Gli Asini - Rivista

Educazione e intervento sociale

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Oggi: il rovescio della medaglia

8 Giugno 2013
Maria Stefani

Il servizio sociale professionale italiano, come lo intendiamo oggi, è nato nel periodo fervido della ricostruzione materiale e morale del Paese ha circa 70 anni. Un impulso importante, alla sua origine, è venuto dal Ministro dell’Assistenza post bellica Emilio Sereni, del partito comunista, e dagli esperti americani che gestivano i fondi UNRRA in Italia.

Nel tempo gli assistenti sociali hanno condiviso gli anni delle riforme, sono inseriti in leggi di settore, hanno contribuito alla legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, hanno preteso l’inserimento della formazione di base nel sistema formativo universitario, hanno ottenuto l’istituzione dell’ordine professionale articolato a livello regionale, hanno finanche un proprio sindacato unitario.

Quale obiettivo è stato attribuito al servizio sociale in Italia? Ritengo che la miglior definizione del mandato sociale, o mission come si dice adesso, degli assistenti sociali, sia contribuire ad attuare il dettato del secondo comma dell’art.3 della Carta Costituzionale, che forse è utile ricordare in questa sede.

“E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Altri articoli, in particolare gli artt. 2 e 38, e tutta la Costituzione, affermano diritti di uguaglianza e di solidarietà, ma l’art.3 è quello che dobbiamo ricordare sempre. Garantire l’uguaglianza delle persone è un compito dello Stato che può essere realizzato con strumenti e modalità diverse. L’assistente sociale è chiamato a promuovere l’inclusione di tutti, anche le persone con disagio, nella comunità di cui sono parte: superando l’accezione tradizionale di assistenza come luogo di realizzazione di interventi meramente riparativi del disagio, per un impegno di protezione sociale attiva, luogo di rimozione delle cause del disagio, e principalmente luogo di prevenzione e promozione dell’inserimento della persona nella società attraverso la valorizzazione della sue capacità.

Maria Calogero, indimenticabile protagonista della fase iniziale del servizio sociale italiano, così segnalava i limiti dell’assistenza beneficienza al mitico Convegno di studio per l’assistenza tenutosi a Tremezzo nel 1946: “una specie di lenitivo spalmato sul corpo dolente della società, un po’ per farle del bene e un po’ per farla star quieta ed evitare il rischio di suoi scatti esasperati”.

Ma vediamo chi sono gli assistenti sociali oggi?

Gli assistenti sociali, per svolgere la professione, devono avere conseguito almeno una laurea triennale ed aver superato un esame di stato abilitante. La formazione universitaria, l’unica attualmente valida, prevede anche un biennio magistrale ed il dottorato di ricerca. Attualmente nel Paese sono attivi 30 corsi di laurea triennali, 27 lauree magistrali e 10 scuole dottorali.

L’inserimento della formazione nell’Università è stata una aspirazione della professione fin dagli anni cinquanta, per migliorarne lo status e omologarsi alle professioni più consolidate e prestigiose. L’obiettivo è stato raggiunto dopo molti anni con un notevole dispendio di energie e senza il riconoscimento di uno specifico settore scentifico disciplinare al servizio sociale che è inserito nel raggruppamento di sociologia generale.

Il modello formativo precedente era improntato ad un forte pragmatismo, molte scuole di servizio sociale erano direttamente coinvolte nella sperimentazione dei nuovi servizi, il percorso formativo prevedeva tirocini ed altre esperienze che, nel curriculo, avevano valenza analoga all’apprendimento teorico; assistenti sociali esperti erano presenti a tempo pieno nelle scuole e seguivano gli studenti in percorsi formativi personalizzati. Nel tempo queste caratteristiche della formazione di base si sono affievolite e sono anche cessati i finanziamenti pubblici e privati che rendevano possibile il funzionamento delle scuole..

L’inserimento nell’Università è avvenuto in maniera difforme; la collocazione dei corsi di servizio sociale, nelle Facoltà prima e nei Dipartimenti ora, varia nelle diverse sedi ed è determinato da fattori locali, dall’interesse e dalla disponibilità di titolari di cattedre diverse più che dalle esigenze della formazione di un operatore con caratteristiche specifiche. Ugualmente varia è la formazione dei Presidenti dei corsi di laurea in servizio sociale: sono sociologi, psicologi, economisti, medici.

Si è ridotto lo spazio delle esperienze di tirocinio. Le materie di servizio sociale, inserite nel raggruppamento di sociologia generale sono: Principi e fondamenti del servizio sociale, Metodi e tecniche del servizio sociale, mentre non sono più previste: Ricerca di servizio sociale e Politiche sociali, privando in tal modo la formazione di strumenti necessari ad un lavoro di valutazione critica del contesto nel quale operare.

Le docenze degli insegnamenti professionalizzanti da parte di assistenti sociali non sono garantite, in quanto pochi assistenti sociali sono inseriti nel cursus honorum universitario, anche se attualmente sono in aumento. Rispetto agli anni cinquanta, nei quali il servizio sociale ha cominciato a diffondersi in Italia, le scienze dell’uomo, psicologia, sociologia, antropologia culturale, si sono diffuse e hanno aumentato il loro spessore, quindi, gli attuali e i futuri, assistenti sociali hanno ambiti culturali, cui fare riferimento, più ampi che in passato.Tuttavia personalmente ritengo la formazione per il servizio sociale debba mantenere un forte collegamento con la realtà operativa e con le sperimentazioni.

Le regole relative alle docenze universitarie nel nostro Paese sono orientate verso approfondimenti teorici e sono diffidenti rispetto all’attività pratica. Sarebbe importante che l’inserimento nell’università favorisse il lavoro di ricerca e che la specificità del lavoro dell’assistente sociale che studia i bisogni, dove e come concretamente si verificano, e cerca nuove soluzioni per affrontali e possibilmente superarli venisse mantenuta e rafforzata.

C’è il rischio che il tanto agognato inserimento del servizio sociale nelle Università limiti anziché valorizzare la specificità professionale degli operatori. Si rischia di perdere la caratteristica della continua rielaborazione dalla pratica, prassi-teoria-prassi, che ha caratterizzato tutta la fase precedente.

C’è il rischio attuale che i corsi di laurea per gli assistenti sociali vengano attivati per produrre cattedre per studiosi di altre discipline.

Quanti sono gli assistenti sociali in Italia? Che dimensione ha, ora, la categoria? Comunciamo a contarli, gli assistenti sociali in Italia sono circa 40.000: infatti dai dati del Ministero di Giustizia, al 31 12 2012, risultano iscritti agli ordini regionali n.39487, non tutti gli assistenti sociali sono iscritti all’ordine professionale, infatti esistono ancora pochi casi nei quali l’iscrizione all’ordine non è obbligatoria. Si tratta di una cifra rappresentativa di un gruppo professionale non irrilevante, anche se molto inferiore a quella degli infermieri che, in campo sanitario, spesso contendono il campo e degli impiegati amministrativi che, negli Enti locali, stabiliscono l’organizzazione del lavoro.

Se analizziamo la distribuzione nelle Regioni e calcoliamo il rapporto tra la popolazione e gli assistenti sociali iscritti all’ordine, troviamo dati sorprendenti: i migliori rapporti si hanno in Calabria con 893 e in Sicilia con 927 abitanti per assistente sociale, mentre i rapporti minori si hanno in Lombardia con 2041 ed Emilia Romagna con 2036; Lazio e Toscana hanno un rapporto analogo di 1840 abitanti per assistente sociale.

In base ai dati relativi all’esistenza ed al funzionamento dei servizi sociali nelle Regioni, si dovrebbe dedurre che la presenza di assistenti sociali non favorisce lo sviluppo di servizi sociali. Ovviamente tale indagine dovrebbe essere fatta in maniera più approfondita per capire le caratteristiche degli assistenti sociali della Sicilia e della Calabria, dove sono collocati e che cosa ha determinato questa maggior presenza, indagine che la mia energia e l’economia di questo scritto non consentono.

Qual è il contenuto dell’attività degli assistenti sociali? Altro grosso successo conseguito in anni recenti, è stata l’emanazione della legge n.328 del 2000 che ha normato la materia dopo oltre cento anni dalla analoga legge Crispi. Si tratta di una legge quadro che prevede una serie di decreti e leggi regionali attuative, non tutti emati nei termini. E’ una legge di trenta articoli divisi in sei capi: I)Principi generali del sistema integrato di interventi e servizi sociali; II)Assetto istituzionale e organizzazione del sistema; III)Disposizioni per la realizzazione di particolari interventi di integrazione e sostegno sociale; IV)Strumenti per favorire il riordino del sistema; V)Interveni, servizi ed emonumenti economici; VI)Disposizioni finali.

Ai nostri fini ritengo utile leggere l’art.22 del capo V, che elenca gli interventi che costituiscono i livelli essenziali delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di bene e servizi:

a)misure di sostegno alla povertà e di sostegno al reddito e servizi di accompegnamento, con particolare riferimento alle persone senza fissa dimora; b)misure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza a domicilio di persone totalmente dipendenti o incapaci di compiere gli atti propri della vita quotidiana; c)interventi di sostegno per i minori in situazioni di disagio tramite il sostegno al nucleo familiari di origine e l’inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare e per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza; d)misure per il sostegno delle responsabilità familiari, per favorire l’armonizzazione del tempo di lavoro e di cura familiare; e)misure di sostegno alle donne in difficoltà per assicurare i benefici disposti dal regio decretolegge 8 maggio 1927, n.798; convertito dalla legge 6 dicembre 1928, n.2838, e dalla legge 10 dicembre 1925, n.2277, e loro sucessive modifiche, integrazioni e norme attuative; f)interventi per la piena integrazione sociale delle persone disabili, ivi compresa la dotazione dei centri socio-riabilitativi, di comunità alloggio e di accoglienza per quelli privi di sostegno familiare, nonché erogazione delle prestazioni di sostituzione temporanea delle famiglie; g)interventi per le persone anziane e disabili per favorire la permanenza a domicilio, per l’inseriemnto presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare, nonché l’accoglienza e la socializzazione presso strutture residenziali e semiresidenziali; per coloro che, in ragione della elevata fragilità personale e di limitazione dell’autonomia, non siano assistibili a domicilio; h)prestazioni integrate di tipo socio educative per contrastare dipendenze da droghe, alcool e farmaci, favorendo interventi di natura preventiva, di recupero e reinserimento sociale; i)informazione e consulenza alle famiglie per favorire la fruizione dei servizi e l’autoaiuto.

L’articolo, inoltre, individua i servizi di base che devono essere erogati in ogni ambito territoriale, che auspicabilmente deve coincidere con il distretto sanitario, che sono: a)servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari; b)servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari; c)assistenza domiciliare; d)strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali; e)centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario.

Non mi addentro in un commento puntuale della legge che è avvenuto in altre sedi, ma riflettendo sul lavoro che svolgono gli assistenti sociali, ritengo che l’elenco sopra riportato fornisca un quadro dettagliato, molto frammentato e apparentemente privo di evoluzione. Infatti già risulta incompleto in quanto non cita nuovi problemi emergenti quali, ad esempio, la ludopatia, come problema sociale in pericoloso aumento, né le iniziative per il “dopo di noi” a favore di persone non autonome dopo la perdita dei genitori che hanno costituito la struttura assistenziale primaria, un problema nuovo che deriva dai progressi della medicina che hanno aumentato la speranza di vita anche per disabili.

Gli assistenti sociali lavorano; nei Comuni, nei Consozi e negli organismi del decentramento amministrativo locale; nei servizi socio-sanitari del Servizio Sanitario Nazionale; nei Ministeri della Giustizia, in particolare collaborando con i Giudici a favore dei minori e della esecuzione della pena all’esterno del carcere; del Ministero dell’Interno, per interventi per i tossicodipendenti; in cooperative e strutture del privato sociale profit e non profit.

Al momento attuale sono appagati e orgogliosi della propria professione? Solo in parte: alcuni, riescono a trovare elementi positivi nel proprio lavoro, ma la maggior parte è amareggiata e delusa relativamente all’organizzazione del lavoro nel quale è inserita e incerta sull’efficiacia dei propri interventi. Da cosa deriva il disamore per la professione che registro abbastanza diffuso tra gli operatori oggi nei servizi?

Una prova che, nonostante le conquiste normative, lo status della professione sia ancora molto debole deriva dall’immagine dell’assistente sociale che, nei media, rimane prevalentemente negativa. Nella maggior parte dei casi si tratta di donne, non molto giovani, bruttine o comunque di aspetto insignificante, che adempiono a ruoli repressivi e/o di controllo, immagini che certo non vogliono suscitare simpatia nel pubblico.

Ritengo opportuno sottolineare che negli stereotipi si sono verificate modifiche: si è passati dalla definizione, data con cattiveria da sociologi, di: “rammendatrici delle lacerazioni del sistema dal dialogo facile”, alla accusa di “ladri di bambini”fastidiosamente presente in notizie di cronaca giornalistica. Cioè si è passati da considerare una professione coinvolta nel sistema ad una professione che attua interventi puntuali.

Non voglio escludere che si siano verificati casi di errori di valutazione delle capacità di accudimento da parte di genitori posti in atto da colleghi, per incompetenza e per un malinteso senso di potere. Ma ritengo che la definizione di ladri di bambini, derivi piuttosto dalla difficoltà di accettare l’esistenza di un’autorità esterna che entri all’interno di una famiglia e si arroghi il diritto di valutarne le capacità di assolvere i propri compiti. E’ inutile ricordare che gli eventuali allontanamenti di minori dai genitori naturali possono avvenire solo dopo un atto del giudice che utilizza la relazione dell’assistente sociale, ma a cui compete la responsabilità della decisione. Mi pare la conseguenza del fatto che nella nostra cultura l’autorità pubblica viene vissuta più come un pericolo da evitare che come una risorsa e un garante di protezione dei più fragili.

A tale stato di cose si aggiungono al momento precise criticità nel settore. E’ avvenuta e forse continuerà ulteriormente una riduzione delle risorse finanziarie destinate al settore che ha determinato l’impossibilità di ampliare la gamma degli interventi. Inoltre le politiche di riduzione del personale nei vari livelli della pubblica amministrazione determina l’impossibilità del turn over del personale con la conseguenza della continua riduzione degli organici. Tale situazione ha determinato il frazionamento dell’orario di lavoro con presenze di assistenti sociali per quote orarie in diversi servizi, rendendo più difficile un lavoro in èquipes multiprofessionali tanto necessario per rispondere a bisogni sempre più complessi.

Altra ciriticità deriva dall’organizzazione del lavoro: il servizio sociale ha modalità di lavoro diverse da quelle sia del lavoro burocratico sia da quello ambulatoriale: l’assistente sociale deve avvicinarsi alla popolazione, partecipare ad eventi esterni, deve andare a domicilio degli utenti/clienti, per valutare in maniera approfondita la situazione di bisogno, deve avere orari flessibili, anche se, ovviamente, verificabili. Si tratta di obiettivi che per essere raggiunti richiedono un’autorevolezza personale che deriva da una autorappresentazione forte, che spesso manca ai singoli operatori. A furia di essere identificati con i clienti/utenti rischiamo di sentirci, a nostra volta, esclusi.

Anche la sempre più diffusa esternalizzazione dei servizi costituisce elemento di criticità. Infatti ha come obiettivo il risparmio, con le inevitabili conseguenze di sfruttamento degli operatori, irrigidimento delle prestazioni. Inoltre l’affidamento di servizi ad organismi esterni, alle amministrazioni preposte avviene per una durata definita, con il rischio di una continua rotazione. Mentre si tratta di interventi nei quali la relazione operatore- utente è l’elemento fondamentale per ottenere risultati positivi, interventi nei quali la rotazione degli operatori è dannosa e determina uno spreco di risorse. Esattamente il contrario di quello che apparentemente l’esternalizzazione voleva ottenere. Si deve anche rilevare la difficoltà di collaborazione tra operatori con compiti analoghi e rapporti di lavoro diversi che possono determinare tristi guerre fra poveri.

Io ritengo che, oltre al rovescio della medaglia nelle conquiste che, senza dubbio, la professione ha ottenuto negli anni, ci sia una specie di peccato originale che consiste nella ricerca della omologazione alle professioni più consolidate e con uno status sociale maggiormente prestigioso, che invece, a mio parere, non può raggiungere l’obiettivo.

Per promuovere un welfare efficace in epoca moderna è necessario mantenere alta la tensione progettuale e valutativa in modo da avviare processi di consolidamento e sviluppo dei sistemi dei servizi. E’ necessaria una visione strategica che consenta di mantenere spazi di motivazione e riflessione e che colga le opportunità di guardare oltre, opportunità che la progettazione e la valutazione contengono. La pratica di progettazione sociale ha mostrato come essa non possa ridursi alla struttura logica degli interventi, ma comporti la promozione di relazioni efficaci e il coinvolgimento delle comunità: è soprattutto da tali fattori che deriva l’efficiacia dei progetti.

Il servizio sociale interviene per promuovere ed elevare in ogni direzione le forze umane, laddove non bastino le leggi e le istituzioni vigenti per eliminare le condizioni di bisogno individuale e generale o tutelare l’individuo nei confronti di esse.

Io credo che il peccato originale del servizio sociale professionale sia la perdita della carica sperimentale e della ricerca continua di novità per il proprio lavoro, per produrre cambiamento si deve continuare a cambiare.

Per chiarire faccio due esempi: uno nel settore sociale ed uno in quello socio-sanitario.

Soggiorni di vacanza per anziani.

Quando sono cominciati i primi soggiorni di vacanza per anziani delle borgate romane, nel 1971, per alcuni dei partecipanti è stata la prima occasione di fare una vacanza e di vedere il mare, che dista 30 chilometri! Erano servizi che venivano preparati con riunioni nei quartieri, per fornire informazioni sull’organizzazione, per superare diffidenze e paure. I soggiorni sono stati occasione di nuove relazioni amicali, di superamento di situazioni di solitudine che sono continuate anche dopo il ritorno a casa. In qualche caso è stato perfino possibile promuovere, a seguito dell’esperienza, coabitazioni tra persone che avevano problemi di alloggio e persone che vivevano con disagio la solitudine, un “cohousing” ante litteram. Sono stati occasioni di reinserimento nel tessuto sociale di persone con disagio mentale nella fase di supermento dell’ospedale psichiatrico.

Adesso i soggiorni di vacanza sono servizi diffusi da parte dei Comuni, ma sono servizi standardizzati, nei quali non sempre sono coinvolti operatori, a volte la gestione è completamente delegata agli albergatori. Si è persa la carica sperimentale che facilitava l’emergere di nuove potenzialità anche da parte dei partecipanti utenti.

Altro esempio, che propongo è quello dei consultori familiari, la cui istituzione è derivata da una mabilitazione delle donne a cui hanno partecipato anche gli operatori che hanno condiviso gli obiettivi di promozione di una nuova cultura del rapporto delle donne con il proprio corpo e dei rapporti familiari. Nel tempo i consultori familiari, all’interno del servizio sanitario nazionale, hanno perso la carica originale e sempre più spesso sono diventati meri ambulatori di specialità sanitarie.

Certamente l’attuale situazione di crisi sociale ed economica del Paese e del mondo intero, rendono molto più impegnativo e faticoso il lavoro degli assistenti sociali, ma, a maggior ragione, ritengo che debba essere mantenuta e potenziata una dimensione creativa di ricerca di risposte originali a bisogni nuovi ed antichi presenti nella comunità nella quale operiamo.

Concludo con due autorevoli citazioni, che ritengo possano guidare il nostro lavoro.

Ancora Maria Calogero che afferma: l’assistente sociale sa benissimo che il vigente ordine delle cose è tutt’altro che soddisfacente e definitivo (lo sa oggi e lo saprà sempre, perché nessun ordinamento sarà mai del tutto soddisfacente e definitivo, e sempre resterà altro da desiderare e altro da fare); ma, intanto, cerca di sfruttare al massimo tutti gli strumenti legali e sociali che il suo ambiente gli offre, al fine di facilitare ai meno esperti e ai meno abili l’uso del proprio diritto e quindi di avviarli a poco a poco anche alla capacità di concepire e di volere un mondo migliore.

E il Presidente Napolitano che, alla VI conferenza del volontariato all’Aqila nel dicembre 2012 ha invitato i partecipanti a: “Ricostruire una società più inclusiva e coesa per fronteggiare la diffusa incertezza”

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