La Repubblica Popolare Cinese e Taiwan. Una questione di metodo
Zhong Nanshan (鍾南山) è il medico esperto di malattie delle vie respiratorie divenuto celebre nel 2003 per aver prima contestato la linea ufficiale del governo cinese sull’epidemia di SARS – che ne sminuiva la gravità – e per poi essere riuscito a gestire l’emergenza, mettendo a punto quello che sarebbe diventato il protocollo di trattamento standard della malattia. Oggi è a capo del comitato della Commissione Sanitaria Nazionale – come è stato rinominato il Ministero della Salute cinese – che si occupa della crisi provocata dal virus SARS-CoV-2. Il 20 gennaio ha dichiarato all’agenzia di stato cinese Xinhua che erano stati individuati casi di trasmissione da uomo a uomo del nuovo coronavirus, era la prima conferma pubblica del fenomeno. Il 29 gennaio, il Centro di Controllo e Prevenzione delle Malattie cinese ha pubblicato una ricerca che faceva risalire i primi casi di trasmissione tra persone già a metà dicembre, causando scandalo sulle piattaforme social cinesi, per il ritardo mostrato nell’informare la popolazione. Il Centro si è difeso sostenendo che i dati su cui era costruito lo studio erano stati ottenuti soltanto il 23 gennaio.
In effetti, verso la fine di dicembre, gli ospedali di Wuhan, capitale della provincia dell’Hubei, sono stati travolti da un numero anomalo di pazienti affetti da una polmonite con una strana sintomatologia. Il numero di ammissioni giornaliere per struttura avrebbe presto raggiunto le 800 o 900 persone con sintomi simili, costringendo gli ospedali a dover cercare l’aiuto di personale esterno. Alcuni dei pazienti ricoverati sono stati sottoposti a tamponi e, prima della fine dell’anno, almeno nove campioni di materiale biologico così raccolti sono stati inviati, per essere analizzati, a diversi laboratori con sede al di fuori dell’Hubei.
Il 27 dicembre, Vision Medicals (微远基因), una compagnia di Guangzhou, capitale del Guangdong, aveva sequenziato la gran parte del codice genetico del virus trovato nei polmoni di un uomo che lavorava al mercato del pesce di Wuhan, ricoverato il 18 dicembre all’Ospedale Centrale della città. I risultati mostravano un nuovo coronavirus che condivideva circa l’80% del RNA del virus che causava la SARS (quest’ultimo ora possiamo chiamarlo SARS-CoV-1). Il protocollo ordinario prevedeva l’invio dei risultati all’ospedale, ma per motivi non chiari la compagnia non lo fece, limitandosi a contattare la struttura per telefono. Nei giorni seguenti, i vertici della compagnia visitarono Wuhan per discutere e investigare la situazione con l’ospedale e il Centro per il Controllo delle Malattie , che erano a conoscenza di altri pazienti con la stessa sintomatologia. Gli esami eseguiti da Vision Medicals sul nuovo patogeno avrebbero contribuito a uno studio pubblicato sulla versione inglese del Chinese Medical Journal, tra i cui autori troviamo, oltre a esponenti della compagnia privata, membri dell’Accademia Cinese di Scienze Mediche, che risponde alla Commissione Sanitaria Nazionale.
Un’altra compagnia, Capitalbio Medlab (博奧晶典), con sede a Pechino, analizzò il campione raccolto da un paziente ricoverato il 27 dicembre all’Ospedale Centrale di Wuhan, che non sembra avere avuto contatti con il mercato del pesce. I test del laboratorio diedero un falso positivo, scambiandolo per il virus SARS-CoV-1. Un errore che servì, però, a mettere in allarme i medici. Il 30 dicembre, Ai Fen (艾芬), la direttrice del reparto di pronto soccorso, ricevette i risultati. Ai condivise il documento, che parlava espressamente di “SARS” e “coronavirus”, sulla app di messaggistica privata Weixin (conosciuta come WeChat al di fuori della Cina) con i colleghi di quello e altri ospedali della città. Questi lo inoltrarono ad altri medici, per metterli in guardia del rischio rappresentato, soprattutto tra il personale sanitario, da un coronavirus che appariva avere già infettato diverse persone. I loro messaggi affiorarono presto al di fuori dei gruppi privati di Weixin, provocando lo sdegno dei cittadini fino ad allora tenuti all’oscuro e la richiesta di maggiori informazioni. Ma le autorità reagirono censurando la discussione su internet e utilizzando la polizia per intimidire alcuni dei medici che avevano ritrasmesso le informazioni, che furono costretti a firmare documenti in cui riconoscevano di aver diffuso notizie false.3
Dopo aver lanciato l’avvertimento, Ai Fen fu redarguita dai suoi superiori, e a lei e ai dipendenti dell’ospedale fu proibito di condividere informazioni sul patogeno. Ai poteva soltanto chiedere ai membri dello staff medico di indossare le protezioni necessarie, nonostante l’ospedale consigliasse di fare il contrario.5
Tra i medici accusati dalle autorità di diffondere notizie false c’era Li Wenliang (李文亮), anche lui lavorava all’Ospedale Centrale di Wuhan, l’epicentro dell’epidemia e il luogo dove si è registrato il più alto tasso di infezioni tra gli operatori sanitari. Sarebbe poi deceduto per un infezione da SARS-CoV-2 il 7 febbraio.6 Di Ai Fen, invece, si sono perse le tracce, dopo la pubblicazione di una sua intervista, poi censurata, sulla rivista Renwu; da metà marzo non si hanno più sue notizie.
Il 31 dicembre il governo di Wuhan annuncia per la prima volta pubblicamente che sono stati rilevati alcuni casi di un nuovo tipo di polmonite, limitandosi a confermarne però solo 27 in totale, compresi quelli di due pazienti che erano già guariti, e precisando che non era stato osservato alcun caso evidente di trasmissione da uomo a uomo. Lo stesso giorno arriva nella città una squadra di tecnici della Commissione Sanitaria Nazionale.1 Nonostante più di un laboratorio avesse scoperto che si trattava di un nuovo tipo di coronavirus – informazione che sarebbe bastata a mettere in allarme molti esperti – il 31 dicembre il governo cinese comunica all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) di aver individuato a Wuhan una serie di casi di polmonite dalla causa sconosciuta.3
L’1 gennaio i risultati di test effettuati su svariati tamponi contenenti il nuovo virus sono già stati inviati agli ospedali e alle autorità sanitarie di Wuhan, compresi quelli eseguiti da BGI Genomics (華大基因) – gigante mondiale del settore, con base a Shenzhen, nel Guangdong – che l’aveva rilevato in tre campioni diversi provenienti dalla capitale dell’Hubei. Quello stesso giorno, però, dopo la comunicazione del governo all’OMS, la Commissione Sanitaria dell’Hubei telefona alle compagnie impegnate nello studio della struttura genomica del virus, ordinando la cessazione dei test e la distruzione dei campioni ottenuti finora, insieme alla sospensione del rilascio di informazioni sul nuovo patogeno.3
Il 3 gennaio, oltre all’ordine per vie informali della provincia, viene emesso quello della Commissione Sanitaria Nazionale, che intima di non pubblicare nessuna ulteriore informazione e ai laboratori di distruggere i campioni genetici in loro possesso, o altrimenti di trasferirli alle sedi autorizzate. Caixin Global, che ha visionato l’ordinanza, dichiara che su questa non era stata indicata alcuna sede predisposta. Nemmeno l’Istituto di Virologia di Wuhan – che opera sotto l’Accademia delle Scienze Cinese, la più grande organizzazione di ricerca al mondo, e che dispone dell’unico laboratorio cinese con un livello di biosicurezza pari a 4, il massimo previsto – rientrava tra le sedi abilitate.3
Ma sempre il 3 gennaio, un campione sfuggito alle maglie del controllo governativo, proveniente dall’Ospedale Centrale di Wuhan, viene consegnato al professore Zhang Yongzhen (張永振) dell’Università Fudan di Shanghai. Da anni il suo gruppo di lavoro riceveva regolarmente campioni raccolti dall’ospedale, all’interno di un programma di ricerca sui patogeni zoonotici. Il 5 gennaio la squadra di Zhang identifica un nuovo coronavirus, simile all’89,11% a quello che provoca la SARS.
Zhang comunica la sua scoperta alla Commissione Sanitaria del municipio di Shanghai e alla Commissione Sanitaria Nazionale, condividendo la struttura genomica del patogeno, specificando che era molto probabile che il virus si trasmettesse attraverso il sistema respiratorio – e che quindi potesse diffondersi rapidamente – e sottolineando la necessità di adottare precauzioni negli spazi pubblici. Per i medici di Shanghai, questo costituiva la conferma di un sospetto già esistente. A fine dicembre, infatti, era giunta loro voce del diffondersi a Wuhan di un’epidemia simile a quella di SARS, il che li aveva spinti a mettere in guardia i colleghi e il resto del sistema sanitario della città. La serietà con cui Shanghai ha affrontato da subito la nuova minaccia virale, grazie anche all’esperienza acquisita in passato confrontandosi con altre epidemie, nei mesi seguenti ha permesso a quello che sembrava poter essere un perfetto terreno di coltura per il SARS-CoV-2 – trattandosi di un centro urbano iper-connesso che vanta stretti legami economici con l’Hubei – di diventare uno degli esempi più riusciti di contenimento del virus.3
Nonostante i risultati dei test portati termine nei giorni seguenti alla comunicazione del governo cinese all’OMS, il 5 gennaio l’Organizzazione rilascia il comunicato in cui ne rende conto, affermando che nella Repubblica Popolare erano emersi diversi casi di una polmonite dall’eziologia sconosciuta, aggiungendo che non era stato registrato alcun caso evidente di trasmissione da uomo a uomo e di infezione all’interno del personale sanitario.
In realtà, già il 3 gennaio il Centro per il Controllo delle Malattie nazionale aveva determinato la struttura genetica del nuovo patogeno, ma solo il 7 gennaio, due giorni dopo la comunicazione di Zhang, avevano stabilito che il coronavirus fosse la causa della misteriosa polmonite.
Il 9 gennaio la televisione di stato CCTV annuncia le conclusioni a cui è giunto il Centro, ma nella comunicazione pubblica si continua a sottostimare il livello di contagiosità tra le persone.3
L’11 gennaio la squadra di Zhang condivide con il mondo intero il codice genetico del virus, attraverso le banche dati pubbliche Virological.org e GenBank, dando così la possibilità a chiunque ne abbia i mezzi di realizzare appositi test per la sua rilevazione. Solo qualche ora dopo, la Commissione Sanitaria Nazionale fa sapere che condividerà la sequenza genetica con l’OMS. Quello stesso giorno, le autorità sanitarie di Wuhan hanno ribadito che non c’erano prove di trasmissione tra esseri umani e che non era stato riscontrato alcun caso di contagio all’interno del personale medico.
Il giorno seguente alla pubblicazione del codice genetico, il 12 gennaio, il laboratorio in cui operava la squadra di Zhang viene fatto chiudere dalla Commissione Sanitaria di Shanghai senza dare precise motivazioni, ostacolando in questo modo, in un momento cruciale, il lavoro di ricerca degli scienziati.11
Mentre tutto questo accadeva, durante la prima metà del mese, per un periodo la Commissione Sanitaria di Wuhan non ha riportato alcun nuovo caso di infezione e ha emesso una direttiva che rallentava il processo di segnalazione dei casi, imponendo la consultazione con le autorità cittadine e provinciali per confermare le diagnosi mediche. Per alcuni casi sospetti fu persino fatta la richiesta di diagnosticare malattie differenti. Le conferme di nuovi infezioni sono riprese solo a partire dal 18 gennaio, una volta conclusasi la riunione annuale degli organi legislativi della provincia dell’Hubei.6
Solo con l’annuncio di Zhong Nanshan del 20 gennaio viene confermata la trasmissione da uomo a uomo, rilevata, comunica Zhong, in almeno 16 casi, di cui 14 sono quelli di operatori sanitari che avevano contratto la malattia da un paziente operato il 7 gennaio a Wuhan.1
Un’epidemia di CoViD-19 diventa incontrollabile se non affrontata per tempo e soprattutto se si perde il controllo della situazione negli ospedali, ovvero se questi diventano nuovi focolai, a causa delle mancate precauzioni, scatenando un circolo vizioso, con medici che si ammalano e trasmettono il virus e, se registrati come positivi, impossibilitati a lavorare perché costretti alla quarantena. Oltre a nascondere la natura stessa del virus e la sua contagiosità, sembra che in Cina si sia posta particolare attenzione proprio a nascondere il fatto che sempre più operatori sanitari venivano contagiati, così quelli che si sono fidati della versione ufficiale hanno continuato a non prendere le precauzioni necessarie. Diversi ospedali, oltre a non ammettere ciò che stava accadendo, sembravano seguire la disposizione di non rilasciare ai membri del personale, che erano risultati positivi, le tomografie dei loro polmoni, limitandosi ad avvisarli per SMS. Non è chiaro da chi sia partita questa direttiva, a che livello sia stata decisa.1
Quello che sappiamo, però, è che tra fine dicembre e inizio gennaio campioni del virus erano arrivati a Guangzhou, a Shenzhen, a Pechino e a Shanghai, così come sembra che i segnali della reale situazione creatasi a Wuhan avevano varcato i confini dell’Hubei. Il governo cinese, però, non appare aver condiviso queste informazioni con l’OMS, assecondando la linea delle autorità provinciali. Neanche gli avvertimenti lanciati da Shanghai sembrano avere oltrepassato i confini nazionali.
Ma la cybersfera amplifica la riproduzione delle informazioni, i messaggi inviati da Li Wenliang su Weixin sono filtrati attraverso i server nazionali fino a giungere nelle mani di una persona che li ha condivisi su PTT, un BBS (Bullettin Board System) taiwanese molto popolare, open-source e non-profit, utilizzabile tramite il protocollo telnet. Il post, pubblicato sulla piattaforma intorno alle 2 del mattino del 31 dicembre dall’utente registrato col il nome di “nomorepipe”, oltre a citare le comunicazioni ufficiali su una polmonite che andava diffondendosi a Wuhan, conteneva screenshot dei messaggi di avvertimento mandati da Li Wenliang e altri medici. I messaggi riportati parlavano di un coronavirus della stessa specie di quello della SARS, ed erano accompagnati da una tomografia polmonare e dai risultati del test eseguito da CapitalBio. Un medico del Centro per il Controllo delle Malattie taiwanese è incappato nel post e intorno alle 3 l’ha condiviso in una chat di cui faceva parte il vice-direttore del Centro, Lo Yi-chun (羅一鈞). Lo, viste le prove convincenti allegate e avendo capito che le informazioni provenivano da personale medico cinese, riferisce di essersi presto convinto della loro validità e di aver lanciato l’allarme tra gli esperti locali.
Taiwan è una nazione con una propria costituzione, con un presidente e un parlamento eletti democraticamente e un esercito autonomo. La Repubblica Popolare Cinese continua però a considerarla parte del proprio territorio nazionale e impone di fare lo stesso agli altri paesi, con la forza del ricatto e la minaccia di interrompere qualsiasi tipo di relazione diplomatica con chi non rispettasse la linea dettata dal regime. Le organizzazioni internazionali di cui fa parte la Repubblica Popolare Cinese rifiutano così di ammettere Taiwan al loro interno, o gli permettono di partecipare ai loro lavori soltanto come osservatore non statale. Dal 1971, La Repubblica Popolare Cinese ha preso il posto alle Nazioni Unite che prima era di Taiwan, la quale da allora è sempre stata esclusa dall’organizzazione. Dal 2009 al 2016 – quando a governare l’isola era Ma Ying-jeou (馬英九), che ha portato avanti politiche concilianti verso la Repubblica Popolare – a Taiwan è stata concessa la partecipazione in qualità di osservatore all’Assemblea dell’OMS, ma dopo l’elezione dell’attuale presidente, Tsai Ing-Wen (蔡英文), del Partito Democratico Progressista – anti-comunista, liberale e difensore dei diritti umani e dell’identità nazionale taiwanese -, Taiwan trova di nuovo grosse difficoltà a essere coinvolta nei lavori dell’Organizzazione.
L’OMS è una fonte di informazioni preziosa per i sistemi sanitari nazionali, esserne esclusi è un rischio per la salute pubblica. D’altra parte, l’organizzazione internazionale stessa si basa sul rapido scambio di informazioni tra i diversi stati.
Nelle ore successive allo spillover informatico avvenuto su PTT, il Centro per il Controllo delle Malattie taiwanese sostiene di aver contattato l’OMS e le autorità cinesi nel tentativo di avvertirli del rischio di trasmissione da uomo a uomo e per richiedere maggiori informazioni sulla questione. Nella e-mail inviata all’Organizzazione, Taiwan faceva riferimento alle notizie sui diversi casi di polmonite atipica individuati a Wuhan e alle dichiarazioni delle autorità cinesi che escludevano si trattasse di SARS, precisando che, nonostante ciò, i campioni di materiale biologico raccolti in Cina erano ancora sotto esame e che i pazienti infetti erano stati isolati. Asia Times riporta che anche l’ufficio rappresentativo di Taiwan a Ginevra, dove ha sede l’OMS, ha tentato di mettersi in contatto con l’Organizzazione.
Taiwan non ha ricevuto in risposta ulteriori informazioni sull’epidemia, e il Vicepresidente taiwanese Chen Chien-jen (陳建仁) – tra l’altro, un epidemiologo con un dottorato ottenuto alla Johns Hopkins University di Baltimora nel Maryland (USA) – sostiene che l’Organizzazione non ha condiviso con gli stati membri le informazioni fornitele.16 18 Successivamente, l’Organizzazione ha ammesso di aver ricevuto l’e-mail, ma sembra non aver ritenuto la comunicazione sui pazienti in isolamento come un segnale anche di trasmissione da uomo a uomo, un rischio che non veniva esplicitato nel messaggio.17
Non fidandosi delle versioni ufficiali provenienti dal continente, quello stesso giorno, il 31 dicembre, con un anticipo di 20 giorni rispetto all’ammissione ufficiale di parte cinese sui casi di trasmissione tra esseri umani, Taiwan ha istituito dei controlli per tutti i voli provenienti da Wuhan. Prima di concedere lo sbarco dei passeggeri, sarebbe salito a bordo il personale incaricato di esaminarli, alla ricerca di sintomi di febbre o polmonite.
Taiwan dista solo 130 chilometri dalla Cina e i due paesi sono collegati da numerosi e frequenti voli aerei, per questo motivo la Johns Hopkins University aveva previsto che, dopo la Thailandia, l’isola avrebbe registrato il maggior numero di casi importati dalla Cina. A ciò si aggiunge che, mentre l’epidemia si espandeva, si avvicinava il capodanno cinese, un periodo in cui si intensificano gli spostamenti interni alla Cina, così come quelli tra la Cina e Taiwan.
Come Shanghai, anche Taiwan è riuscita ad affrontare il virus in modo efficace, adottando misure per la prevenzione e il contenimento tre settimane prima di dover registrare il primo caso locale di CoViD-19, individuato solo il 21 gennaio. La prima morte è stata registrata il 16 febbraio. La seconda il 20 marzo, nel pieno della seconda ondata di contagio. Il 30 marzo c’è stata un’impennata e il conteggio dei morti è arrivato a 5. A oggi, 28 aprile, sono stati registrati 429 casi e 6 morti, il che equivale a un tasso di letalità dell’1,4%. Questi numeri non indicano i casi giornalieri, ma il totale raggiunto dall’inizio dell’epidemia. Mentre nell’Hubei, dopo un lockdown dell’intera provincia durato sette settimane, e un lockdown della capitale duratone undici, i casi registrati si sono fermati intorno ai 68 mila, con un tasso di letalità di circa il 6,5%. Taiwan ha fatto meglio anche degli altri paesi asiatici, lodati per come hanno gestito l’emergenza, come il Giappone, Singapore e la Corea del Sud. Questo risultato è stato ottenuto senza dover ricorrere, per ora, a un lockdown generale: scuole e uffici sono rimasti aperti, così come i ristoranti, le palestre e i bar.12
Dopo l’adozione, l’ultimo dell’anno, delle prime misure per la prevenzione, dal 5 gennaio tutte le persone che risultavano transitate per Wuhan nei 14 giorni precedenti e che, al momento di entrare a Taiwan, mostravano sintomi di febbre o infezione delle vie respiratorie superiori, sono state segnalate al Centro per il Controllo delle Malattie e sottoposte ai test per 26 virus differenti, tra cui quelli della SARS e della MERS. I casi sospetti venivano sottoposti a una quarantena domestica e si valutava la necessità che vengano curati in ospedale.
Il 20 gennaio è stato attivato il Centro di Comando Epidemico Centrale (CCEC) di Taiwan, parte del Centro di Comando Sanitario Nazionale, quest’ultimo un organo istituito nel 2004 in seguito all’esperienza della SARS, al fine di centralizzare la gestione di gravi epidemie, facendo da punto di riferimento per le autorità locali, regionali e centrali. Il CCEC, posto sotto la guida del Ministro della Salute, una volta entrato in funzione, serve a coordinare le politiche dei diversi ministeri in risposta alla crisi sanitaria.23
Il CCEC si è occupato, tra le altre cose, della logistica e della gestione delle risorse. A partire dal 22 gennaio è stato fissato un prezzo calmierato per le maschere protettive, per evitare speculazioni, e le autorità si assicurano che le scorte siano allocate in modo uniforme. Successivamente, è stata razionata la quantità di mascherine acquistabili settimanalmente da ogni persona e si è suddivisa la popolazione in due grandi gruppi, abilitati ad acquistarle in giorni diversi. Per incrementarne la produzione sono stati impiegati i militari. Chi tenta di speculare sulla vendita di prodotti per la prevenzione rischia una multa molto pesante e il carcere, così anche chi accumula beni essenziali. L’esportazione delle mascherine è stata interrotta, in modo che il paese se ne possa assicurare la disponibilità necessaria a proteggere per prima cosa la propria popolazione.24 Indossare una maschera protettiva non è obbligatorio, se non, a partire dal mese di aprile, sui mezzi di trasporto pubblici.
Diverse strutture statali sono state convertite in spazi per la quarantena.24
Non è chiaro quanto possano essere efficaci, nel contrastare un’epidemia, le restrizioni all’ingresso in un paese. Ma anche Taiwan le ha imposte, iniziando con un divieto di ingresso ai viaggiatori provenienti da determinate località, poi esteso, a partire dal 19 marzo, a qualsiasi straniero che non rientri in specifiche eccezioni. Ha imposto restrizioni anche ai viaggi all’estero per specifiche categorie di cittadini, come quelle per insegnanti e studenti, a cui è vietato di uscire dal paese fino al mese di giugno, e quelle per i medici che lavorano in prima linea, a cui è vietato di viaggiare in aree considerate ad alto rischio di contagio.
La pandemia è un campo tematico perfetto per la disinformazione su internet, e infatti la guerra di informazioni a cui è sottoposta l’isola si è intensificata ulteriormente a seguito dello scoppio dell’epidemia, in gran parte attraverso messaggi provenienti da indirizzi IP cinesi.
Per contrastare la diffusione di notizie false sul CoViD-19, il governo ha stabilito che possono essere punite, nel caso si giudichi che hanno arrecato un danno all’interesse pubblico, con una pena pecuniaria e la detenzione.25 Ma contro una minaccia microscopica, c’è un limite alla capacità di controllo da parte di un corpo grande come quello dello stato, è necessario che siano i singoli individui ad adoperarsi per contrastarla.
Dall’epidemia di SARS del 2003, il Centro per il Controllo delle Malattie offre 24 ore su 24, attraverso il numero verde 1922, un servizio, disponibile in inglese e in mandarino, di consulenza e divulgazione sulle malattie contagiose e su come proteggersi, oltre alla possibilità di riferire sul proprio stato di salute. Il Ministero del Lavoro offre un ulteriore numero, il 1955, pensato per i lavoratori migranti.
Da gennaio, il Ministro della Salute comunica alla stampa un aggiornamento quotidiano sulla diffusione dell’epidemia, e il Vice-Presidente rilascia frequenti comunicazioni su materie più pratiche come quali precauzioni per la sicurezza personale adottare e come metterle in atto nel modo più efficace.23 Diversi commentatori stranieri concordano sul fatto che la comunicazione pubblica del governo è trasparente e corretta, il che contribuisce a creare il clima giusto per assicurarsi la cooperazione di cittadini informati e coscienti della situazione. Dunque, che non sia stato adottato il lockdown e che non tutti portino la mascherina, non significa necessariamente che la popolazione sottovaluti i rischi dell’epidemia.
Privati cittadini hanno sviluppato dei software utili alla prevenzione, come ad esempio una mappa virtuale per conoscere in tempo reale la disponibilità di maschere protettive nelle diverse farmacie, o un sito che indica le aree visitate dai pazienti poi risultati positivi. La Ministra Audrey Tang (唐鳳), una programmatrice e promotrice del software libero, ha contribuito ad alcuni di questi progetti, coordinandone lo sviluppo e fornendo l’accesso alle banche dati necessarie. Tang fa parte di g0v, un gruppo della società civile, con una struttura decentrata, che utilizzando e promuovendo il libero accesso alle informazioni mira a favorire la partecipazione politica dal basso. Un membro del gruppo ha creato un sito dove chiunque può pubblicare materiale informativo sull’epidemia, se accompagnato da fonti che lo comprovino.
Per quanto riguarda la sorveglianza e l’uso dei big data, verso la fine di gennaio Taiwan ha incrociato le banche dati dell’Ufficio Nazionale per l’Immigrazione e della dogana con quella dell’assicurazione sanitaria nazionale. L’obiettivo era quello di associare, per ogni persona, la rilevazione di sintomi sospetti agli spostamenti avvenuti negli ultimi 14 giorni – così da individuare chi fosse stato di recente in paesi o aree con un alto tasso di contagio.23 Da metà febbraio ospedali, cliniche e farmacie hanno accesso all’elenco degli spostamenti effettuati dai pazienti nelle ultime due settimane.24 Chi viene considerato un caso ad alto rischio deve sottoporsi a una quarantena di 14 giorni, il cui rispetto viene verificato attraverso il monitoraggio effettuato dagli operatori telefonici tramite la scheda SIM del telefono e i dati GPS, quindi senza utilizzare una app dedicata. Le autorità chiamano la persona in quarantena due volte al giorno,30 per assicurarsi che non si sia spostata lasciando il telefono a casa, e se questo viene spento cercano immediatamente di mettersi in contatto. Se il soggetto continua a essere irraggiungibile o sembra essersi allontanato da casa, la polizia viene allertata e inviata a fare un controllo. Chi si trova in quarantena deve inviare ogni giorno dei messaggi per riferire delle proprie condizioni di salute. Se vive da solo, può richiedere al governo locale che gli vengano forniti due pasti al giorno.30 La polizia esegue anche dei controlli di routine nei luoghi pubblici, per assicurarsi che nessuna delle persone presenti sia sotto obbligo di quarantena.37
Nei casi in cui non si sia riuscito a ricostruire i contatti di un paziente risultato positivo, è stata pubblicata la lista dei luoghi da lui visitati. In almeno un caso, sono stati inviati SMS di avvertimento alle persone che si crede si siano trovate negli stessi luoghi e nello stesso momento per più di 15 minuti, non è chiaro come una tale operazione sia stata realizzata, ma sembrerebbe che Taiwan stia ancora sperimentando fino a che punto possa spingersi con il tracciamento elettronico.
Jason Wang, autore di un resoconto sulla strategia di contenimento taiwanese per il Journal of American Medical Association, afferma che la possibilità del governo di incrociare i dati e di tracciare gli spostamenti delle persone è prevista solamente durante una “crisi”, come stabilito dal Communicable Disease Control Act (傳染病防治法). Che questa condizione venga rispettata, è un test importante per la democrazia taiwanese. È sicuro che non tutti i cittadini approvino questo metodo. Molti giornali riportano, come già detto, che il governo ha la fiducia della maggior parte della popolazione, ma non possiamo sapere se questa lettura della stampa internazionale sia condizionata da una stampa locale troppo schierata dalla parte della nazione, certo è che la fiducia è una componente fondamentale di una democrazia funzionante, insieme a una cittadinanza informata. Quando i cittadini cedono i propri dati e quelli delle persone che conoscono a delle compagnie private, e con particolare zelo quelli relativi agli spostamenti, ma allo stesso tempo non si fidano di mettere nelle mani dello stato una frazione di tutte quelle informazioni, allora c’è un problema ancora più grave di quello della sorveglianza.
Molti sembrano spinti a cercare il trucco nella narrazione trionfale e fanno notare che Taiwan è circondata dall’acqua – anche il Nord America lo è – o che già aveva fatto esperienza della epidemia di SARS nel 2003 – così come la Cina. Altri si chiedono se non siano stati fatti troppo pochi test per il virus. Effettivamente si può osservare che, stando ai dati del 28 aprile, l’Italia ha somministrato 1.846.934 tamponi, mentre Taiwan solamente 62.368. Se prendiamo in considerazione la popolazione dei due paesi, in proporzione l’Italia ha testato 11 volte la popolazione testata da Taiwan, 30,5 tamponi per mille persone contro 2,6. Se però guardiamo al numero di casi positivi, scopriamo che Taiwan ha eseguito 145 mila test per mille casi, 15 volte il rapporto dell’Italia, che per ogni caso risultato positivo ha fatto solamente 9 mila tamponi.
Uno schema interpretativo sembra aver avuto particolare successo nel nostro paese, racconta di un presunto metodo della Cina e di quello degli altri paesi asiatici, riducendo il primo al lockdown e il secondo alla sorveglianza elettronica. Eppure, è risaputo che in quanto a pervasività e sofisticazione tecnologica, il sistema di sorveglianza della Cina è difficile da eguagliare, indipendentemente dallo stato di emergenza. Resta da chiarire quale ruolo abbia giocato questa pratica nel “metodo Taiwan”, vale a dire che importanza abbia avuto rispetto alle altre misure. Molti sembrano considerare come più efficaci quelle più appariscenti dal punto di vista comunicativo, ma non è stato provato che, a livello nazionale e internazionale, un sistema di trasmissione delle conoscenze disponibili rapido, efficace e partecipativo – oltre, nel migliore dei casi, a un alto grado di preparazione -, non possa contare in misura uguale, se non maggiore, della sorveglianza dall’alto degli individui.
Ogni paese, come ovvio, ha le sue peculiarità, nessun paese è immune dalla tentazione di abusare del potere generato dallo stato di emergenza, e nessun modello è esattamente replicabile in un altro luogo nella sua interezza, ma anche quando si adottano soltanto alcuni elementi, questi inevitabilmente portano con sé tratti importanti dell’ispirazione generale del sistema. È indubbio che i due paesi presi in considerazione in questo resoconto differiscono profondamente nella forma di governo – uno un regime autoritario e l’altra una democrazia rappresentativa -, nell’approccio utilizzato nell’affrontare l’epidemia di SARS-CoV-2 e nei risultati ottenuti.
La gran parte parte delle informazioni qui riportate sono di dominio pubblico da mesi ormai, quelle essenziali sono comparse sui maggiori giornali internazionali, l’uso che ne è stato fatto, l’interpretazione che ne abbiamo dato e i nessi di causa-effetto che abbiamo immaginato, dicono molto di come siamo e della forma che diamo al mondo.
Note:
1 https://www.caixinglobal.com/2020-02-03/in-depth-how-wuhan-lost-the-fight-to-contain-thecoronavirus-
101510749.html How Wuhan lost the fight to contain the coronavirus, Caixin,
03.02.2020
2 ttps://web.archive.org/web/20200226154223/http://china.caixin.com/2020-02-26/101520972.html
独家|新冠病毒基因测序溯源:警报是何时拉响的, Caixin, 26.02.2020
3 https://www.caixinglobal.com/2020-02-29/in-depth-how-early-signs-of-a-sars-like-virus-werespotted-
spread-and-throttled-101521745.html How early coronavirus signs were spotted and
throttled, Caixin, 29.02.2020
4 https://journals.lww.com/cmj/Abstract/publishahead/
Identification_of_a_novel_coronavirus_causing.99423.aspx Identification of a novel coronavirus
causing severe pneumonia in human: a descriptive study, Chinese Medical Journal, 11.02.2020
5 https://www.theguardian.com/world/2020/mar/11/coronavirus-wuhan-doctor-ai-fen-speaks-outagainst-
authorities Wuhan doctor speaks out against authorities, The Guardian, 11.03.2020
6 https://www.caixinglobal.com/2020-03-11/wuhan-doctors-say-colleagues-died-in-vain-amid-officialcoverup-
101526650.html Wuhan Doctors Say Colleagues Died in Vain Amid Hospital Official Cover-
Up, Caixin, 11.03.2020
7 http://www.asianews.it/news-en/Ai-Fen,-the-doctor-who-reported-the-epidemic,-is-missing-
49741.html Ai Fen, the doctor who reported the epidemic, is missing, AsiaNews, 03.04.2020
8 https://www.caixinglobal.com/2020-03-07/in-depth-how-shanghai-handled-the-coronavirus-betterthan-
most-of-china-101525054.html How Shanghai Handled the Coronavirus Better Than Most of
China, Caixin, 07.03.2020
9 https://www.who.int/csr/don/05-january-2020-pneumonia-of-unkown-cause-china/en/ Pneumonia of
unknown cause – China, World Health Organization, 05.01.2020
10 https://web.archive.org/web/20200128152930/http://weekly.chinacdc.cn/en/article/id/e3c63ca9-dedb-
4fb6-9c1c-d057adb77b57/ An Outbreak of NCIP (2019-nCoV) Infection in China — Wuhan, Hubei
Province, 2019−2020, China Center for Disease Control
11 https://www.scmp.com/news/china/society/article/3052966/chinese-laboratory-first-sharedcoronavirus-
genome-world-ordered Chinese laboratory that first shared coronavirus genome with
world ordered to close for ‘rectification’, hindering its Covid-19 research, South China Morning Post,
28.02.2020
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