Morire giovani a Napoli
Un ragazzo di sedici anni ucciso da un carabiniere di trentadue per non essersi fermato all’alt. Un altro di quattordici seviziato e ridotto in fin di vita da un ventiquattrenne in un autolavaggio. Risale a prima dell’estate la morte di un altro adolescente, a causa di un cornicione staccatosi da uno dei monumenti più noti della città, la Galleria Umberto I. E poi gli ‘ordinari’ accoltellamenti tra minorenni nei fine settimana, e le meno ordinarie statistiche che ci forniscono un quadro sconfortante. Il consumo di alcol, come sostiene una recente indagine dell’Asl Napoli 2 Nord, riguarda il 63% dei ragazzi, con la diffusione di pratiche estreme come l’eye balling – che consiste nel versarsi della vodka direttamente negli occhi – ed altre che stanno prendendo piede, come l’assunzione di alcol attraverso le mucose vaginali o rettali. Inoltre, è in crescita il numero di minori dipendenti dal gioco d’azzardo, a cui si lega il recente aumento delle vittime di tratta e sfruttamento sessuale. Ovviamente si tratta di fenomeni diffusi in tutte le grandi aree metropolitane da Roma in su, ma per una città del Sud, per la “meno europea delle città europee”, come si è soliti dire, ciò rappresenta una novità che va a innestarsi in un quadro di generale arretratezza altrove sconosciuto. Una novità così spiazzante da non trovare un corrispettivo adeguato nelle narrazioni del sistema culturale ufficiale. Un buon esempio ne è il rilievo che di recente è stato tributato da critica e pubblico al bel film di Francesco Munzi, “Anime nere”, che mette in mostra gli effetti dello scontro tra la dimensione arcaica di una comunità disgregata del Sud Italia (nello specifico, dell’Aspromonte in Calabria) e l’aggressività di un consumismo feroce e disperato in un’epoca di crisi. Per tornare alla situazione napoletana, dunque, che cosa sta succedendo ai giovani partenopei sempre più infelici? E soprattutto, in una fase così delicata, quanto stenta a farsi avanti il riconoscimento di una situazione del genere da parte del mondo degli adulti? Non è la prima volta a Napoli che la condizione giovanile si ritrova sotto attacco. Una decina di anni fa, all’indomani della faida di Scampia, molti operatori sociali, educatori ed esponenti del mondo culturale, sostenuti da una classe politica sempre bisognosa di rifarsi il maquillage, lanciarono una sfida che oggi può dirsi, se non vinta, quantomeno giunta a un buon grado di soddisfacimento. Ma Napoli non è solo Scampia. Lo scenario oggi è del tutto cambiato, e ormai può considerarsi definitivamente penetrata nella società l’idea secondo cui il welfare è un lusso e spendere un solo euro in politiche sociali e reti di protezione (per non parlare di progetti pedagogici) è un euro di denaro pubblico dato alle fiamme. La retorica dei tagli e del pareggio di bilancio ha creato dei cittadini-contabili ben attenti a pretendere il rispetto della ‘sanità’ di principi finanziari invisibili, ma molto distratti quando si tratta di valutare se sia ‘sano’ o meno il disagio sociale concreto delle persone che hanno davanti nei bus, in ufficio, per strada. Non solo i politici, ma anche insospettabili esponenti del sociale hanno fatto propria una visione dei rapporti tra individui più estrema di quella che, probabilmente, ha in testa Marchionne. In questo modo, ancor prima che nel resto del Paese, è negli ambienti sociali napoletani molto distanti per reddito dal Rione Traiano, da Pianura e da Ponticelli che sta proliferando un’insolita forma di neo-razzismo, il quale come teorizzava de Gobineau esercita la sua funzione discriminatoria innanzitutto attraverso il linguaggio. Così il contesto familiare e sociale di Davide Bifolco, o quello dell’aggressore del ragazzino nell’autolavaggio, diventano lo scudo dietro cui una borghesia micragnosa e senza pietà, che veste come i tecnocrati di Bruxelles ma pratica costumi degni dei personaggi di Alvaro Vitali, può nascondersi e parlare un linguaggio estraneo a quello della masse da cui pretenderebbe il rispetto della legalità, allontanando la richiesta di cambiamento sociale che le morti di questi giovani, le violenze che essi si fanno o ci fanno, dovrebbero provocare in un contesto meno asfittico di quello napoletano.