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Non si tratta solo di una pandemia

Illustrazione di Anke Feuchtenberger
29 Marzo 2021
Richard Horton

Richard Horton, medico fisiologo, docente onorario a Londra alla School of Hygiene and Tropical Medicine e all’University College, e in Svezia all’Università di Oslo, è una figura di riferimento per l’editoria medica internazionale. Ha iniziato nel 1990 una collaborazione unica nel suo genere – impegnata e militante, ma soprattutto culturalmente fruttuosa – con la prestigiosa rivista “The Lancet” che tratta gli aspetti della medicina in forma interdisciplinare, centrando l’attenzione sui determinanti sociali delle malattie.

Oltre agli interventi scientifici e agli editoriali pubblicati su “The Lancet”, di cui è ora direttore, Horton scrive per la “New York Review of Books” e per il supplemento letterario settimanale del “Times” di Londra. Vanno inoltre segnalati i suoi libri Health Wars (Le guerre della salute) pubblicato nel 2003 dalla New York Review of Books e i rapporti Doctors in Society (I medici nella società, 2005) e Innovating for Health (Innovare per la salute, 2009) pubblicati dal Royal College of Physicians di Londra.

Bloccato a Londra nei lunghi mesi della disordinata quarantena tardivamente decisa dal governo di Boris Johnson nel 2020 per arginare la prima ondata pandemica in Gran Bretagna, Horton ne ha approfittato per scrivere Covid-19. La catastrofe. Cosa è andato storto e come evitare che si ripeta (Il Pensiero Scientifico 2020). Fra gli interventi più illuminanti di Horton, che ringraziamo per aver concesso la pubblicazione del suo articolo, riprendiamo qui un editoriale pubblicato su “The Lancet” nel settembre 2020, Covid-19 is not a pandemic.

Mentre nel mondo stiamo superando il milione di morti per il Covid-19, dobbiamo ammettere che stiamo applicando strumenti piuttosto riduttivi nel tentativo di contrastare l’espansione di questo nuovo coronavirus. Abbiamo individuato la causa di questa crisi solo nella malattia infettiva. Tutti i nostri sforzi si sono focalizzati sull’interruzione delle forme di trasmissione del virus, nel tentativo di controllare la diffusione di questo agente patogeno.

La “scienza” a cui si sono affidati i governi è stata guidata principalmente da esperti teorici dei modelli epidemiologici e da specialisti di malattie infettive, i quali comprensibilmente inquadrano l’emergenza secondo i canoni delle pandemie secolari. Tuttavia, ciò che abbiamo imparato finora ci dice che la storia del Covid-19 non è così semplice da declinare.

Due tipologie di malattie stanno in realtà agendo in sinergia, incidendo maggiormente sulla salute di alcune popolazioni specifiche – la grave infezione da coronavirus2 con sindrome respiratoria acuta (Sars-CoV-2) e una serie di malattie degenerative di tipo non contagioso. Le condizioni per lo sviluppo di entrambe le tipologie riguardano soprattutto alcuni gruppi sociali e si ritrovano concentrate a causa di disuguaglianze profondamente radicate nelle nostre società.

La combinazione di queste patologie nei contesti di disuguaglianza sociale ed economica, accentua gli effetti negativi di ogni singola malattia. Il Covid-19 non è solo una pandemia: è una sindemia e la natura sindemica della crisi sanitaria che stiamo fronteggiando richiede un’analisi più completa se si vuole proteggere la salute delle nostre comunità.

La nozione di sindemia è stata coniata per la prima volta da Merrill Singer, un antropologo medico statunitense, negli anni novanta dello scorso secolo. Scrivendo su “The Lancet” nel 2017, insieme con Emily Mendenhall e altri coautori, Singer ha sostenuto che solo una visione sindemica porta alla luce tutte le interazioni biologiche e sociali da considerare per la prognosi e il trattamento delle malattie e per le politiche sanitarie. Per ridurre il danno causato dalla Sars-CoV-2 occorrerà prestare un’attenzione di gran lunga maggiore alle malattie non trasmissibili e alle disuguaglianze socio-economiche rispetto a quanto finora è avvenuto. Una sindemia non è semplicemente una comorbilità, una compresenza di più malattie. Le sindemie riguardano le patologie con incidenza accentuata da interazioni fra biologia e condizione sociale, che in determinate condizioni economiche e di salute interagiscono aumentando sia l’esposizione alla malattia sia la probabilità di danno o peggioramento della propria salute. Nel caso del Covid-19, ridurre le malattie degenerative non trasmissibili è un prerequisito per contenerne in modo efficace la diffusione.

Come ha mostrato il nostro dossier NCD Countdown 2030 (Il conto alla rovescia delle malattie degenerative per il 2030) pubblicato di recente, sebbene la mortalità prematura causata dalle malattie non trasmissibili stia scendendo, la velocità del cambiamento è ancora troppo lenta mentre aumenta il numero complessivo delle persone che sviluppano malattie croniche. Per affrontare il Covid-19 dobbiamo occuparci anche di ipertensione, obesità, diabete, malattie croniche cardiovascolari, respiratorie e tumorali.

La crisi economica che incombe su di noi non sarà risolta da un farmaco o da un vaccino. È necessario un risveglio nazionale di grande portata. Affrontare il Covid-19 come una sindemia ci aiuterà ad avere una visione più ampia, capace di coinvolgere anche l’istruzione, il lavoro, l’abitare, il cibo e l’ambiente per la difesa della salute.

Prestare maggiore attenzione alle malattie degenerative non contagiose non è una priorità solo per le nazioni più ricche. Patologie di questo tipo sono una causa sottovalutata dei cattivi stati di salute della popolazione anche nei paesi più poveri. Nel loro editoriale per la Lancet Commission, pubblicato la scorsa settimana, Gene Bukhman e Ana Mocumbi hanno descritto un’entità da loro chiamata NCDI Poverty (Povertà causata da incidenti e malattie non contagiose) che aggiunge alle malattie non trasmissibili anche i danni alla salute per fattori accidentali, come i morsi di serpente, l’epilessia, le malattie renali e l’anemia falciforme. Per il miliardo di persone più povere nel mondo, attualmente le malattie croniche e gli incidenti rappresentano insieme oltre un terzo del carico patologico.

Secondo la Lancet Commission, la messa in campo di interventi efficaci e con costi sostenibili potrebbe scongiurare nel prossimo decennio quasi 5 milioni di morti tra le persone più povere del mondo a causa di queste patologie. Questo, senza considerare la riduzione del rischio di morte a causa del Covid-19.

La conseguenza più importante del considerare il Covid-19 come una sindemia è quella di dare enfasi alle cause sociali della sua incidenza. La maggiore vulnerabilità dei cittadini più anziani, così come delle minoranze etniche – come i neri e gli asiatici negli USA – e dei lavoratori di servizi considerati essenziali ma che sono in genere mal pagati e hanno meno protezioni sociali, mette in luce una realtà che non è stata finora pienamente riconosciuta: ovvero, che non importa quanto sia efficace un trattamento medico o protettivo un vaccino, ogni ricerca di una soluzione puramente biomedica per contrastare il Covid-19 è destinata a fallire. A meno che i governi non diano seguito a politiche e programmi per invertire le profonde disparità sociali oggi esistenti, le nostre società non saranno mai realmente al sicuro dal Covid-19.

Come hanno scritto Singer e altri colleghi nel 2017, “Una visione sindemica suggerisce un orientamento molto differente alla medicina clinica e ai servizi sanitari pubblici, dimostrando che un intervento capace di affrontare in forma integrata le origini e la cura delle malattie può avere molto più successo rispetto al solo controllo applicato alla diffusione dell’epidemia o all’assistenza ai singoli pazienti”.

Aggiungerei un ulteriore vantaggio. Le società hanno bisogno di speranza. La crisi economica che incombe su di noi non sarà risolta da un farmaco o da un vaccino. È necessario un risveglio nazionale di grande portata. Affrontare il Covid-19 come una sindemia ci aiuterà ad avere una visione più ampia, capace di coinvolgere anche l’istruzione, il lavoro, l’abitare, il cibo e l’ambiente per la difesa della salute. Al contrario, inquadrare il Covid-19 alla stregua di una semplice pandemia impedisce di alzare lo sguardo fino a una prospettiva necessariamente più ampia ed elevata.

(Trad.di E. Ferrara. Prima versione in italiano pubblicata su “Il pungolo rosso” 24 ottobre 2020)


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