Lo scempio dei porti turistici in Liguria

Incontro con Alex Giuzio
Li chiamano “porticcioli turistici”, per associarli a qualcosa di innocuo e pittoresco. Invece rappresentano solo cementificazione, catastrofi ambientali, malavita e disparità fra cittadini. Non si tratta infatti di strutture commerciali per il carico-scarico delle merci, bensì di approdi per le vacanze a tempo indeterminato dei ricchi a bordo del proprio yacht che attraccano, inquinano e distruggono i fragili ecosistemi marittimi e costieri.
La proliferazione dei porti turistici è un malcostume tutto italiano di cui abbiamo l’emblema in Liguria, una regione che si è contraddistinta per avere costruito queste strutture in ben 31 delle sue 63 città costiere. I motivi di tale scempio ce li spiega Fabio Balocco, avvocato e ambientalista, che ha curato una pubblicazione proprio per denunciare questo fenomeno dall’impatto devastante. Il mare privato (Altreconomia 2019) è una raccolta di saggi che illustrano l’intreccio tra politica, imprenditoria e malavita per sacrificare il bene comune sull’altare dei soliti pochi privilegiati, infischiandosene della tutela ambientale. Ed è addirittura strano che questo libro sia arrivato dopo oltre cinquant’anni di costruzioni indisturbate: un segno di scarsa sensibilità dal problema, non solo da parte delle istituzioni e della politica, ma anche di cittadini e associazioni ambientaliste (a.g.)
Metà dei Comuni costieri della Liguria è dotata di un porto. Eccetto le poche strutture commerciali, nella maggior parte dei casi si tratta di porti turistici, costruiti a partire dagli anni Settanta e con una brusca accelerazione negli anni Novanta. Questi complessi, edificati e gestiti da società private su concessioni demaniali che possono durare fino a 99 anni, fanno della Liguria, nonostante le sue piccole dimensioni, la regione con il maggiore numero di posti barca in Italia, ben 24mila.
La costruzione dei porti turistici ha avuto un ruolo di primo piano nella cementificazione della costa ligure e nella deprivazione del mare alla collettività. In base alla legge italiana, il privato che ha in concessione l’edificazione di un porto turistico è libero di innalzare edifici definiti “di servizio”, che in realtà si traducono in seconde case: i porticcioli sono dunque diventati dei cavalli di Troia per poter fare speculazione edilizia sulla costa. Oltre a rappresentare un grave danno ambientale, i porti sono inoltre un problema etico, in quanto privatizzazioni di un pregiato bene comune a beneficio dei pochi benestanti che possiedono una barca e che sono gli unici messi in condizione di godere di determinati tratti di mare e di spiaggia.
La legge all’origine dello scempio:
il decreto Burlando
La proliferazione dei porti turistici è stata consentita dal Dpr 509/1997, meglio conosciuto come “decreto Burlando” dal nome del suo ideatore. Claudio Burlando, già sindaco di Genova e poi ministro dei trasporti durante il primo governo Prodi, in un intervento pronunciato durante un Salone nautico aveva evidenziato come in Italia ci fossero pochi porti turistici e quanto fosse necessario accelerare le procedure per poterne realizzare di nuovi. Un impegno che puntualmente ha mantenuto, emanando un decreto che ha semplificato e sveltito l’iter burocratico necessario per ottenere una concessione demaniale marittima a scopo portuale, nonché consentito di realizzarvi opere non direttamente collegate con la nautica (tra cui gli edifici a scopo abitativo o ricreativo).
Il “decreto Burlando” ha provocato un notevole aumento di costruzioni sia in mare che lungo la costa, non solo in Liguria ma in tutte le regioni costiere d’Italia. Si è trattato di un classico esempio di favoritismo alla cementificazione, in cui la cosiddetta sinistra e la cosiddetta destra vanno da sempre a braccetto.
Danni ambientali e mutamento del paesaggio
Sono numerosi i problemi di carattere ambientale e territoriale provocati dai porti turistici. Oltre alle colate di cemento che in sé rappresentano sempre una grave alterazione del paesaggio, le barriere artificiali installate in mare comportano la deviazione delle correnti e di conseguenza il mancato apporto di sabbia verso le spiagge. Pertanto la costruzione di porti, unita al fenomeno globale dell’innalzamento del mare e alla cattiva abitudine ligure di deviare o cementificare i corsi d’acqua (eliminando così un ulteriore apporto di sabbia verso la costa), comporta l’arretramento continuo dei litorali fino alla loro scomparsa. Questa erosione costiera di causa antropica viene attenuata ogni anno con i lavori di ripascimento, che però sono come un’aspirina somministrata a un malato di cancro: la spiaggia viene allungata per garantirne la fruizione estiva, ma durante l’inverno il mare la divora di nuovo ed è necessario buttare altri soldi della collettività.
Inoltre la realizzazione dei porti turistici comporta la scomparsa delle praterie di posidonia, che è una pianta acquatica tutelata a livello europeo in quanto habitat dei pesci per riprodursi, depositare uova e rifugiarsi. Questa desertificazione del fondale marino è alimentata dall’inquinamento provocato dal traffico di natanti, che è uno dei problemi più sottovalutati dei porti: le imbarcazioni rendono insalubre sia l’aria che l’acqua e nel caso dei porti turistici gli yacht, che arrivano fino a 90 metri di lunghezza, spesso vengono tenuti in moto anche quando sono attraccati, per permettere il funzionamento dell’equipaggiamento.
Tutti questi problemi ambientali sono stati ignorati dagli enti pubblici che hanno permesso la proliferazione dei porti turistici in Liguria. Il caso più eclatante è quello del porto di Santo Stefano, che ricade in una zona originariamente destinata a diventare parco marino: la Sovrintendenza aveva emesso ben tre pareri negativi contro la costruzione del porto, secondo precise motivazioni di carattere ambientale, ma il Ministero dei beni culturali si è imposto e ha fatto sì che la struttura venisse realizzata lo stesso.
Approdi al servizio della malavita
Un altro problema legato ai porti turistici è quello della malavita. Svariate relazioni della Direzione nazionale antimafia hanno appurato una forte presenza della ‘ndrangheta calabrese in Liguria, soprattutto in due campi: il gioco d’azzardo e l’edilizia, compresa quella marittima legata alla costruzione dei porti. In particolare, sono avvenute infiltrazioni di società riconducibili a cosche mafiose nella costruzione o nella gestione dei porti di Ventimiglia, Imperia, Diano Marina e Lavagna. Ma la malavita vive nei porti turistici anche per la forte presenza di traffici illegali: secondo la legge italiana, il controllo delle imbarcazioni che entrano ed escono è compito del concessionario, e dunque nelle strutture turistiche gestite da società private non esistono le stesse ispezioni dei porti commerciali, che sono invece di competenza dello Stato. Per questo, spesso le imbarcazioni che approdano nei porticcioli sono vettori per il trasporto di droga, armi e latitanti.
I cittadini non si oppongono
Un aspetto molto dolente di tutta questa vicenda è l’inerzia dei cittadini liguri. Le società che vogliono realizzare i porti e le amministrazioni che rilasciano i permessi fanno leva sull’aumento dei posti di lavoro, e per questo la popolazione non si è mai opposta alla costruzione dei porti turistici, nonostante si conoscano ormai bene i negativi impatti ambientali e territoriali. In Liguria ci sono stati pochissimi comitati di cittadini a sollevarsi contro e nessuno di questi gruppi è mai riuscito a ottenere alcun risultato, se non quello di ricevere alcune agghiaccianti minacce anonime di morte (e questo non è affatto un buon segnale).
Anche le associazioni ambientaliste hanno sempre sottovalutato il problema dei porti turistici. Eccetto alcuni dossier del Wwf, non c’è stata abbastanza sensibilità per opporsi e ciò ha inciso negativamente sulla mancata reazione dei cittadini. L’opposizione più forte è avvenuta a Ospedaletti, dove tuttavia il porto è in fase di realizzazione; solo a Savona e a Spotorno-Noli si è riusciti a impedire la costruzione.
La Liguria avrebbe potuto basare la propria economia su un certo tipo di turismo la cui domanda è sempre più in aumento; quello cioè che va alla ricerca di paesaggi intatti dal punto di vista naturale. Invece, la regione è stata ormai deturpata da colate di cemento che, anche se hanno magari portato un piccolo beneficio economico nell’immediato, hanno distrutto l’ambiente e rappresenteranno un grande problema per il futuro del territorio. Ma ormai non c’è più nulla da fare: i porti turistici sono stati realizzati o sono in fase costruzione, e solo la natura potrà riappropriarsi di questi luoghi nei secoli a venire.