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L’autobus: poesie su Frida Kahlo

1 Giugno 2022
Pascale Petit

a cura di Paola Splendore

Nata a Parigi nel 1953, cresciuta tra Francia e Galles, Pascale Petit ha studiato pittura e scultura al Royal College of Art di Londra approdando alla poesia solo in età matura. Ha viaggiato in molti paesi del mondo – Amazzonia, India, Messico, Kazakistan, Nepal – ricavandone impressioni e scenari della sua poesia. Otto le raccolte finora pubblicate e tradotte in molte lingue, ma non ancora in italiano, tra cui The Zoo Father (2001), Fauverie (2014), Mama Amazonica (2017), e Tiger Girl (2020), dove paesaggi esotici e selvaggi, sciamani, maschere azteche, formiche di fuoco si intrecciano a elementi fortemente autobiografici. Le poesie che seguono sono tratte da What the Water Gave Me (Seren, Poetry Wales Press 2010), interamente dedicata all’opera di Frida Khalo. Le poesie della raccolta, ognuna intitolata a un quadro della pittrice messicana, evocano con tutta la forza dei colori e la violenza delle immagini surreali dei suoi quadri, gli eventi traumatici della vita dell’artista come l’incidente che le spezzò la schiena a diciotto anni, l’amata scimmia Fulang-Chang, e il tempestoso matrimonio con Diego Rivera. Grazie alle edizioni Seren per averci permesso di riprodurre questa selezione.

The Bus
I have not yet caught the bus, but we are all here
ready to play our parts: the housewife with her basket,
the barefoot mother nursing her child,
the boy gazing out the window just as later
he’ll stare through the smeared pane and catch
the tram’s advance, his eyes wide as globes.
The gringo holds his bag of gold dust.
I am next to him, sixteen, my body still
intact when the bag explodes and something
bright as the sun fills the air with humming motes
that stick to my splattered skin. Then the labourer
with his mallet will heave the silver post out of me.
His blue overalls are clean. He is not surprised to find me alive.
Here, in Coyoacán at the stop, where the six of us
wait on a bench side by side, just as we will sit
in the wooden bus, comrades in the morning of my life.

L’autobus
Ancora non ho preso l’autobus, ma siamo tutti qui
a fare la nostra parte: la casalinga col suo cesto,
la madre a piedi nudi che allatta il bambino,
il ragazzino che guarda dal vetro come poi
guarderà dal finestrino sporco e vedrà
arrivare il tram, gli occhi fuori dalle orbite.
Il gringo stringe la sua borsa di polvere d’oro.
Sono seduta accanto a lui, ho sedici anni, il corpo ancora
intatto quando la borsa esplode e qualcosa
di splendente come il sole riempie l’aria di granelli ronzanti
che si attaccano alla mia pelle impiastrata. Più tardi l’operaio
estrarrà col suo maglio il palo d’argento dal mio corpo.
Ha una tuta pulita. Non si stupisce di trovarmi viva.
Qui alla fermata, a Coyoacan, dove in sei aspettiamo
fianco a fianco su una panchina, seduti come poi
sull’autobus di legno, compagni nel mattino della mia vita.

The Wounded Deer
I have a woman’s face
but I’m a little stag,
because I had the balls
to come this far into the forest,
to where the trees are broken.
The nine points of my antlers
have battled
with the nine arrows in my hide.

I can hear the bone-saw
in the ocean on the horizon.
I emerged from the waters
of the Hospital for Special Surgery.
It had deep blue under-rooms.

And once, when I opened my eyes
too quickly after the graft,
I could see right through
all the glass ceilings,
up to where lightning forked
across the New York sky
like the antlers of sky-deer,
rain arrowing the herd.

Small and dainty as I am
I escaped into this canvas,
where I look back at you
in your steel corset, painting
the last splash on my hoof.

Il cervo ferito
Ho il volto di donna
ma sono un cervo,
perché ho avuto il coraggio
di avventurarmi nel folto della foresta,
dove gli alberi sono spezzati.
Le nove corna appuntite del mio palco
hanno lottato
con le nove frecce del mio mantello.

Riesco a sentire il sega-ossa
sull’oceano all’orizzonte.
Sono emersa dalle acque
dell’Ospedale di chirurgia speciale.
C’erano stanze sotterranee di un blu intenso.

E quella volta che ho aperto gli occhi
troppo presto dopo il trapianto,
il mio sguardo ha attraversato
tutti i soffitti di vetro,
fin dove il lampo si è biforcato
nel cielo di New York
come il palco del cervo celeste,
mentre la pioggia picchiava sul branco.

Piccolo e delicato come sono
ho trovato rifugio in questa tela,
e da qui ti guardo mentre
nel tuo corsetto d’acciaio dipingi
l’ultima macchia sul mio zoccolo.

The Broken Column
When I tried to dress this morning
a crack opened in my chest.

My breasts parted
like two volcanoes.

My heart glowed
like a dome of magma

inside the cage
of this steel jacket.

I passed through a shower
of white-hot nails.

What held my chin up
was an Ionic column

the surgeon had inserted
to stretch my spine.

lt pressed on my crotch
as I tottered over faults

in the lava field,
the fractures grinding

as I inched forward.

La colonna spezzata
Quando ho provato a vestirmi stamattina
mi si è squarciato il petto.

I seni separati
come due vulcani.

Il cuore riluceva
come una cupola di magma

dentro la gabbia
di questo corsetto di acciaio.

Sono passata sotto una doccia
di chiodi roventi.

A sostenermi il mento
c’era una colonna ionica

che il chirurgo aveva inserito
per distendermi la spina dorsale.

Mi premeva sul pube
mentre barcollavo sulle faglie

della distesa di lava,
le fratture scricchiolavano

via via che avanzavo.

What the Water Gave Me (III)
Let me tame you, my pet bathtub, and rest
inside your smooth white belly.

l’ll fill you to the brim with trembling water
that’s never seen light before

while you raise yourself up on your claw feet
and crawl into the cactus garden,

delivering me to my dinner guests
with a triumphant splash.

Quello che l’acqua mi ha dato (III)
Lasciati domare, vasca mia adorata, e fammi riposare
nella tua liscia pancia bianca.

Ti riempirò fino all’orlo di acqua tremula
che non ha ancora mai visto la luce

mentre ti sollevi sulle zampe di leone
e scivoli nel giardino dei cactus,

consegnandomi agli ospiti
con uno spruzzo di trionfo

Diego and I
Diego the glutton, guzzling monkey brains
and hummingbird hearts,

who, after dinner, releases my hair
as if opening a zoo cage

and out fly my eyes on bat wings.
And all the nocturnal creatures

that live in my mouth
burrow deep inside me, scuttling

into the slaughterhouse of my body

Io e Diego
Diego, quell’ingordo, che si pasce di cervello di scimmia
e cuori di colibrì,

che dopo cena mi scioglie i capelli
come se aprisse la gabbia di uno zoo

e volano via i miei occhi su ali di pipistrello.
E tutte le creature notturne

che abitano la mia bocca
restano sepolte, sprofondando

nel mattatoio del mio cuore.

Prickley Pears
With his soft painter’s hands
how quickly he peels me
 
like a prickly pear
removing my thorns.
 
In one flash
he becomes Diego the butcher 
 
whose third eye can see
into the abattoir of my chest 

where my heart hangs
from a meat-hook.

Fichi d’India
Le sue morbide mani di pittore
mi sbucciano veloci –

come un fico d’India
togliendomi ogni spina.

In un lampo
lui diventa Diego il macellaio

e con il terzo occhio guarda dentro
il mattatoio del mio petto

dove il mio cuore è appeso
a un gancio.

Self-Portrait with Monkey
The bristles on my brushes work
like furtive birds. Hours pass.
When the painting starts to rustle,
Fulang-Chang grips my neck,
too frightened even to yelp. As if
the leaves are hiding a forest floor
where I have buried a troop of monkeys
alive. As if the only sound in this
whole house is the breathing of animals
through thin straws; even tonight,
when it’s too late, and I am long dead.
And you, brave viewer, meet my gaze.

Autoritratto con scimmia
Le setole dei miei pennelli si muovono
come uccelli furtivi. Passano le ore.
Quando il quadro comincia a frusciare,
Fulang-Chang mi si aggrappa al collo,
troppo spaventata anche per urlare. Come se
le foglie nascondessero il suolo della foresta
dove ho sepolto un branco di scimmie
vive. Come se l’unico suono in tutta
questa casa fosse il respiro degli animali
tra le canne sottili; anche stanotte,
troppo tardi ormai, e io morta da tempo.
E tu, coraggioso spettatore, incroci il mio sguardo.

Light (Fruit of Life)
The sun sits on my bedside table
like an orange spider,
entangling my still life in his rays.
He has Diego’s features.

My own portrait is buried
in the flesh of a melon
but I haven’t the strength
to excavate it.

And the mamey fruit,
the pitahayas –
what do they contain?

My bride doll and sugar skeleton
sit on a banana
contemplating red rinds
sliced open –
white universes
packed with black stars,

so amazed
at this morning’s bounty
that for once
they are not afraid of each other,
are holding hands.

I have placed her doll
bed next to his candy coffin.
Tonight they’ll sleep together
like an old married couple.

Luce (frutto della vita)
Il sole sul mio comodino
è come un ragno arancione,
che imprigiona la mia natura morta nei suoi raggi.
Ha la faccia di Diego.

Il mio ritratto è sepolto
nella polpa di un melone
ma non ho la forza
di esumarlo.

E il frutto del mamey,
e le pitaya –
cosa contengono?

La mia bambola sposa e lo scheletro di zucchero
se ne stanno su una banana
a contemplare le bucce rosse
affettate –
universi bianchi
gremiti di stelle nere,

così sorpresi
dai ricchi doni del mattino
che per una volta,
non più paurosi l’uno dell’altro,
si tengono per mano.

Ho messo il lettino della bambola
accanto alla bara di zucchero di lui.
Stanotte dormiranno insieme
come una vecchia coppia di sposi.


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