Nell’epoca dei “bonus”
Ancora una volta, è battaglia sui fondi sociali. Anche la legge di stabilità presentata dal governo Renzi, come quelle degli esecutivi precedenti, non sfugge alla regola non scritta della delusione, delle proteste e delle manifestazioni di piazza da parte delle associazioni del terzo settore. Pur con toni e appunti differenti, la dotazione finanziaria per l’anno 2015 non sembra entusiasmare nessuno, anche se qualche novità rispetto al passato è indubbia. Una è – almeno al momento – poco più che formale, ed è la stabilizzazione dei principali fondi di natura sociale, per i quali vengono previsti gli importi non solo per il prossimo anno, ma anche per quelli successivi.
Poco più che formale perché in ogni caso niente impedisce che vi siano cambiamenti nelle manovre economiche degli anni futuri. L’altra novità, ben più rilevante, è che accanto ai fondi sociali propriamente detti sono spuntate nuove misure che impattano la situazione delle famiglie e dei lavoratori e che rivestono senza alcun dubbio un’importante valenza sociale. E che, nella dotazione finanziaria, superano ampiamente le risorse destinate ai fondi già previsti dalla legge.
Il principale di questi, quello per le Politiche sociali (previsto dalle legge 328/2000), viene rifinanziato per il 2015 con 300 milioni di euro: è un importo all’apparenza molto vicino a quello dello scorso anno (317 milioni), se non fosse che di questi 300 milioni ben un terzo, cioè 100 milioni, potranno essere destinati (si deciderà insieme alle regioni al momento del riparto della somma) al rilancio di un “piano di sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio educativi per la prima infanzia”. Esigenza sacrosanta, ci mancherebbe, ma ciò comporterà inevitabilmente una contrazione della disponibilità economica per le tantissime altre necessità al quale il Fondo Politiche sociali deve (o dovrebbe) rispondere. Non che non ci siano stati tempi peggiori (se nel 2008 la dotazione superava i 900 milioni, nel 2012 era precipitato a poco più di 70 milioni), ma l’auspicio di tutti era che la ripresa avvertita nel 2013 e nel 2014 non si arrestasse ma proseguisse.
Non va tanto meglio al Fondo per le non autosufficienze (legge 296/2006), che copre i costi di rilevanza sociale dell’assistenza socio-sanitaria delle persone non autosufficienti: la legge di stabilità presentata dal governo destinava 250 milioni di euro per il 2015, ben cento in meno rispetto a quella stanziata un anno prima. Dopo le proteste delle associazioni, la dotazione è stata portata a 400 milioni, confermando dunque una “tenuta” dopo anni davvero bui (se fra il 2008 e il 2010 nel Fondo erano entrati 400 milioni annui, nel 2011 e nel 2012 era stato completamente azzerato, per poi risalire a 275 milioni nel 2013 e a 350 nel 2014). Cento milioni in più, cento milioni in meno, resta il fatto che secondo le associazioni delle persone disabili l’esigenza reale sul campo è di un miliardo di euro all’anno: un obiettivo che loro vorrebbero raggiungere nell’arco di un triennio.
La legge di stabilità stanzia poi 187,5 milioni per il Fondo delle politiche e i servizi dell’asilo, destinato al sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), mentre il Fondo per i minori stranieri non accompagnati cresce di 12,5 milioni, portandosi nel totale a quota 32,5 milioni. Una cifra che secondo le regioni è comunque “insufficiente rispetto ai flussi odierni”.
Ancora una volta viene poi rifinanziato il fondo per la carta acquisti, la cosiddetta “social card” tradizionale che dà 40 euro al mese a famiglie in condizione di povertà in cui ci siano bambini piccoli o anziani: altri 250 milioni di euro, la stessa dotazione dello scorso anno (e parallelamente sarà finalmente estesa a tutto il sud – lo si aspettava da mesi – la sperimentazione della nuova social card, già partita in 12 grandi città, che aumenta il contributo monetario e offre servizi di formazione e inclusione lavorativa). Nella legge di stabilità presentata dal governo figurano anche 500 milioni destinati al cinque per mille (cento in più rispetto agli anni precedenti), 50 milioni previsti per la riforma del terzo settore (andranno al servizio civile) e altri 50 milioni (tratti dal fondo sanitario nazionale) per la cura delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d’azzardo.
Ma a pesare davvero nei conti della legge di stabilità sono le due misure “bonus” volute dal premier Renzi: il bonus Irpef di 80 euro per i lavoratori (che diventa stabile) e il bonus bebé (anche questo di 80 euro mensili) per i nuovi nati. Per il bonus bebé si stanziano 202 milioni quest’anno ma oltre 600 per il prossimo e oltre un miliardo per il 2017 e il 2018; per il bonus Irpef le cifre sono fin da subito assai più possenti, con un costo per lo Stato di circa 10 miliardi all’anno.
Il termine di paragone è alquanto eloquente: di fronte ad una spesa pubblica complessiva che si aggira sugli 800 miliardi di euro all’anno, di fronte ad una legge di stabilità che muove una cifra complessiva superiore ai 30 miliardi di euro, i fondi sociali propriamente detti (Politiche sociali, Non autosufficienza, Infanzia) rappresentano solo una parte minimale, assolutamente residuale, che tale rimarrebbe anche in presenza di quegli aumenti richiesti a gran voce dalle associazioni. Molto più consistente, come abbiamo visto, è la quota di denaro pubblico destinata a provvedimenti che prevedono un’erogazione monetaria subordinata al possesso di determinati requisiti: sia il bonus Irpef per i lavoratori che guadagnano meno di 26 mila euro annui, sia il bonus bebé riservato ai nuovi nati a partire dal 2015, e perfino la carta acquisti (social card) tradizionale, sono tutte misure che si esauriscono in un puro e semplice trasferimento monetario.
E poco importa, da questo punto di vista, se tanto o poco, se robusto o gracile: il dato che conta è che in un paese in cui storicamente si è sempre fatto un eccessivo ricorso alle erogazioni monetarie e in cui si è sempre trascurato il ruolo e l’importanza dei servizi, la nuova legge di stabilità segna il trionfo dell’erogazione monetaria. Attori nuovi, ma filosofia vecchia. E nei giudizi, anche le associazioni del terzo settore non sembrano cogliere appieno il fatto che il pur importante dibattito sui fondi sociali propriamente detti costituiscono ormai nei numeri solamente la crosta della grande torta delle risorse che lo Stato spende e mette in circolo ogni anno.