La guerra che verrà

Dall’autunno le piazze dell’Iraq sono piene di giovani che protestano. Come hanno protestato in Iran, Libano ed Algeria. In Iraq i giovani sono parte maggioritaria della popolazione. I cosiddetti millennial sono più di 6 milioni. E hanno riempito le piazze chiedendo di superare l’ordine creato da Iran e Usa dopo la fine del regime di Saddam nel 2003. La risposta è stata violentissima. Centinaia i morti e molti arresti e sparizioni per mano di milizie filo governative. Attivisti perseguitati e costretti alla fuga. Ma i giovani sono rimasti lì nelle piazze chiedendo di superare il regime confessionale, di avere meno corruzione e giustizia sociale. Le loro proteste hanno portato ad una crisi istituzionale che ha fatto dimettere il premier in carica.
Da lì si è aperto un baratro. Sia l’Iran sia gli Stati Uniti cercano di egemonizzare il discorso politico iracheno. L’Iraq che è tornato a essere uno dei principali esportatori al mondo di petrolio e che fornisce il 20% del fabbisogno all’Italia. Non un luogo lontano dunque, ma un paese da cui proviene un quinto della nostra energia.
Sia l’Iran sia gli Stati Uniti cercano di egemonizzare il discorso politico iracheno. L’Iraq che è tornato a essere uno dei principali esportatori al mondo di petrolio e che fornisce il 20% del fabbisogno all’Italia.
La fragile collaborazione tra americani e iraniani contro l’Isis è velocemente terminata con l’attacco a una milizia filo-iraniana da parte statunitense e un altro attacco contro militari occidentali. Poi gli iraniani hanno organizzato le proteste di fronte all’Ambasciata americana di Baghdad e infine c’è stato l’omicidio in stile terroristico del generale Soleimani. Anche nella vicina Siria gli attacchi a basi iraniane da parte israeliana e americana sono stati frequenti. Una lunga serie di episodi culminati con l’attentato al generale iraniano. Quest’episodio ha rinvigorito la cultura del martirio sciita e dato il via agli attacchi missilistici in Iraq della notte tra il 7 e l’8 gennaio. Una escalation vera e propria, che non si fermerà qui.
Continuerà, perché Trump non ha nulla da perdere con una guerra, sempre gradita all’apparato bellico Usa e sempre utile a sviare l’attenzione dall’impeachment e dai problemi interni. Utile anche per lanciare un messaggio molto chiaro al mondo. “Anche se siamo meno attivi e meno intrisi di retorica sovranista siamo sempre noi americani a comandare, e possiamo schiacciare chi vogliamo in qualsiasi momento. Nemici, opere d’arte, civili innocenti. E fermare la politica espansiva dell’Iran ma anche della Russia. alleato militare in molti scenari come quello siriano, e soprattutto della Cina, che sta facendo notevoli investimenti in Medio Oriente. Tra cui ipotecarsi il petrolio siriano in cambio di lauti finanziamenti alla ricostruzione. Gli Stati Uniti hanno messo da parte la retorica dei trattati, delle convenzioni internazionali e della mai digerita Onu per ribadire manu militari chi comanda e agisce. Ristabilendo il loro ordine mondiale, che non è fatto di democrazia ma di dominio. E garantendo allo stesso tempo anche Israele, che rimane l’avamposto americano più a rischio in tutto il Medio Oriente. Non che l’ordine messo su dagli altri sia simbolo di alcun miglioramento per le persone. Il generale Soleimani era un temuto capo delle operazioni all’estero iraniane e in questa veste ha guidato battaglie efferate. I kurdi lo odiavano perché è stato protagonista di stragi e repressioni in Iran della loro gente. Non era uno stinco di santo ma un generale delle forze speciali di quelli a cui piace l’odore del napalm.
Trump non ha nulla da perdere con una guerra, sempre gradita all’apparato bellico Usa e sempre utile a sviare l’attenzione dall’impeachment e dai problemi interni
Ed è questo odore di morte che i ragazzi scesi in piazza a Baghdad rifiutano, come quelli scesi in piazza a Beirut. Sono giovani che non capiscono più la retorica delle guerre, che la trovano stridente con le serie che vedono in tv o con il discorso moderato di cui si nutrono molti social. Giovani che vorrebbero studiare e viaggiare. E che invece sono in gabbia. E che non riescono a uscirne in alcun modo. Ogni volta che cercano luce, ecco che i giganti si mettono a combattere e li schiacciano. Resta loro solo la fuga verso l’Europa o gli stessi Stati Uniti, che essi percepiscono comunque come luogo di maggiori opportunità. O la radicalizzazione, l’accettazione dello status quo spostandosi dalla parte dei persecutori dell’una o dell’altra parte.
La guerra che verrà, come tutte le altre, schiaccerà le loro speranze. Come sempre è un problema che ci riguarda molto da vicino. Non è una serie di Netflix da guardare distrattamente, ma sono milioni di giovani a cui si sta togliendo il futuro e che sono a poche ora di viaggio da casa nostra. E verranno a chiedere conto dell’assenza dell’Europa, del perché abbiamo assistito silenti e di quanto costa la nostra Pace, alimentata con il loro petrolio e loro esistenze.