Mattarella a Nairobi, ovvero: la crisi della transizione ecologica “dall’alto”

Le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica Mattarella all’Università di Nairobi il 16 marzo, nel corso di una visita di Stato passata sorprendentemente in sordina, sono assai significative. Esprimono infatti nel modo più chiaro la contraddizione in cui si dibatte la transizione ecologica “dall’alto”; quella, cioè, basata sull’idea che il riscaldamento sia un esempio perfetto di fallimento del mercato – Incapace, storicamente, di contabilizzare le cosiddette esternalità negative (in questa fattispecie, le emissione di CO2-equivalente) – cui tuttavia si può porre rimedio solo mercificando quelle stesse esternalità negative, vale a dire istituendo mercati-carbonio, sui quali scambiare permessi e crediti di emissione che, sottomessi alla logica della domanda e dell’offerta, permetteranno finalmente di “dare un prezzo alla natura”.
Ripercorriamo i passaggi chiave del discorso del Presidente.
Come affrontare gli effetti nefasti del cambiamento climatico, si chiede Mattarella? “La risposta è nella espressione sostenibilità. Ambientale, sociale, economica”.
Questo richiamo allo sviluppo sostenibile (formula coniata nel 1987 dal celeberrimo Rapporto Brundtland) si accompagna alla rivendicazione piena e convinta della governance climatica transnazionale: “Dal Summit della Terra di Rio de Janeiro del 1992, al Protocollo di Kyoto fino all’Accordo di Parigi del 2015, tanti momenti hanno consolidato la determinazione collettiva nel prevenire gli scenari più catastrofici legati all’innalzamento delle temperature globali. Sono risultati importanti, che dimostrano come la lotta al cambiamento climatico non sia più trascurata nelle priorità dell’agenda internazionale”.
Tutto bene, dunque? Non proprio: “Dobbiamo, tuttavia, chiederci: tutto questo è sufficiente? Credo che, in tutta onestà, sia difficile rispondere positivamente a questa domanda”.
Dopo oltre trent’anni di implementazione di politiche – pubbliche e private – centrate sul mercato, i risultati non sono soddisfacenti. Tra le righe Mattarella deve ammettere che meglio sarebbe catalogarli come “disastrosi” – “Gli effetti del cambiamento climatico si sono addirittura accelerati” – ma evita di prendere di petto la questione. Non sarebbe stato difficile farlo, tuttavia: basta far riferimento al grafico qui sotto, tratto dal fondamentale The Climate Book (Mondadori, 2022), curato da Greta Thunberg: sono stati emessi più gas serra dal 1990 (anno base del Protocollo di Kyoto) al 2021 che dalla metà del XVIII secolo al 1990.

Ecco, dunque, la contraddizione: Mattarella registra l’impasse per poi riproporre ricette in atto da decenni, peraltro già bocciate da una gran quantità di dati empirici: “Con l’istituzione di uno specifico Fondo per il Clima, l’Italia intende proporsi come soggetto di primo piano per interventi di finanza climatica”.
L’effetto è straniante: a fronte di un’acuta consapevolezza dell’inefficacia dell’azione climatica basata sul mercato, si ripone la massima fiducia in un processo governamentale che assume tale azione inefficace come unico orizzonte possibile. La prima cosa da fare, dunque, è prendere atto della profondissima crisi di immaginazione politica delle élite – nazionali e internazionali: davvero non sanno che pesci pigliare.
Ciò non deve impedire di leggere tra le righe della loro elaborazione, da un lato, i segni della forza che i movimenti legati all’ecologia politica hanno saputo esprimere in questi anni e, dall’altro, l’emergere di alcuni spazi di interlocuzione possibile (fatta salva, naturalmente, la necessità di invertire i rapporti di forza nella società, a partire dalle pratiche conflittuali nei luoghi di lavoro).
Di seguito due elementi interessanti dal punto di vista della transizione ecologica “dal basso”:
Primo: la giustizia climatica viene esplicitamente nominata – “Il tema della giustizia climatica è fondamentale e l’Unione Europea sostiene […] la creazione di un Fondo sulle perdite e i danni, che agisca sulla base del principio di solidarietà e non del mero risarcimento” – ma la si limita all’asse Nord-Sud del mondo, senza cioè cogliere la maggiore novità degli ultimi anni, ovvero quella di aver saputo legare inscindibilmente questione sociale e questione ambientale. Scrive a questo proposito Thunberg, nell’Introduzione a The Climate Book:
“L’1% più ricco della popolazione mondiale è responsabile di oltre il doppio dell’inquinamento da carbonio rispetto alle persone che costituiscono la metà più povera del genere umano. Forse, se siete uno dei 19 milioni di cittadini americani o dei 4 milioni di cittadini cinesi che appartengono a quell’1% al vertice (assieme a tutti quelli che hanno un patrimonio netto pari a 1.055.337 $), la speranza non è ciò di cui avete più bisogno. O almeno non da un punto di vista oggettivo” (p. 4).
Secondo: in sordina, quasi inconsapevolmente, fa capolino il tema della Giusta Transizione (pratica sindacale sin dagli anni Novanta, oggi spazio di dibattito per chi intende legare protezione ambientale e lotta alle diseguaglianze). Dice Mattarella: “La applicazione di piani per la transizione energetica rappresenta di per sè una modalità che può permetterci di addivenire a un sistema economico globale più equo, più sostenibile, più giusto”.
Si tratta del momento in assoluto più importante del discorso: Mattarella riconosce il potenziale ecologico e sociale di una transizione fatta “CON le teste di chi lavora, non SULLE teste di chi lavora” – per usare un efficacissimo slogan del Collettivo di Fabbrica dei Lavoratori GKN – ma non riesce a comprendere che affinché questo scenario possa tramutarsi in realtà occorre farla finita con gli strumenti di mercato. La crisi della transizione ecologica “dall’alto” non potrebbe essere più profonda: sia di meccanismo – che non funziona – sia di prospettiva, che non conquista più né cuori né menti.
Mi pare sia opportuno battere su questo punto, mostrare la contraddizione quanto più possibile: se gli unici elementi politicamente ragionevoli di un discorso presidenziale sono presi dall’elaborazione dei movimenti climatici e dal piano di alleanze che hanno saputo costruire, forse sarebbe il caso di scrollarsi di dosso la sensazione di impotenza che ancora ci portiamo sulle spalle: non c’è vittoria possibile se ci si sente meno forti di quanto non si sia in realtà. Su queste basi di consapevolezza e fiducia, torniamo a buttarci nell’organizzazione della transizione ecologica “dal basso”, cioè basata su un’intervento pubblico volto all’utilità eco-sociale. Chi sabato 25 marzo era a Firenze per sostenere la reindustrializzazione di GKN sa bene a cosa mi riferisco: sia al piano operaio per la mobilità pubblica e sostenibile, sia al crowdfunding lanciato dalla Società operaia di Mutuo Soccorso ‘Insorgiamo’.
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Nota di colore: a Nairobi c’è stato spazio anche per un riferimento diretto alla nozione di Antropocene, credo sia la prima volta per Mattarella:
“[A]lcuni scienziati hanno suggerito di chiamare l’epoca attuale ‘Antropocene’. Non entro nel dibattito, tuttora in corso, sulla correttezza o meno di questa definizione, ma trovo il termine uno stimolo interessante se consente di riflettere sulla necessità di un cambio di paradigma per affrontare l’emergenza climatica”.