Papa Francesco e l’opposizione “americana”
Si installerà in Ciociaria l’accademia del sovranismo reazionario mondiale, e più precisamente nella Certosa di Trisulti. Per capire come un’abbazia milleduecentesca che sorge tra le querce del frusinate possa diventare il pensatoio del trumpismo transnazionale, per trovare il filo di questa storia, bisogna fare qualche passo indietro.
Bruxelles, 2004. Silvio Berlusconi sceglie come candidato alla Commissione europea Rocco Buttiglione. Il quale, nel corso delle audizioni all’europarlamento, inciampa nella polemica: “Come cattolico considero l’omosessualità un peccato, ma non un crimine”. Le eurodeputate tedesche e olandesi “si accasciano sui banchi”, è la cronaca del “Corriere della Sera” dell’epoca, socialisti verdi e sinistra si impuntano, la commissione parlamentare boccia Buttiglione. Poco importa che il parere, in realtà, non sia vincolante, che basterebbe spostare Buttiglione in un’altra casella della Commissione e tutto si risolverebbe, se non fosse che Berlusconi, che ha più di un problema con la giustizia, vuole a tutti i costi quel posto, commissario alla Giustizia e agli Affari interni, anche a costo di sacrificare il suo ministro… L’incidente è troppo ghiotto per la galassia conservatrice, che lo presenta come una guerra di religione tra la massoneria secolarista e i buoni valori antichi, l’ultimo assalto alle radici cristiane del vecchio continente.
Tra i corridoi dell’eurocamera si muove un giovane assistente parlamentare, Benjamin Harnwell: lavora per il deputato britannico conservatore Nirj Deva, ma nel 2010 decide di lasciare la piovosa Strasburgo e trasferirsi a Roma per lavorare a tempo pieno in una fondazione cattolica, Dignitatis humanae institute, con agganci nei settori più conservatori del Vaticano. Come “padre fondatore” ritroviamo Rocco Buttiglione, presidente del comitato consultivo è il cardinale statunitense Raymond Leo Burke.
Burke è un ultras del cattolicesimo a stelle e strisce. A Saint Louis nega la comunione a John Kerry perché questi sostiene la libertà delle donne di abortire. Amante di paramenti liturgici fastosi e messe in latino, viene a Roma chiamato da Benedetto xvi, ma bacchetta duramente il papa tedesco quando egli ammette, in via beninteso del tutto teorica, l’uso eccezionalissimo del preservativo se una prostituta (nel testo originale tedesco, in realtà, “un prostituto”), ha contratto l’aids. Vive l’elezione al soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio come un funerale. La cordiale antipatia è ricambiata. Papa Francesco prima lo fa fuori dalla Curia romana (dacché era prefetto della Segnatura apostolica lo nomina al ruolo onorifico di cardinale patrono dell’ordine di Malta), poi lo solleva, di fatto, anche da questo incarico: quando la colonna anglofona dell’ordine di Malta scatena l’assalto al gruppo tedesco, reo di avere finanziato un progetto nel terzo mondo dove viene distribuito il preservativo (sempre quello), Jorge Mario Bergoglio interviene e commissaria la vecchia guardia. Il “cavaliere” britannico Henry Sire si vendica scrivendo un libro al vetriolo, sotto lo pseudonimo di Marcantonio Colonna, intitolato The dictator Pope, il papa dittatore, mentre sui muri di Roma compaiono di notte manifesti con un Bergoglio imbronciato, accusato di avere “decapitato l’ordine di Malta”, e lo sberleffo: “A Francè, ma n’do sta la tua misericordia?”.
Ma torniamo al Dignitatis humanae institute. Nel 2014, ben prima che Donald Trump lo chiami alla Casa Bianca, l’Istituto invita Steve Bannon, che in un lungo collegamento Skype dagli Stati Uniti espone la sua visione del mondo: il “sanguinoso conflitto” necessario per preservare l’Occidente giudaico-cristiano, un’islamofobia che trascolora nel suprematismo bianco, la denuncia del “capitalismo clientelare” di Washington e della finanza globale nell’era Obama-Clinton, un misto di diffidenza e ammirazione per la “cleptocrazia” putiniana, l’emergere di un tea party globale, la sintonia con i movimenti europei di destra. Passeranno gli anni, Bannon andrà alla Casa Bianca, poi il forastico Trump lo caccerà, e negli ultimi mesi lo ritroviamo aggirarsi in Italia, compagnone di Matteo Salvini, gran tifoso del governo giallo-verde, ospite d’onore alla kermesse di Giorgia Meloni. E promotore di un movimento sovranista transnazionale – The Movement – che, in vista delle elezioni della prossima primavera al Parlamento europeo (di nuovo Bruxelles), metta insieme Salvini (unico politico italiano a coltivare da anni un cordiale rapporto con il cardinale Burke) e Marine Le Pen, l’olandese Wilders e l’ungherese Orban.
Quest’impresa ha bisogno anche di una sua fucina. Ed ecco che spunta la Certosa di Trisulti. A inizio 2018 il ministero dei Beni culturali cerca privati a cui assegnare in concessione storici edifici tanto preziosi quanto esosi da manutenere: tra di essi l’antica abbazia del comune di Collepardo ormai abbandonata dai monaci, come sempre più spesso capita per i monasteri di tutta Europa svuotati dal calo di vocazioni. Si fa avanti il danaroso Dignitatis humanae institute e sbaraglia la concorrenza. Qui avrà casa un’“accademia per l’occidente giudeo-cristiano”, corsi pro life, lezioni di formazione destinate ai futuri quadri della galassia populista “per promuovere diversi progetti che dovrebbero dare un decisivo contributo alla difesa di quel che si soleva chiamare Cristianità”, ha spiegato alla Reuters il cardinale Burke, che sarà uno dei docenti insieme a Steve Bannon. Se ci fosse qualche dubbio, il Dignitatis humanae institute, ha spiegato Harnwell al giornale “Ciociaria oggi”, “è nato durante il pontificato di papa Benedetto xvi, ma forse è più vicina al carisma di papa Wojtyła”. Francesco non viene neppure citato.
Il malumore dell’arcipelago conservatore nei confronti di Jorge Mario Bergoglio, cresciuto nel corso dei cinque anni di pontificato, è ormai odio aperto. Accelerato da due eventi. Il primo è il doppio sinodo sulla famiglia (2014-2015) al termine del quale, nell’esortazione apostolica Amoris laetitia, il papa argentino ribalta la linea tenuta sinora dalla Chiesa, difesa con veemenza da Karol Wojtyła e con titubanza da Joseph Ratzinger, e sancisce la possibilità di concedere la comunione a una coppia di divorziati risposati. Fatta con gesuitica cautela, scritta in una nota a piè di pagina, condizionata a un percorso penitenziale, lasciata alla coscienza della singola coppia e del loro padre spirituale, ma – c’è poco da smentire – è una svolta. Che riguarda sicuramente una sparuta minoranza di fedeli, ma ha un peso simbolico non indifferente, non da ultimo perché identifica l’eucaristia non come premio dei perfetti ma come cibo per i peccatori. La blogsfera reazionaria impazzisce. Il cardinale Burke organizza la fronda. Prima contesta questa apertura, sostenendo che è una picconata alla famiglia tradizionale, poi contesta il papa pubblicando insieme ad altri tre anziani porporati conservatori una lista di dubbi dottrinali (in latino, ovviamente: dubia), e infine, a fronte del silenzio con cui Francesco risponde alle sue contestazioni, promuove una “correzione” formale del pontefice. Lo scontro è aperto.
E si ravviva – questo è il secondo evento che accende il tifo anti-bergogliano – quando riesplode lo scandalo della pedofilia. Questione che in teoria non ha nulla a che fare con le divergenze ideologiche, perché sia preti di sinistra che di destra hanno abusato di minorenni, sia vescovi progressisti che vescovi conservatori hanno insabbiato le denunce, ma invece – a differenza delle prime ondate dello scandalo, nel 2002 negli Stati Uniti, nel 2010 in Irlanda, Germania e svariati altri paesi – si trasforma in un campo di battaglia tra opposte fazioni ecclesiali. Quando viene fuori che l’anziano cardinale statunitense Theodore McCarrick, arcivescovo emerito di Washington, tendenza progressista, ha abusato per anni di giovani seminaristi, nonché di un minorenne, l’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, monsignor Carlo Maria Viganò, pubblica su diverse testate conservatrici un j’accuse nel quale, dopo aver scritto che in Vaticano da anni tutti sapevano, compresi vescovi, cardinali, tre segretari di Stato e tre papi (Giovanni Paolo II, Benedetto xvi e Francesco), chiede le dimissioni di quest’ultimo. Il cardinale Burke e gli opinionisti cattolici reazionari degli Stati Uniti, ovviamente, benedicono la crociata.
Va qui fatta una parentesi. Sebbene questo articolo non sia dedicato al tema della pedofilia nella Chiesa, va chiarito che gli avversari di Bergoglio lo attaccano su questo terreno perché è un suo punto debole. Personalmente integerrimo, papa Francesco è però sembrato fin dall’inizio del pontificato sottovalutare la gravità di questo scandalo, e ora deve inseguire lo scandalo. Aveva molte altre questioni in agenda, coltivava l’obiettivo politico di distogliere la concentrazione dell’opinione pubblica dagli scandali che funestarono gli ultimi anni di governo del suo predecessore, ha avuto il buon senso di non trasformare una sacrosanta battaglia in una caccia alle streghe, e ha fin da subito preso iniziative significative – un giro di vite normativo, la nascita di una commissione pontificia, l’introduzione del reato di abuso d’ufficio episcopale – ma è stato troppo lento e troppo cauto. Sulle accuse di monsignor Viganò – evidentemente in malafede, eppure sostanziose – tace. In Cile ha bollato come “calunnie” le accuse delle vittime di un prete pedofilo, poi si è scusato con gli accusatori, ha dimesso i vescovi accusati, ha spretato il sacerdote (pinochetista) in questione. E certamente una riforma che smonti il clericalismo, dia più spazio alle Chiese locali, ai laici e alle donne, superi una certa ossessione per le tematiche che incrociano la sessualità e punti a una conversione missionaria dei singoli e dell’intero corpo ecclesiale – ossia quel che Jorge Mario Bergoglio sta facendo – è, nel lungo periodo, la migliore risposta agli abusi sessuali, che – il papa adesso lo dice chiaramente – sono sempre abusi di potere. Ma servono risposte univoche anche nel breve periodo. Adesso che lo scandalo è tornato a esplodere in molte Chiese del mondo, Bergoglio sembra aver preso le misure. Ha convocato i presidenti delle conferenze episcopali di tutto il globo a febbraio in Vaticano. Sarebbe bello che ne uscisse un provvedimento semplice e chiaro, ad esempio l’obbligo per un uomo di Chiesa di denunciare i preti accusati di molestie alle forze dell’ordine, anziché lavare i panni sporchi in famiglia. Quello che invece non serve, come ha scritto l’associazione Ending clergy abuse dopo la pubblicazione del memoriale dell’ex nunzio negli Stati Uniti, è “la lotta tra fazioni di Curia che stanno sfruttando la crisi degli abusi sessuali del clero e le vittime come leva nella battaglia per il potere”.
Perché questo è il punto. Quello della pedofilia è solo l’ultimo pretesto per muovere guerra a un pontefice riformista. Una guerra combattuta sui blog e sui social media. Portata avanti da una minoranza piccola, rumorosa. E statunitense. Nell’entourage di papa Francesco è opinione comune che “l’opposizione viene dagli Stati Uniti”. L’ostilità reciproca tra Jorge Mario Bergoglio e Donald Trump le ha dato forza. I danarosi benefattori che in questi anni minacciano periodicamente di cancellare i loro contributi alla Santa Sede l’accompagnano. L’invito che papa Francesco rivolse ai vescovi statunitensi, a Washington nel 2015, ad abbandonare il “linguaggio aspro e bellicoso della divisione”, certifica la rottura. E la virulenza con cui la fronda conservatrice statunitense – che sia il cardinale Burke, il nunzio Viganò, opinionisti à la page, network informativi cattolici – attacca il papa, oltre a essere inedita nella storia moderna del cattolicesimo, è talmente aperta da far sospettare che non ci sia solo una battaglia di posizionamento in vista del prossimo conclave.
Gli Stati Uniti, un tempo terra di approdo degli emigrati cattolici italiani, irlandesi, polacchi, sono divenuti col tempo culla di un cattolicesimo peculiare. Una fede che accentua la dimensione morale del cristianesimo, a scapito di quella profetica. Interconnessa al capitalismo che permea la cultura di Oltreoceano. In competizione con un protestantesimo evangelicale nazionalista, razzista, proselitistico, omofobo. Non casualmente “Civiltà cattolica”, quindicinale dei gesuiti molto vicino a papa Francesco, ha messo in guardia da un “ecumenismo dell’odio” – quasi un jihadismo cristiano – che unisce le frange più tradizionaliste del cattolicesimo e del protestantesimo. Nei lunghi anni di Giovanni Paolo II, poi, con il collante dell’anticomunismo, molti vescovi hanno virato a destra, identificando, in una costante culture war, la fede cattolica con l’ideologia pro life o il rifiuto delle nozze gay, e lasciando in secondo piano le aperture alla società e alla modernità del Concilio vaticano II. Infine, negli ultimi anni, ha preso forza, parallelamente all’elezione di Donald Trump, al rinascere di antiche pulsioni nazionaliste e razziste, negli Stati Uniti come in Europa, un nuovo oltranzismo. Un “nuovo integralismo medievalista” in conflitto con la “vecchia scuola neo-conservatrice” per la “supremazia all’interno del cattolicesimo americano conservatore”, nell’analisi di Massimo Faggioli, storico italiano del cristianesimo trapiantato negli Stati Uniti. Ha preso corpo, insomma, un cattolicesimo quasi separato. Tollerato prima che venisse eletto Jorge Mario Bergoglio, adesso in odore di eresia. E pronto allo scisma.
La frattura è profondissima. Ed è la stessa che, sin dal primo manifestarsi della modernità, lacera altre famiglie cristiane (l’anglicanesimo, il protestantesimo, da ultimo l’ortodossia, alle prese con uno scontro tra Mosca e Costantinopoli) così come le altre religioni abramitiche, ebraismo e islam. È l’incompatibilità tra chi nella secolarizzazione, nella democrazia, nel pluralismo etnico e religioso vede minacce alla stabilità della società, ai valori tradizionali, alla famiglia eterosessuale, e chi crede che Dio sia in tutte le cose, in tutte le epoche, in tutte le culture, anche nella modernità.
In questo scontro tra “modernisti” e “fondamentalisti”, sia detto per inciso, i conservatori, paradossalmente, quelli che vorrebbero che le cose rimanessero come sono sempre state, sono ormai una specie in estinzione. Soppiantati dai reazionari, i nostalgici di un passato mitologico, che siano i deliziosi piccoli monasteri benedettini medievali (è la tesi della Benedict option di Rod Dreher, un bestseller molto amato anche dai nostri teocon), le legnate che si davano cristiani e musulmani all’epoca delle crociate, la placida, sanguinolenta Controriforma, o, più modestamente, il messale preconciliare. E anche nel fronte opposto, quello dei riformisti, o progressisti o conciliaristi che dir si voglia, le proposte più gradualiste sono surclassate da critiche radicali al papa gesuita – in Italia si veda il libro di Marco Marzano La Chiesa immobile – che, dall’abolizione del celibato obbligatorio alle donne prete, dall’elezione del parroco a procedure sinodali democratiche, si ispirano più alle idee della rivoluzione che a quelle della riforma, ignorano la prospettiva di un nuovo scisma d’Occidente, svalutano ogni passo avanti, piccolo o grande, fatto da questo papa, sognano un Concilio vaticano III come fosse la presa della Bastiglia.
Papa Francesco non ha provocato, ma ha semplicemente portato alla luce, lo scontro in seno alla cattolicità. Prima di lui, il Concilio vaticano II (1962-1965) aveva registrato il distacco, a destra, della faglia lefebvriana. Il movimento tellurico ha ripreso ora perché il pontefice argentino torna a quel Concilio un po’ trascurato dai predecessori. Perché annuncia un cattolicesimo che non si concepisce principalmente come morale, che non mira primariamente a fare proseliti tra i non credenti, a rimbrottare i fedeli sui loro costumi sessuali, a fare alleanze politiche in difesa dei “valori non negoziabili”, ma apre le porte della Chiesa agli irregolari, ai lontani, dialoga con le persone di altre fedi. Non sposa acriticamente la modernità, ma orienta la Chiesa a un atteggiamento di non belligeranza verso di essa, addirittura di porosità, quella che ha permesso al cristianesimo di evolvere e, al contempo, di rimanere attuale, di fecondare la cultura del proprio tempo senza sottomettervisi. Jorge Mario Bergoglio tenta di tradurre il messaggio cristiano nei termini culturali dell’umanità odierna, come i missionari gesuiti del Seicento e del Settecento facevano quando diffondevano il cattolicesimo in America Latina o in Giappone e Cina.
E non è un caso che proprio in queste settimane papa Francesco ha raggiunto lo storico risultato di un accordo con il governo cinese sulle nomine dei vescovi nel celeste impero. Era dal 1951, dalla presa del potere di Mao Tse-tung, che Roma e Pechino non venivano a patti. Ci voleva un pontefice sudamericano, determinato a voltare la pagina dell’alleanza anticomunista siglata da Karol Wojtyła con Washington, ad archiviare per sempre la guerra fredda, per imprimere questa svolta. Non sono mancati, e non mancheranno, nella Chiesa così come nella burocrazia cinese, i duri e puri impegnati a boicottare l’appeasement. Il “Wall Street Journal” ha messo in luce tutti i rischi e tutte le ambiguità dell’accordo, il cardinale Zen Ze-kiun, per citare il critico più vocale, arcivescovo emerito di Hong Kong, quello che la scorsa primavera apparve in video a un convegno in un hotel di Roma promosso dal cardinale Burke – in prima fila, monsignor Viganò – per pubblicare la formale correctio dottrinale del papa regnante, ha protestato con rabbia. Ma questa è minutaglia di cronaca, anzi di aneddotica. Spiegheranno gli storici il senso degli eventi ai quali assistiamo. Noi possiamo solo registrare che mentre la Santa Sede e il cattolicesimo reazionario a stelle e strisce rischiano il divorzio, mentre negli Stati Uniti e in Europa calano le vocazioni, chiudono i monasteri, le chiese cattoliche si interrogano sulla propria fecondità, risorgono antichi razzismi, protezionismi, nazionalismi, il vescovo di Roma ha indirizzato la barca di Pietro verso i lidi lontani dell’oceano Pacifico, dove un cattolicesimo minoritario, più o meno tollerato dalle pubbliche autorità, cresce a ritmi che sulle due sponde dell’Atlantico accadeva giusto quando la Certosa di Trisulti sovrabbondava di monaci.