INFANZIA E SOVVERSIONE

Quando metti accanto “infanzia” e “sovversione” si produce un cortocircuito illuminante. Attendiamo il nuovo dall’infanzia, è vero, ma essa ci sembra debole, inerme, affidata. Può essere ai nostri occhi – come ci ha mostrato spesso il cinema e qualche volta la letteratura – malvagia, demoniaca, spaventosa o rivelatrice ma mai politica, mai così forte in sé. Eppure sappiamo che ci sono approcci e metodologie educative che trasformano chi le predispone prima ancora di chi le attraversa; azioni educative che riconoscendo pienamente la soggettività infantile fanno nascere prese di coscienza personali e collettive, indicano visioni e politiche per un cambio di rotta radicale. Sono esperienze di lavoro educativo che al posto di conformare e dirigere arrivano a lasciar divenire un possibile dell’infanzia attuale, politico, effettivo e non solo artistico o filosofico. Proiettiamo su bambini e bambine le nostre aspirazioni e i nostri desideri; rimandiamo al loro futuro la realizzazione di ciò che abbiamo già concepito e al loro presente il ritratto delle nostre convinzioni. Spesso la responsabilità educativa ci dà alla testa, crediamo più in noi stessi e nei nostri metodi che in ciò che potremmo vedere, ascoltare, creare, divenire con i bambini. Non è semplice perché bisogna lavorare più su di sé che sull’altro, più sull’ambiente e le imprese collettive in cui ci si incontra che sulla propria produzione, essere attenti e forti e allo stesso tempo correre e far correre dei rischi.
Il lavoro dell’educatore o della maestra non può essere sovversivo o ribelle in sé. Per istruire, potenziare, liberare, bisogna lavorare i limiti e le cornici in cui il possibile emerge, in cui le dimensioni del potere e della responsabilità si rivelano a chi è piccolo, senza smettere di curare e di guidare. Si può fare però in modo che l’infanzia mostri e rappresenti – non come oggetto ma come soggetto – ordini di significato radicali e trasformativi. Una storia fondamentale da conoscere e studiare è allora quella di Asja Lacis, rivoluzionaria e regista che nella Russia degli anni Venti realizzò con i besprizorniki (bambini di strada abbandonati) e con gli orfani internati negli istituti “un teatro proletario di bambini”. Anna Nutini ci racconta la sua visione artistica e pedagogica, fertile e illuminante.
Attualissima è per noi anche la lettura del libro di Elena Gianini Belotti Dalla parte delle bambine, di cui ricorre il cinquantenario. Un testo di pedagogia femminista la cui potenza deriva dalle tecniche di osservazione e di indagine delle relazioni educative con la primissima infanzia a cui l’autrice si era formata nelal scuola di Adele Costa Gnocchi, fondatrice del Centro Nascita Montessori di Roma che Belotti dirigerà poi per venti anni. Esperienza che le permise, nella lettura di Honegger e Lucchesini, di indicare l’implicazione fondamentale tra liberazione femminile e liberazione infantile, contro ogni autoritarismo repressivo.
Vedere l’infanzia, agire e parlare con l’infanzia è ciò che prova a fare Didi–Hubermann nella sua “piccola conferenza” per persone tra i dieci e i quindici anni sul tema: per che obbedire? Maria Nadotti ci dà notizia di questo tentativo di pensiero in amicizia e tra le generazioni che interroga gli sconfinamenti tra politica, propaganda e pubblicità.
Su come le possibilità di critica e pensiero indipendente siano sempre più limitate dal potere di saturazione culturale raggiunto dalla comunicazione di massa scrive Simone Lanza incrociando la lettura di Christopher Lasch con l’analisi di un libro di “pedagogia nera” che impudicamente teorizza i meccanismi formativi di app e altri prodotti digitali, disposti per indurre attitudini consumiste compulsive in individui sempre più giovani. Con la provocazione di “infanzia e sovversione” abbiamo voluto aprire un ricerca sul rapporto tra rigore e libertà nel lavoro educativo quando si voglia rischiare di crescere individui capaci di organizzarsi e di scegliere, pensare, disobbedire, cambiare. Si parla di questo nella porzione di dialogo tra Andrea Canevaro e lo psicanalista e neuropsichiatra Giancarlo Rigon che abbiamo scelto di riprendere da un libro di Emanuela Cocever (che lei stessa introduce per Gli asini in poche intense righe). In quell’occasione Canevaro commentava una nota “parabola” educativa del grande pedagogista polacco, “conservatore sovversivo”, Janusz Korczak.