La nuova ministra: ministeri e misteri
Che dire? Maria Chiara Carrozza, classe 1965, è il ministro dell’Istruzione appena nominata da Enrico Letta. Tutti e due pisani e pressoché coetanei, conseguono il perfezionamento negli anni Novanta: al Sant’Anna di Pisa lei, in Ingegneria, in Diritto delle comunità europee lui. Se si aggiunge che il ministro dell’Economia è Fabrizio Saccomanni sembra un governo dell’Ulivo quindici anni dopo – Prodi con Luigi Berlinguer e Ciampi, o con Giuseppe Fioroni e Padoa Schioppa: riforme da fare, “anno ponte” da imbastire, un po’ di razionalizzazione nella pubblica amministrazione e nelle università.
C’è un però: il governo è di larghe intese, il vice premier è Angiolino Alfano, nel governo ci sono Lupi e Quagliarello, il presidente della commissione giustizia del senato è Nitto Palma e di quella dell’agricoltura è Roberto Formigoni. Non c’è neppure più il velo del governo tecnico, l’impostazione è tutta politica e gli incarichi di governo sono stati ripartiti con il manuale del democristiano Massimiliano Cencelli.
Pier Luigi Bersani nel 2009 è andato incontrare Maria Chiara Carrozza, che subito dopo è diventata presidente del forum “Università, saperi e ricerca” del Partito Democratico: quando si è trattato di scegliere una capolista spendibile per la camera dei deputati in Toscana, nel listino Bersani è stato chiesto alla rettrice del Sant’Anna di Pisa. Carrozza è stata infatti Rettrice dal 2007 al 2013, e ha coordinato diversi progetti finanziati dalla Commissione Europea, dal Miur e dalla Regione Toscana, nel settore della Neuro-Robotica (è famosa per la mano artificiale, e in diverse occasioni, in televisione e in radio, ha illustrato le novità sulle applicazioni di protesi).
Della Scuola di Studi Universitari e di perfezionamento Sant’Anna, Giuliano Amato è presidente dal 2012. Ma il dottor sottile è di casa a Pisa, visto che è anche presidente onorario dell’Associazione degli ex allievi (ancora del Sant’Anna), la cui segreteria è affidata ad Anna Banchi, la mamma di Enrico Letta. L’ambiente di provenienza del ministro le concede la possibilità di essere ascoltata e di avere voce in capitolo al momento delle scelte, ma quali saranno le idee, delle molte squadernate in campagna elettorale, che potrà portare avanti in un governo così composto? Quali saranno i prezzi politici da pagare su scala generale?
Auspici, ipotesi sono possibili, ma ciò che la Carrozza ha dichiarato fino ad oggi – in campagna elettorale e dopo il 25 febbraio – non può essere ricevibile da questo governo: le dichiarazioni erano frutto di un progetto di governo, quello di Bersani e dunque di un centro-sinistra, che non è stato. Proposte che hanno perso. Bersani è andato a cercare Maria Chiara Carrozza nel 2009, e a convincerla nel 2012: l’ha messa nel listino di coloro che non potevano correre il rischio di non entrare, è stata la capolista in Toscana per il parlamento. Tuttavia non possiamo dire cosa farà; la natura stessa di questo governo impedisce di fare ipotesi serie.
Letta e Carrozza, nel frattempo, si dichiarano soddisfatti per l’approvazione in commissione Bilancio della Camera dell’emendamento al decreto legge sui debiti della Pubblica amministrazione, che prevede l’esclusione di scuola e università dai tagli previsti per la copertura di parte del decreto, e il Presidente del Consiglio ha dichiarato in televisione da Fazio “mi dimetto se dobbiamo fare dei tagli alla cultura, alla ricerca e all’università”.
Ma quanto reggeranno le buone intenzioni? A che prezzo si potrà procedere a un’organizzazione della scuola che non sia il risultato di una gracile alleanza di interesse? Il Pd si è preso la Scuola e il Pdl il ministero della Salute con Beatrice Lorenzin: quando si tratterà di decidere, quando saremo al braccio di ferro, cosa sarà necessario barattare sul tavolo del welfare? Le proposte per la scuola del Pd e della coalizione che fu Italia bene comune sono note: priorità dell’edilizia scolastica, investimenti nel reclutamento degli insegnanti, lotta alla dispersione, organico funzionale, aumento degli stipendi, valutazione e ricerca intesi come strumento di confronto e non di competizione, e infine apertura delle scuole nel pomeriggio soprattutto nelle zone periferiche del paese.
Maria Chiara Carrozza, in tempi non sospetti, e non adesso dato che sarebbe il momento meno opportuno per distinguersi, cosa ipotizzava per l’istruzione e l’università? In un’intervista a Italianieuropei nel 2010 ha affermato che sarebbe necessario dare la priorità all’innovazione e a una maggiore fluidità nella dinamica industria – ricerca, che il ricercatore debba essere anche imprenditore (e che questo rapporto non debba essere vissuto come un inciampo), che, nel dialogo tra università e lavoro, start up e spin off siano i progetti da incentivare, e che non si possa ipotizzare una ricerca non fortemente integrata nella filiera Stato, Regione, Europa.
Lanciava inoltre tre proposte: condurre un’analisi dello stato della ricerca e della tecnologia in Italia, creare un’agenzia unica per la ricerca e l’innovazione, e di creare dei comitati misti (impresa, ricerca, politica) per effettuare le roadmaps della società “tecnologica” italiana del futuro. Maria Chiara Carrozza è una tecnica prestata agli apparati amministrativi, ma in un governo inclinato a sinistra ci sarebbe stata? Ciò che manca – a destra e a sinistra (sic!) – è un pensiero politico sulla pedagogia.
Le elezioni ci hanno consegnato un paese diviso tetrapartito: Pdl, Grillo, Pd e astensionismo; il governo, invece, è bipolare, politicamente, ma salta agli occhi anche tutta la sua dannosa schizofrenia.