Le proteste ambientaliste in Russia, dall’Artico agli Urali

(disegno di Marino Neri)
È stato un anno difficile per la Russia. O meglio: è stato un anno difficile per Vladimir Putin. Il 2019 ha visto accendersi molte proteste popolari che hanno toccato diversi temi. Fra di loro, protagonista è la questione ambientale nell’oblast’ di Archangel’sk.
Negli ultimi anni, l’emergenza rifiuti di Mosca si è fatta sempre più pressante. I vecchi stabilimenti di epoca sovietica sono gravemente malmessi e, in termini di spazio, insufficienti a contenere (figurarsi smaltire) l’enorme quantità di rifiuti solidi urbani prodotta ogni anno dagli abitanti della capitale e dell’oblast’ circostante. Solo la regione di Mosca, infatti, è responsabile di 1/5 dei rifiuti totali prodotti ogni anno nella Federazione. Questa situazione si è esasperata a tal punto da costituire un problema per la salute dei cittadini: negli ultimi anni, ci sono stati diversi casi di intossicazione da fumi tossici provenienti dalle discariche congestionate. Questo ha scatenato una lunga serie di proteste nelle comunità. Nel 2017 vi fu un importante punto di svolta: per calmare le acque e prevenire disastri analoghi, Vladimir Putin cominciò ad accarezzare l’ipotesi di “spostare” i rifiuti e “immagazzinarli in un altro posto, un posto lontano dai centri abitati”, come da lui stesso annunciato all’epoca.
Queste dichiarazioni preliminari rivelano già con chiarezza la concezione utilitaristica del suolo pubblico da parte delle autorità russe. Del resto, non è una novità. L’economia russa, basata sullo sfruttamento delle risorse naturali, insieme a un territorio vastissimo e alla densità di popolazione molto bassa, ha contribuito a rafforzare l’idea per cui il territorio russo non è un bene prezioso da difendere e preservare, bensì una risorsa di cui disporre a proprio piacimento, al fine ultimo di perseguire l’interesse immediato. La faccenda si fa ancora più complicata, tuttavia, quando questa concezione non si limita allo sfruttamento del suolo, ma viene estesa anche a una parte di popolazione, creando una divisione fra cittadini “di serie A” e “di serie B”.
“A giudicare da ciò che hanno fatto per Mosca, i nostri territori, Archangel’sk, Komi, sono colonie da sfruttare, da depredare delle loro risorse naturali, fregandosene della popolazione che li abita”.
A ottobre 2018, le autorità di Mosca e dell’oblast’ di Archangel’sk annunciarono la costruzione di un ekotekhnopark chiamato “Shies” al confine fra l’oblast’ di Archangel’sk e la repubblica di Komi, nella regione artica della Russia europea. Oltre al nome accattivante, col prefisso “eco” che si sperava bastasse a calmare i sospetti, nessun ulteriore dettaglio sostanziale fu svelato sul progetto di Shies, né sulle procedure di smaltimento rifiuti svolte al suo interno. In seguito alle pressioni di gruppi locali per ottenere ulteriori chiarimenti, risultò chiaro che i rifiuti non sarebbero stati né differenziati né riciclati. Non solo: non verranno nemmeno smaltiti.
Secondo il piano ideato da Mosca insieme alle aziende a cui è stato garantito l’appalto, i rifiuti solidi urbani indifferenziati verranno compressi in grandi cubi e imballati in uno strato di polietilene in strutture apposite, attualmente in costruzione sul territorio dell’oblast’ di Mosca. Dopodiché, i cubi verranno trasportati fino alla regione di Archangel’sk con un treno merci. Una volta arrivati, saranno interrati all’interno di questo ekotekhnopark, fino a un massimo di dieci milioni di tonnellate di immondizia. I rifiuti potranno riposare nella struttura per un periodo lungo fino a “venticinque anni”, come annunciato dalle autorità, in attesa che i cittadini se ne dimentichino.
La regione di Archangel’sk è stata appositamente scelta perché strategicamente adatta: relativamente vicina a Mosca, facilmente raggiungibile con tratte ferroviarie poco frequentate da merci e passeggeri, e scarsamente abitata rispetto ad altre zone della Russia occidentale.
Elena Solov’eva, giornalista del “The New Times/Novoe Vremja” che da mesi segue attentamente i fatti di Archangel’sk, già a inizio gennaio dipingeva bene la situazione: “a giudicare da ciò che hanno fatto per Mosca, i nostri territori, Archangel’sk, Komi, sono colonie da sfruttare, da depredare delle loro risorse naturali, fregandosene della popolazione che li abita”. In molti si sono trovati d’accordo con lei: alcuni sondaggi riportano che il 95% della popolazione della zona è “fortemente contrario” alla costruzione di Shies e simili ekotekhnopark.
Le autorità federali sono consapevoli di questo sentimento, e del fatto che tra le cause principali dell’opposizione popolare al progetto vi è anche l’assenza totale di informazioni. Per ovviarvi, a inizio 2019 rilasciarono una serie di linee guida per le autorità regionali di Archangel’sk, volte a “riacquisire il controllo politico sulla questione ecologica”, come riportato ancora una volta dal “New Times”. Queste indicazioni includono una forte campagna informativo-propagandistica sui mass e social media governativi, e la sponsorizzazione di Shies in occasione di eventi internazionali come il quinto Forum Internazionale dell’Artico, tenutosi ad Archangel’sk lo scorso aprile.
Questa serie di accorgimenti, comunque, non è stata molto efficace. Ai sentimenti avversi al progetto sulla base della questione ambientale si è aggiunta un’ulteriore motivazione: l’irregolarità del progetto e il coinvolgimento di interessi privati. Diverse testate giornalistiche indipendenti, tra cui “Meduza” e “The New Times”, hanno pubblicato una serie di inchieste e reportage e fatto luce su una serie di collegamenti (fra gli autori delle inchieste spicca Ivan Golunov, il giornalista arrestato su false accuse e poi rilasciato, che ha scatenato un caso mediatico lo scorso giugno). Primo: i documenti che attestano i permessi di costruzione e la conformità alle norme vigenti delle nuove infrastrutture non sono pervenuti. Le società coinvolte non sono state in grado di fornirli né agli organi della magistratura, né tantomeno agli enti privati come, appunto, le testate giornalistiche. Ciò non ha comunque impedito il proseguimento dei lavori. Secondo: le numerose società coinvolte in questo colossale progetto sembrano tutte convergere verso una società di costruzioni chiamata Roud Grupp, fondata nel 2010 e cresciuta a tempo record grazie a una straordinaria collezione di appalti pubblici vinti sul territorio moscovita. Oltre a una serie di curiose corrispondenze fra il consiglio di amministrazione di Roud Grupp e i vertici delle altre società coinvolte nei lavori (fra le quali: Arktika Invest, Avtomobilnye Dorogi, Tekhnopark, Profzemresurs, Mosvodokanal e molte altre), una parte consistente dei vertici di Roud Grupp occupa posizioni di rilievo nella pubblica amministrazione moscovita.
Vista la gravità della situazione, una mobilitazione senza precedenti ha agitato l’oblast’ di Archangel’sk a partire dall’inizio dell’anno
È dunque evidente come, ancora una volta, gli interessi economici siano il carburante principale di un progetto che i gruppi di opposizione non hanno esitato a definire “genocidio ecologico”. Vista la gravità della situazione, una mobilitazione senza precedenti ha agitato l’oblast’ di Archangel’sk a partire dall’inizio dell’anno. A febbraio 2019, il cantiere di Shies è stato circondato da posti di blocco della polizia attivi 24/7, affinché ai manifestanti e agli attivisti non fosse concesso di raggiungere la struttura. Il 7 aprile 2019 migliaia di persone si sono riversate nel centro della città al coro di “non siamo la discarica di Mosca”. Proteste analoghe in supporto ad Archangel’sk sono state organizzate nelle regioni circostanti, ma anche a Mosca e a San Pietroburgo. Diverse persone hanno boicottato l’approvvigionamento di carburante al cantiere.
In risposta a questa ondata di proteste, le autorità si sono fatte più severe. Igor Orlov, governatore della regione di Archangel’sk (non inclusa fra le regioni che sono andate al voto lo scorso 8 settembre), ha pubblicamente ingiuriato i manifestanti e definito queste proteste “insensate”, ribadendo il suo supporto al Cremlino. Gli scontri fra manifestanti, corpi speciali di polizia e compagnie di sorveglianza private si sono fatti sempre più violenti, e il numero di civili feriti aumenta di giorno in giorno senza che i media riportino alcunché, rendendo ancora più difficile stilare un bilancio attendibile. A oggi, i lavori e le proteste proseguono lungo linee parallele. Diversi corpi di polizia sono impegnati in continui interventi, arrivando anche a staccare la rete internet e l’elettricità a interi villaggi circostanti il cantiere in modo da ostacolare la lotta degli attivisti.
Le proteste ambientaliste nell’artico non sono le uniche ad avere agitato la Russia nell’ultimo anno. A Ekaterinburg, nella regione dei monti Urali, i cittadini hanno avuto la meglio nello scontro con le autorità in merito alla costruzione di una chiesa ortodossa nel parco principale della città. Il progetto, lanciato dall’amministrazione regionale in accordo con le istituzioni religiose ortodosse locali, avrebbe significativamente ridotto le aree verdi urbane. Lo scorso aprile, migliaia di cittadini hanno manifestato nel centro della città e nel parco in questione, per chiedere che le loro esigenze venissero ascoltate. Ekaterinburg non rappresenta una roccaforte della fede ortodossa. Anzi, nella città convivono pacificamente numerose comunità religiose, fra cui anche musulmani e luterani. Dopo ripetute manifestazioni, picchetti e scontri fra manifestanti e polizia, lo scorso maggio il governatore dell’oblast’ ha fatto un passo indietro annunciando l’interruzione dei lavori e la ripianificazione del progetto in un’altra area della città.
Le proteste hanno trascinato in strada una folla che non si vedeva dal 2012.
Ekaterinburg e Archangel’sk raccontano due storie diverse, e al momento diversi sono anche gli esiti. Tuttavia, hanno un importante tratto in comune: sono entrambe rivendicazioni popolari degli spazi cittadini, del suolo pubblico e del bene comune, ma anche di una cittadinanza attiva e non suddita. Il problema, come analizza Solov’eva, è che dopo un ventennio di regime i cittadini sono diventati insofferenti a governi sordi ai loro bisogni e alienati in cima al loro Olimpo. I russi non sono più disposti ad accettare una concezione del suolo e dello spazio esclusivamente utilitaristica, specialmente se questa concezione ha il fine unico di arricchire le élite federali, regionali, clericali e imprenditoriali.
A ciò si aggiunge il rifiuto di una gerarchia insensata imposta dall’alto: alla classica dicotomia non ancora superata fra popolo ed élite, si aggiunge la divisione fra cittadini “di serie A”, i moscoviti, e i cittadini “di serie B”, gli abitanti della periferia russa, declassati a discarica degli abitanti del centro. Questa discriminazione diventa ancora più insopportabile quando prende la forma di nuove politiche ambientali e di investimenti da miliardi di rubli. Ciò che sta succedendo ad Archangel’sk è una lotta per la riconquista della piena dignità di cittadini e per un pari trattamento da parte delle istituzioni. Una lotta contro una politica coloniale di un centro dispotico che rappresenta gli interessi solo di se stesso.
Un’altra importante sfida per il Cremlino sono state le proteste che hanno imperversato lungo il Prospekt Sakharova di Mosca per tutta l’estate. L’affaire Golunov, come da alcuni è stato definito, si è concluso con una pallida vittoria: il giornalista autore di molte inchieste su politica e corruzione è stato rilasciato, e gli ufficiali “responsabili” delle false accuse sono stati sollevati dall’incarico. Il caso Golunov ha acceso la miccia di una serie di manifestazioni in nome di maggiore democrazia e libertà di espressione, del rilascio dei prigionieri politici e, in vista dello scorso 8 settembre, di elezioni libere ed eque. Le proteste hanno trascinato in strada una folla che non si vedeva dal 2012. Col passare delle settimane e l’aggiunta di nuovi simboli, si sono trasformate in un generale grido d’insoddisfazione e nella pretesa di una maggiore democrazia.
Tuttavia, è la ratio fra pressione dei media e interessi in gioco, infatti, il fattore decisivo dell’efficacia o meno delle proteste. Osservando le vicende di questa estate in Russia, è evidente come le manifestazioni abbiano influenzato il corso delle vicende solo nel momento in cui sono riuscite a creare un caso mediatico che attirasse l’attenzione dei media internazionali, come nel caso di Golunov, o nel caso in cui non pesassero troppo sul bilancio costi-benefici del Cremlino, come nel caso di Ekaterinburg. Il cantiere di Shies è ancora in funzione, quasi tutte le candidature di candidati di opposizione indipendenti sono state rigettate da tutte le circoscrizioni grazie al “filtro municipale” e a dichiarazioni false, e Russia Unita ha vinto anche grazie a metodi poco ortodossi, come registrato da varie organizzazioni di monitoraggio elettorale.
Le speculazioni su un regime “in piena crisi” e sul crollo della credibilità di Putin nel suo Paese sono da osservare con diffidenza. Non può invece essere ignorato ciò che queste proteste, così diverse nella loro natura, hanno dimostrato: una rinnovata consapevolezza dei diritti del cittadino e una grande sensibilità a temi politici e ambientali, da parte di quella classe media che spesso le autorità tendono a considerare sopita. La pretesa che gli interessi di tutti vengano rappresentati, il desiderio di maggiore giustizia sociale, la volontà di superare la politica discriminatoria fra centro e periferia che offende la dignità di una larga parte della popolazione russa rendono ancora più interessante la corsa da qui al 2024, anno in cui scadrà l’ultimo mandato di Putin.