Napoli: Pcto sì, ma quale lavoro?
Incontro con Maurizio Braucci
Chiara Cimmini è la coordinatrice e referente Pcto dell’Istituto “Alfonso Casanova” di Napoli, il più antico Tecnico-Professionale della città con oltre mille studenti iscritti. Chiara è anche docente del corso di Audiovisivo. Dall’intervista che le ho fatto, al di là della tematica specifica, emerge la solita differenza tra Nord e Sud nella scuola e nell’economia del nostro Paese.
Cosa fai in pratica come coordinatrice?
Curo la piattaforma dell’alternanza scuola-lavoro ministeriale, mi occupo di stipulare le convenzioni, predisporre i calendari, fare una rendicontazione delle ore svolte per ogni ragazzo che va caricata sulla piattaforma ministeriale.
Questa piattaforma ministeriale esiste credo dalla riforma Renzi, è una piattaforma molto complicata e poco aggiornata tant’è che si chiama ancora “piattaforma scuola/lavoro”, non le hanno cambiato nemmeno il nome. Là va inserita la convenzione, la scheda del percorso svolto con le ore e i dati caricati per ogni alunno, che quindi in quinto superiore si stampa il suo curriculum con le ore di alternanza di Pcto che ha svolto nel corso dei 3 anni. Il Casanova è una scuola professionale, un Istituto Tecnico e ora è anche un Istituto Artistico. Al professionale abbiamo tanti indirizzi: odontotecnico, audiovisivo – che adesso si chiama servizi culturali e dello spettacolo – meccanica, meccatronica, Made Italy, fabbricazione di mobili, sociosanitario, grafico e comunicazione, poi c’è l’artistico che offre Audiovisivo e Multimediale. È l’unica scuola professionale al centro di Napoli. È un istituto che ha una storia lunghissima, era stato fondato nel 1864 e serviva per l’avviamento al lavoro, le famiglie indigenti e gli orfani venivano avviati a un mestiere ed è l’unico odontotecnico che c’è a Napoli. Oggi la scuola accoglie circa 1200 studenti fra professionale, tecnico e artistico. È una scuola complessa perché accoglie studenti provenienti dai quartieri più poveri della città – Sanità, Forcella, Quartieri Spagnoli – ma ha un’utenza eterogenea. In generale c’è questa concezione che il professionale è per quelli che non vogliono studiare e quindi è una realtà interessante per cui lavorare.
Tu con che tipologie di ragazzi coordini il Pcto?
Le mie classi sono quelle dei ragazzi considerati meno tosti, perché audiovisivo, fotografia è un mondo più selettivo, i più tosti sono gli indirizzi dei falegnami e dei meccanici. La verità è che il Pcto potrebbe essere un’occasione molto interessante per misurarsi con la realtà lavorativa, può essere un’esperienza formativa importante. Però il problema è che l’azienda che offre il tirocinio non può essere retribuita e non può retribuire i ragazzi. C’è una quota che viene attribuita alle scuole ma sono spese per vitto e alloggio, una piccola quota destinata ai docenti che fanno da tutor interni, ogni classe ha il suo tutor. Al Sud non ci sono tante aziende, quindi è difficile trovare un’azienda che ti offre questo percorso, magari al Nord è più facile, ma il presupposto per cui non si retribuisce nessuno fa sconfinare nel fatto che un ragazzo può essere sfruttato.
E la qualità della formazione com’è?
Da noi ci sono 32/33 classi, con una media di 15/20 ragazzi: trovare per tutti i ragazzi un’azienda per il tirocinio è difficile. Vanne a trovare una che ti prende 15 sedicenni… Il più delle volte ci inventiamo un’alternanza a scuola, viene l’esperto di una azienda che usa le attrezzature di cui disponiamo. Così però viene meno il senso dell’alternanza, perché viene meno il confronto con la realtà lavorativa. Con il Covid si è fatto tutto online, le ore che fai valgono per il triennio ma puoi farle anche tutte nell’ultimo anno, non c’è un vincolo. Col Covid è stato devastante, pensa che per le mie classi di audiovisivo il tutor esterno voleva che i ragazzi montassero i video, ma molti non avevano ancora il pc quindi potevano farlo solo sul cellulare…. Quelli di falegnameria non hanno fatto il tirocinio, giusto qualche ora a maggio. La gestione del presidente De Luca durante il Covid ci ha penalizzati molto, non dare l’accesso ai laboratori ai ragazzi del Professionale è stato come tagliargli le gambe. Anche adesso resta complicato, per accedere in azienda il ragazzo deve avere il green pass mentre a scuola gli studenti non hanno questo obbligo.
Che tipi di aziende riuscite a trovare?
Sulla piattaforma trovi registrate diverse imprese ma spesso è l’azienda che si offre alla scuola, qualcuno lo fa per avere dei lavoratori a costo zero, altri per dare una mano. Per esempio a scuola c’è un collega che ha una liuteria e spesso è lui a offrire l’alternanza per i ragazzi. Ci sono quindi anche artigiani, ma spesso sono associazioni o enti che hanno ricevuto un finanziamento per un progetto e hanno bisogno di trovare partecipanti. In questi casi, i ragazzi finiscono in un laboratorio e viene meno il concetto di contatto col mondo del lavoro, purtroppo questa è la soluzione che troviamo più spesso. Le associazioni che ottengono il finanziamento retribuiscono i loro formatori, hanno solo bisogno di avere degli iscritti, d’altra parte a noi serve mandarli perché il Pcto è obbligatorio.
Come fa la scuola a relazionarsi con le aziende e controllare che non ci sia sfruttamento?
Tra la scuola e l’azienda viene stipulata una convezione, con una serie di parametri da rispettare. Inoltre c’è un tutor esterno che deve controllare. Il ragazzo firma un patto formativo e nella convenzione ci sono una serie di regole sulla tutela e la sicurezza sul lavoro, se si vuole si può aggiungere la figura dell’esperto del mondo del lavoro. Gli esperti dovrebbero avere conoscenze di sicurezza sul lavoro e dovrebbero trasferire queste conoscenze al ragazzo, nella convenzione lo trovi scritto, è un modulo standard del ministero.
E per la formazione delle ragazze ci sono differenze?
Le ragazze sono anche più brave, sono più richieste, è sempre una ragazza che alla fine va a fare la gara nazionale tra gli Istituti per rappresentare la nostra scuola. Non c’è discriminazione anzi sono quelle che riescono meglio perché sono più puntuali, più affidabili nel nostro contesto professionale.
E per quanto riguarda le classi sociali?
Per i ragazzi che vengono da contesti difficili, il lavoro viene fatto soprattutto il 1° e 2° anno, dove si cerca di integrare il ragazzo all’interno della scuola, quando poi arrivano in terza sono già più disposti a imparare, sono più motivati. Il primo anno è un momento molto delicato per loro, il docente si ritrova in classi che hanno fino a 25 ragazzi, quest’anno abbiamo una classe di 20 elettricisti, tutti maschi. E comunque anche al terzo sono piccoli, a volte le aziende hanno paura a prendere i ragazzi perché temono che siano troppo indisciplinati.
Ma teoricamente i ragazzi potrebbero fare la formazione fuori dalla Campania?
Teoricamente, ma comunque con un contributo dei ragazzi stessi perché le risorse sono poche, c’è un budget per ogni ragazzo. Se ci sono spostamenti, si usa questo budget, viene utilizzato anche per pagare il tutor interno. Noi lo usiamo anche quando facciamo il Pcto interno per pagare i collaboratori, perché la scuola non può rimanere aperta se non c’è il collaboratore scolastico, il Pcto cerchiamo di farlo pomeridiano perché spesso ci servono i laboratori che la mattina sono occupati.
Non c’è il rischio che questo budget venga usato più per cose interne che per il ragazzo?
Ti potrei dire sì ma anche no, perché alla fine è come pagare un pullman per mandarlo in una azienda, e invece con quei soldi paghi il collaboratore scolastico, devi decidere se utilizzare i soldi per uno spostamento fuori o per farlo internamente.
E per i ragazzi figli di immigrati come funziona?
Noi abbiamo molti immigrati, soprattutto srilankesi, il discorso è complesso perché c’è la difficoltà della lingua, loro sono una comunità abbastanza chiusa quindi spesso i ragazzi hanno difficoltà a parlare italiano. Ora stiamo facendo un Pcto per una classe che fa grafica e comunicazione, la classe è per metà srilankese e per metà italiana ed è un problema far lavorare i ragazzi srilankesi nella scrittura di un articolo ma visto che si occupano anche di grafica possono lavorare nell’impaginazione di un giornale.
Cosa pensi tu sui criteri che ispirano l’alternanza?
Se si volesse dare veramente un senso a questa formazione ci dovrebbe essere un più forte intervento da parte dello Stato nella scelta delle aziende, non solo gli elenchi che abbiamo oggi sulla piattaforma e in cui basta registrarsi. Bisognerebbe cercare di congiungere mondo della scuola e lavoro in modo non meramente burocratico, trovare a monte delle aziende disposte ad accogliere i ragazzi e a formarli, non possiamo essere sempre noi della scuola a cercarle. La questione di base è che si sta riducendo in generale l’idea di scuola: diventa tutto un obbligo da assolvere, svuotato però del suo significato e l’alternanza diventa una cosa che si fa per avere una documento che dice che il ragazzo l’ha portata a termine. Magari si potrebbe pensare di spostarla sulle classi dei più grandi, il 4° e 5°, lasciando fuori le terze dove gli studenti sono ancora piccoli, magari facendo meno ore ma facendole meglio, e per quelli dell’ultimo anno diventerebbe anche un’occasione per avere una possibilità lavorativa una volta diplomati.
Tu pensi che l’alternanza nei professionali risente di questa visione umanistica per cui la scuola professionale è residuale?
Il pregiudizio sul professionale c’è e c’è sempre stato, ma lì sarebbe importante avere un Pcto più serio perché da noi si diplomano dei professionisti e devi dargli l’opportunità di mettere in pratica non solo le conoscenze ma anche le competenze che hanno acquisito. Il professionale ha bisogno di attrezzature, noi siamo riusciti a fatica ad avere finanziamenti per potenziare i nostri laboratori, ma la spesa per la scuola è troppo risicata. Il professionale è una scuola che costa di più perché ci sono le strumentazioni, gli impianti, etc. Abbiamo fatto un progetto con una scuola di Lissone, in Lombardia, siamo stati là in visita e loro ci hanno raccontato che non hanno bisogno di cercare finanziamenti per le attrezzature, la Regione gli dà tutto. Avevano laboratori con i Mac, roba che noi ce la sogniamo. E infatti siamo stati noi a contattarli per fare un progetto, un bando sulla povertà educativa a cui loro non partecipano mai. C’è quindi anche una disparità territoriale nella gestione regionale della scuola. Il professionale è un indirizzo che andrebbe sostenuto soprattutto perché potrebbe essere visto in continuità con gli ITS, gli Istituti Tecnici Superiori, anche se i ragazzi non andranno poi all’università. Sicuramente abbiamo queste difficoltà sui laboratori e la formazione lavorativa che dovrebbero essere il punto forte del professionale e invece spesso da noi proprio questi aspetti non sono adeguati.
Quanti non ce la fanno a superare la barriera del 2° anno?
C’è stata una riforma del Professionale per cui il 1° e 2° anno sono considerati un biennio unico, quindi gli studenti che non superano il 1° anno non lo superano solo per le assenze, perché possono recuperare i debiti formativi nel 2° anno. Tra 1° e 2° non ci sono molte bocciature, ci sono le bocciature di quei ragazzi che hanno come obiettivo solo quello di assolvere l’obbligo scolastico. Secondo questa riforma i ragazzi possono accumulare fino a 264 ore di ore da recuperare seguendo dei corsi estivi o durante il 2° anno. Io non sono del partito contrario alla bocciatura, ci sono dei ragazzi che stanno lì soltanto ad aspettare i 16 anni ma danno fastidio, è chiaro che poi la gestione della lezione diventa complessa.
Per noi delle materie pratiche è più semplice coinvolgerli, quando arriva la materia più teorica è difficile. A volte hai 3-5 ragazzi turbolenti e per occuparti di loro rischi di perderti gli altri, che magari sono brillanti. Ma qui tocchiamo altre questioni, come l’assurdo numero di ragazzi per ogni classe.
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