MELONIANA. INTERESSI D’ITALIA
Dinanzi alle Fratelle d’Italia l’Italia non s’è desta per niente.
Non diversamente non s’è desta la sinistra, incapace di togliere il velo a Meloni e alla sua gestione del potere.
Abbiamo ascoltato per tutta l’estate telenovele sulle patetiche vicende sentimentali dei membri del governo e assistito ai nevrotici dibattiti sull’identità culturale dell’italiano e delle sue sante stigmate da possedere: la vicenda della cittadinanza eternamente mancata alle seconde e giovani generazioni che nessun governo né di sinistra né di centro si è sognato mai di riconoscere. Ci è toccato anche assistere alle discussioni sul genere dei nomi, sul convincere la Meloni a dichiararsi meno fascista di quello che è – salviamo almeno le apparenze democratiche! – all’esortazione ad un appoggio più convinto di questo governo ad una Europa estremista che firma trattati per la guerra perpetua. Ma, ça va sans dire, si sa: è la Nato, il mercato che lo richiede.
Il governo di Giorgia compie due anni. Due anni in cui abbiamo rischiato di abituarci al fatto che nei nomi dei ministeri sono state aggiunte parole come “merito”, “natalità”, “sicurezza energetica”, “made in Italy”, “sovranità alimentare”. Ma, per valutare l’operato di questo governo, non è sufficiente smontare lo pseudo-apparato culturale e il marketing politico di questa destra. Il monito del vecchio giornalismo investigativo Follow the money! dovrebbe orientare a una più seria analisi dei settori produttivi, dei gruppi di interesse economici, delle corporazioni che oggi ne appoggiano le politiche. Nulla di impossibile: basta chiedere aiuto, come abbiamo provato a fare con questo numero, a chi ha studiato le politiche sociali, le politiche agricole, quelle energetiche e quelle sull’immigrazione, ambiti che incidono materialmente e in modo diretto sulle nostre vite e su cui, spesso, non vediamo una grande discontinuità rispetto alle politiche dei precedenti governi tecnici e di altro colore.
Enrico Gargiulo, Enrica Morlicchio e Dario Tuorto, studiosi di welfare, ci raccontano la genealogia della guerra fra poveri e di come le retoriche del merito agiscano per creare la nuova etica del neoliberismo autoritario. Mimmo Perrotta entra dentro il “blocco agrario” costituito dai partiti di destra, da Coldiretti e dall’agrobusiness italiano e ne esce cercando di capire se il “movimento dei trattori” possa rappresentarne una frattura, per quanto contraddittoria. Marino Ruzzenenti ci spiega che le politiche per la transizione energetica del governo parlano di fossili e di guerra, come in tutta Europa d’altronde, e gli inganni che i movimenti ecologisti devono evitare.
Giovanni Vale dell’Osservatorio Balcani, Caucaso, Transeuropa ci descrive l’affare Meloni-Rama e come il maldestro ed oneroso accordo criticato aspramente dalle organizzazioni per i diritti umani non abbia destato nessuno scandalo nelle istituzioni europee, sedicente baluardo di democrazia e diritti nel globo terracqueo, che benedicono il subappalto del lavoro sporco della frontiera.