdistan e dentro il governo autonomo del Rojava in Siria. Come questo slogan delle militanti curde è passato al movimento delle donne in Iran? Che connessioni e immaginari comuni ci sono fra le due realtà?
Lo slogan “Donna vita libertà” si è diffuso in Iran durante la cerimonia in ricordo di Mahsa (Jina) Amini, uccisa dalla polizia morale.
Mahsa è morta solo perché non portava il velo nel modo in cui voleva il regime. La sua morte è avvenuta in un momento in cui le ragazze e le donne iraniane più che in passato sono sotto la pressione del regime, che da due anni continua a intervenire in modo sempre più massiccio nella loro vita privata. È da 43 anni che le donne iraniane subiscono l’oppressione di un sistema teocratico che vuole – fra le altre cose – anche controllare il loro modo di vestirsi.
Questo slogan, scorrendo come un fiume in ebollizione, è arrivato alle ragazze e alle donne iraniane che scendevano in piazza.
I curdi vivono in una zona tra Iran, Iraq, Siria e Turchia: fra quattro paesi dunque, immersi tra le rivoluzioni, le rivolte e le proteste contro i sistemi dittatoriali che li governano. I curdi iraniani, al contrario di altri curdi che vivono nei Paesi della zona, vivono più mescolati in una società iraniana composta da turchi, azeri, baluchi, arabi e tante altre etnie. In Iran il razzismo contro i curdi non è un problema sociale ma un problema politico: i curdi vivono soprattutto il razzismo di Stato, che cerca di rimuovere i segni dell’identità curda in molti modi. Ad esempio non è possibile studiare il curdo, non è possibile avere un presidente curdo nella regione curda. Quando andavamo a scuola a Teheran, spesso in classe abbiamo avuto compagni di classe di origine curda e per noi questa cosa è sempre stata normale: eravamo amiche, ci frequentavamo, ci ospitavamo a casa e ci conoscevamo e in questo modo, mentre crescevamo, ci scambiavamo anche opinioni, pensieri, esperienze.
Anche qui a Bologna quando andiamo a manifestare per le proteste in Iran tra di noi ci sono molte amiche e amici curdi che si definiscono iraniani del Kurdistan. Sono persone che spesso non hanno nessun legame con i partiti militanti del Kurdistan, però vivono comunque una cultura curda che per esistere è costretta a “combattere”. In altri paesi ci sono conflitti più aspri e in alcune società come ad esempio quella araba o turca il razzismo verso i curdi è abbastanza diffuso. Diversi dittatori dell’area come Erdogan in Turchia, in passato Saddam in Iraq, Assad in Siria e anche Khomeini in Iran subito dopo la rivoluzione del 1979 proprio quando i curdi cercavano di dialogare con il governo rivoluzionario, hanno utilizzato il razzismo come arma per schiacciarli. Ma la storia continua perché oggi stanno accadendo veri e propri massacri, come quelli in città come Sanandai e Javanrood nel Kurdistan iraniano. Al razzismo dello stato iraniano vediamo questa risposta popolare: appena una ragazza curda viene uccisa a Teheran, tutto il paese alza la voce per chiedere giustizia e lo fa utilizzando slogan storici che hanno radici (sociali e politiche) nel Kurdistan.
Ma non c’è solo questo dietro lo slogan “donna, vita, libertà”. In Iran stiamo ormai da ottant’anni vivendo cicli di proteste in cui i partiti di sinistra hanno sempre avuto un ruolo fondamentale e questi partiti hanno sempre avuto le organizzazioni più serie in Kurdistan, quindi gli slogan influenzati da gruppi con orientamenti marxisti sono stati i più usati ovunque, anche nella capitale, nei movimenti precedenti.
Prima era “pane-lavoro-libertà” poi è emerso “donna-vita-libertà”: entrambi gli slogan risuonavano a Teheran già dagli anni ’70, soprattutto nelle manifestazioni organizzate dagli studenti universitari e dai lavoratori, in una capitale dove ci sono circa 15 milioni di abitanti e vivono tanti curdi. I curdi poi hanno combattuto sia contro lo scià Reza Pahlavi e subito dopo contro i khomeinisti quindi sono odiati oggi sia dai khomeinisti e dai pasdaran ( i «guardiani della rivoluzione islamica», il corpo paramilitare a difesa della rivoluzione islamica di Khomeini), sia dai monarchici iraniani, che vogliono il ritorno della monarchia pahlavide. Ma sono amati dalle persone che combattono contro qualsiasi regime totalitario, sia laico che islamico.
Chi sono secondo te i giovani e le giovani che stanno partecipando a quella che vuole essere una vera e propria rivoluzione? Secondo te è in atto anche uno scontro fra generazioni? Come c’entrano le classi sociali? Il movimento di protesta è diffuso in tutte le zone del paese?
Una parte ampia e importante di questo movimento oggi nelle piazze e nelle strade è costituita da giovani e da adolescenti e un gran numero dei morti e di prigionieri ha meno di vent’anni. La cosa sorprendente è che i giovani che stanno partecipando a questo movimento provengono da tutte le classi sociali e culturali: guardate le immagini dei loro genitori, in certi casi loro sono religiosi e portano il velo, ma credono nella libertà e non appoggiano il governo dell’Iran. Il movimento poi è presente in quasi tutte le grandi e piccole città dell’Iran, anche nei paesini, da est a ovest e da nord a sud: a volte abbiamo visto immagini di manifestazioni in città che nemmeno noi iraniani abbiamo mai sentito nominare. Tutto questo movimento è iniziato da una piccola città chiamata Saqqez in Kurdistan dove è nata Mahsa (Jina) Amini e a volte ci chiediamo: se Mahsa fosse nata a Teheran, i suoi concittadini avrebbero avuto la possibilità di fare ciò che la gente ha fatto nella città curda di Saqqez subito dopo la sua morte?
Dopo quattro mesi la gente è ancora nelle strade in ogni parte del paese, questa rivoluzione è ancora in corso, ogni giorno cambiano i metodi di lotta: un giorno si esce apertamente in piazza, un altro giorno c’è una manifestazione davanti a una prigione in favore dei detenuti che rischiano la condanna a morte e un altro giorno ancora i ragazzi e le ragazze tornando da scuola corrono per strada e fanno saltare il turbante ai religiosi, che con la loro uniforme incarnano chi sta uccidendo – fisicamente e mentalmente – la gioventù iraniana.
L’Iran è un paese molto giovane. Quasi il 70% della popolazione ha meno di 30 anni, ed esistono naturalmente conflitti fra le generazioni. Alcune delle ragazze che quarant’anni fa hanno combattuto per avere diritti e non li hanno ottenuti, sono oggi le madri che hanno cresciuto le ragazze ventenni che oggi vediamo per le piazze mentre urlano per la libertà, senza paura o con una paura convertita in coraggio.
Questa popolazione così giovane non può convivere con le idee di chi ha confiscato una rivoluzione che è cominciata con la legittima volontà del popolo di vivere con maggiore libertà e poi è finita sconfitta nelle mani di Khomeini e dei khomeinisti. Queste giovani ragazze e ragazzi – e in certi casi anche i loro genitori – non erano ancora nati durante la rivoluzione del 1979.
Tutto quello che stiamo vivendo non accade per la prima volta. È dagli anni Duemila che ci sono tanti movimenti sociali in Iran che combattono e lavorano per la libertà. C’è stata molta presenza nelle piazze ma tutto accadeva in modo un po’ più moderato. Si può dire che fino a 4-5 anni fa c’era sempre un po’ la speranza di poter “riformare” il sistema politico del paese. Nel 2002 i movimenti studenteschi, nel 2009 il movimento verde a cui hanno partecipato non solo gli studenti, ma anche la maggioranza della classe media: chi urlava per la libertà e scendeva in piazza lo faceva con un approccio completamente pacifico. Una volta tre milioni di persone solo a Teheran hanno fatto una manifestazione del silenzio! Il governo invece ha dato sempre la stessa risposta anche a questi movimenti: uccidere e aumentare la repressione.
Nel 2017-2019 ci sono state manifestazioni di cui sono state protagoniste di più le classi popolari, i poveri, i lavoratori, con forti rivendicazioni economiche: in questo caso il regime ha reagito ancora peggio, ammazzando più di 1500 persone nel giro di una settimana e spegnendo internet.
Adesso sono più di 100 giorni che le proteste non si fermano. Questi ragazzi e ragazze oggi accusano chi ha partecipato alla rivoluzione del 1979 di essere colpevole per quello che abbiamo vissuto in questi 43 anni. Ma accusano anche le altre generazioni, quelle nate negli anni ’80 e ’90, di non aver fatto abbastanza contro il regime e di essere state troppo moderate negli anni scorsi nel confrontarsi con un regime sanguinario. Oggi nessuno crede più ai riformisti che volevano aggiustare il sistema. Personalmente apprezzo tantissimo tutto ciò che è stato fatto da parte della generazione precedente con metodi più pacifici, credo che se non avessimo avuto tutto il lavoro fatto da loro oggi quello che stanno facendo questi giovanissimi non sarebbe stato possibile né così diffuso. La strada per arrivare fin qui è stata lunga. Donna, vita, libertà è finalmente la nostra rivoluzione. Il popolo iraniano che ormai combatte per la libertà da più di cento anni, vincerà grazie alle donne.
Quali sono gli intellettuali, gli artisti, i libri di riferimento per questo movimento? A quali altri movimenti si ispira e guarda?
Atleti, artisti, attori, scrittori stanno sostenendo questo movimento dentro e fuori dall’Iran, tutte persone che rischiano la vita e la libertà per dare questo appoggio. Penso all’atleta Elnaz Rekabi, che è stata messa agli arresti domiciliari per aver gareggiato senza velo, o a Taraneh Alidoosti, famosa attrice iraniana del film premio Oscar Il cliente di Asghar Farhadi, che ha tolto ufficialmente il velo sui social ed è finita in carcere. (È stata liberata all’inizio di gennaio dopo il grande lavoro fatto da parte degli artisti, inclusi gli attori di Hollywood e del cinema europeo)
A questo movimento molti artisti stanno dando sostegno con le loro opere ma ci sono allo stesso tempo tanti intellettuali e giornalisti che ogni giorno scrivono monitorando la situazione. Sono assolutamente sicura che questo movimento possa essere fonte di ispirazione per i movimenti futuri in Iran, nella zona mediorientale e in tutto il mondo. Spero un giorno di poter raccontare… “c’era una volta un dittatore, ma c’erano anche le donne come Mahsa Amini, Nika Shakarami, Hadis Najafi, Sarina Esmailzadeh, Donya Farhadi, Gazaleh Chalabi…”.
Questo movimento piano piano chiamato “rivoluzione” è il risultato di 100 anni di lotte, è il frutto della rivoluzione costituzionale del 1911 e della rivoluzione sconfitta del 1979 finita nelle mani di quegli assassini dei khomeinisti, un movimento democratico tradito dai governatori, una rivolta in cui erano presenti scrittori, giornalisti e poeti ancora oggi fonte di ispirazione. Ci sono canzoni scritte all’epoca che ancora oggi vengono cantate nelle proteste. C’è chi ascolta le parole di Noam Chomsky, chi crede in questa rivolta femminile appoggiata fortemente dagli uomini iraniani. C’è anche in questo movimento chi non legge ma vuole appoggiare le sue sorelle. C’è chi non conosce cosa dicono la destra o la sinistra, ma si arrabbia vedendo questa disuguaglianza fra sé e una donna iraniana. C’è anche chi impazzisce vedendo che il suo cantante preferito in Usa o in Europa sostiene e parla della rivoluzione iraniana.
Noi siamo contenti di vedere che le donne in Iran stanno portando avanti un movimento così evoluto che non viene appoggiato dai politici del mondo, ma viene sostenuto dagli artisti iraniani e internazionali, questo è un punto di forza di questo movimento femminile che si muove al di fuori di ogni opportunismo politico. I riferimenti culturali sono dei più diversi, da 1984 di Orwell, a Il maestro e Margherita di Bulgakov, da Notizia di un sequestro di Marquez (lettura suggerita da un detenuto politico per rispondere alla domanda di chi voleva sapere che cosa sta succedendo nel paese), al le poesie di Forough Farrokhzad, poetessa iraniana morta più di quarant’anni fa, che rimangono per noi sempre una fonte di ispirazione, di coraggio e di ribellione. Per quanto mi riguarda, c’è anche Ahmad Shamlu, poeta e intellettuale: un frammento di una delle sue poesie lo trovavamo sempre inciso sulle panchine della scuola “sentiranno l’odore della tua bocca nel caso in cui tu dicessi “ti amo…” sentiranno l’odore del tuo cuore, nel caso ci fosse una fiamma nascosta lì dentro. Sono tempi strani mia cara”. C’è a nutrire questo movimento quello che abbiamo letto e vissuto sotto una dittatura che sta crollando per merito delle donne, che sapevano già dall’inizio che non avrebbero accettato di essere vittime per sempre.
Il coraggio delle ragazze iraniane viene dalla generazione precedente, dalle madri e dalle sorelle che ogni giorno, in questi anni, hanno affrontato coraggiosamente migliaia di problemi grandi e piccoli e non sono rimaste in silenzio, ma ogni volta venivano oppresse e torturate, finché questo coraggio ha raggiunto i giovani di oggi.
In questi anni, la rabbia e la paura del peggioramento della situazione sono state le compagne costanti delle donne iraniane, ma gradualmente questa rabbia si è trasformata in coraggio e forza, fino al punto che ora queste donne scendono in strada e rischiano la loro vita gridando “Vita donna libertà!.
Come si organizza questo movimento, come progetta le proprie azioni di protesta, come comunica dentro una situazione politica di forte repressione e di controllo capillare della popolazione?
Una delle cose più interessanti di questo movimento, che lo differenzia da altri movimenti in Iran, è la mancanza di un leader. Le persone si mobilitano continuamente anche nei piccoli paesini attraverso le cerimonie che ricordano i giovani che ogni giorno vengono uccisi o per la liberazione dei giovani in prigione.
Oltre a questo, twitter e instagram sono gli strumenti per organizzare le proteste, entrambi filtrati dal regime. Ma c’è sempre un modo per superare i filtri.
Secondo te cosa in Europa non si comprende di questo movimento e dell’Iran? E cosa possiamo evitare di supporre e di fare? Molte e molti qui sono atterriti e sconvolti perché vengono uccise persone giovanissime: come poter rispettare il loro sacrificio? e dargli valore? è possibile?
I cittadini europei possono essere la nostra voce e possono unirsi a noi in modo che tutto il mondo sappia dei crimini del governo iraniano, ma più che altro abbiamo bisogno che i cittadini dei paesi europei chiedano ai loro governi di non appoggiare e di non sostenere il governo sanguinario iraniano, sia politicamente che economicamente. Finché lo chiediamo noi iraniani residenti in Italia grazie a un povero permesso di soggiorno da rinnovare, nessuno ci ascolterà. È importante che i cittadini europei sappiano che gli iraniani quando chiedono il “sostegno” dei governi europei non stanno chiedendo appoggio economico e non stanno chiedendo elemosina. Ma chiedono che i governi europei smettano di fare affari e di avere relazioni economiche con questo regime.
A volte mi sembra che molti europei pensino che l’unico problema in Iran sia il velo obbligatorio e l’unica cosa per cui la gente va a protestare sia la polizia morale. Il velo obbligatorio per noi donne – ma anche per tutti gli uomini iraniani che stanno sacrificando la loro vita nelle proteste – è solo un simbolo di tutti i diritti negati. Ci sono cliché che sono stati costruiti nelle menti degli europei riguardo all’Iran o in generale al Medio Oriente da 43 anni di dittatura del regime islamico: lo stereotipo è ben lontano dalla realtà che ho vissuto io da donna in Iran. Le donne e gli uomini della mia generazione non si sono mai inchinati davanti alla repressione del governo islamico, lo abbiamo continuamente combattuto, con qualsiasi metodo possibile. Mi pare che secondo alcune persone il Medio Oriente è come un buco nero pieno di guerra dove non c’è niente e bisogna solo bombardarlo!
Noi abbiamo vissuto una vita abbastanza simile alla vostra, solo che abbiamo sempre dovuto fare tutto con uno spirito ribelle: anche bere può diventare un atto politico, figuriamoci il modo di vestirsi di noi tutte donne peccatrici secondo gli ayatollah. Non eravamo morte che ora si sono risvegliate, siamo state vive, ma ci state vedendo solo adesso.
Come la diaspora iraniana guarda a questo tentativo di rivoluzione? Per chi è giovane ed è altrove deve essere un momento difficilissimo. Quale è la reazione?
Questa volta, gli iraniani che vivono fuori dall’Iran, siano essi giovani immigrati o famiglie che sono state lontane dalla loro patria per tanti anni, addirittura con visioni diverse, si sono uniti per la libertà delle donne iraniane. Perché vedono questo movimento come una rivoluzione e ci sperano molto. Ogni giorno impegnano la loro vita con gli uomini e le donne che sono nelle strade in Iran e cercano di portare la voce degli iraniani in tutto il mondo.
Si può dire che per la prima volta la diaspora iraniana si è unita in questa maniera sottolineando che l’opposizione del regime all’estero è rimasta ancora a litigare politicamente per la crisi di alternativa del governo iraniano. La gente normale, artisti liberi senza patria, attivisti in esilio e migliaia di giovani studenti iraniani residenti all’estero, per la prima volta si sono riuniti e hanno organizzato le manifestazioni e anche loro hanno fatto tutto senza un leader, senza una voce unica. Chi vive lontano dal suo paese vive tanti dolori e una gran parte di essi derivano da ciò che commette il governo iraniano.
Come artista in Europa, come pensi che l’arte o la tua arte possa sostenere la causa dei giovani iraniani?
L’artista può esprimere attraverso l’arte tutti i suoi sentimenti e gli eventi che la circondano, in un linguaggio che raggiunge anche chi non li comprenderebbe facilmente. Non ci sono limiti nell’arte e per questo i giovani iraniani possono essere sostenuti da lontano attraverso questo linguaggio. Inoltre vivendo all’estero hai la possibilità di lavorare più libero dalla censura applicata in Iran e conoscendo una lingua senza confini come quella dell’illustrazione hai il dovere e l’occasione di fare di tutto per nominare e ricordare chi sta lottando per i suoi diritti negati, quelli che tu ora hai. È un modo per condividere più profondamente il piacere della libertà ottenuta con chi non l’ha, ma la sta cercando.