Il mio appello al popolo di Israele: Liberatevi liberando la Palestina
Ripubblichiamo un pezzo pubblicato su Gli asini nel 2022, a riprova di una storia di lunga durata.
Per ricordare la figura di Desmond Tutu, scomparso il 26 dicembre scorso, pubblichiamo il suo appello al Popolo di Israele contro l’apartheid nei territori palestinesi occupati. Uscito nel 2014, sul quotidiano israeliano “Haaretz”, fu lanciato a sostegno del movimento non violento BDS (Boycott, Divestment, Sanctions) promosso dal Comitato Nazionale palestinese affinché Israele rispettasse gli obblighi derivanti dalle leggi internazionali. Tra i quali: il ritiro dai territori occupati, lo smantellamento della barriera di separazione della West Bank, la completa uguaglianza per i cittadini arabi palestinesi in Israele e il rispetto dei diritti dei rifugiati palestinesi. Il movimento era, non a caso, ispirato al modello anti-apartheid del Sud Africa. Benché il termine apartheid nei riguardi delle politiche israeliane sui palestinesi fosse stato già utilizzato da Jimmy Carter nel famoso bestseller del 2006, Palestine Peace not Apartheid, suscitando critiche e proteste, la lotta non violenta appoggiata da Desmond Tutu avrebbe fin da subito acquistato una risonanza mondiale grazie alla sua autorità morale non solo nella lotta contro il regime sud africano, a fianco di Nelson Mandela, ma per il ruolo che egli ebbe nell’istituzione della Commissione per la Riconciliazione e il Perdono che raccolse le esperienze e le memorie sia delle vittime sia degli aguzzini. Una vera e propria rivoluzione culturale e politica. La Commissione aveva imposto la verità senza rimozioni. Verità che, per Tutu sulla scia di Gandhi, vale per le vittime più della vendetta. Si trattava di una riparazione simbolica dove perdonare significava riallacciare i vissuti, riconciliarsi per dire: “mai più”. (Aurora Caredda)
Le scorse settimane hanno visto a una mobilitazione senza precedenti della società civile a livello mondiale contro l’ingiustizia della risposta sproporzionatamente brutale di Israele al lancio di missili dalla Palestina.
Se si mettono insieme tutte le persone che hanno manifestato, l’ultimo fine settimana, per chiedere giustizia in Israele e Palestina – a Città del Capo, a Washington D.C. a New York, New Delhi, Londra, Dublino e Sidney e in molte altre città – questa è stata verosimilmente la più grande e attiva levata di scudi di cittadini intorno a una singola causa, come mai nella storia del mondo.
Un quarto di secolo fa, ho partecipato ad alcune manifestazioni, molto sentite, contro l’apartheid. Mai avrei immaginato che avremmo visto ancora manifestazioni di tale portata, ma l’altro sabato, l’affluenza a Città del Capo era altrettanto grande, se non più grande. Tra i partecipanti, giovani e anziani, musulmani, cristiani, ebrei, induisti, buddisti, agnostici, atei, neri, bianchi, rossi e verdi… .come ci si aspetterebbe da una nazione vibrante, tollerante e multiculturale.
Ho chiesto alla folla di scandire con me: “Noi siamo contro l’ingiustizia della occupazione illegale della Palestina. Noi siamo contro le uccisioni indiscriminate a Gaza. Noi siamo contro le offese inflitte ai palestinesi ai check-point e ai blocchi stradali. Noi siamo contro la violenza perpetrata da tutte le parti. Ma noi non siamo contro gli ebrei”.
All’inizio della settimana, ho chiesto di sospendere Israele dall’Unione internazionale degli architetti che si riuniva in Sud Africa. Mi sono appellato alle sorelle e ai fratelli israeliani presenti alla conferenza perché si dissociassero attivamente, loro e la loro associazione professionale, dalla progettazione e costruzione di infrastrutture collegate alla perpetuazione dell’ingiustizia, come la barriera di separazione, le stazioni di sicurezza e check-point, e gli insediamenti costruiti sulla terra occupata della Palestina.
Ho detto loro: “Vi imploro di riportare questo messaggio in patria: per favore invertite l’ondata di violenza e odio unendovi al Movimento non violento che chiede giustizia per tutti i popoli della regione “.
Nelle ultime settimane, più di 1.600.000 persone nel mondo hanno aderito al movimento non violento che fa capo a una campagna AVAAZ chiedendo alle società che traggono profitti dall’occupazione israeliana e/o sono implicate nelle violenze e nella repressione dei palestinesi di ritirarsi. La campagna aveva come obiettivi specifici il fondo pensionistico olandese ABP; Barclays Bank; l’azienda fornitrice di sistemi di sicurezza G4S; la compagnia di trasporti francese Veolia; la società Hewlett Packard e il produttore di bulldozer Caterpillar.
Il mese scorso 17 governi UE hanno sollecitato i loro cittadini a evitare di avere relazioni commerciali e investimenti negli insediamenti israeliani illegali.
Recentemente siamo stati testimoni del ritiro di decine di milioni di euro dalle banche israeliane da parte dei Fondi pensione olandesi, PGGM; il disinvestimento dalla società G4S della Fondazione Melinda Gates; la Chiesa presbiteriana americana ha disinvestito una quota stimata in 21 milioni di dollari da HP, da Motorola Solutions e da Caterpillar. Si tratta di un movimento che sta crescendo.
La violenza genera violenza e odio che, a loro volta, generano ancor più violenza e odio.
Noi sudafricani conosciamo la violenza e l’odio. Comprendiamo il tormento derivante dall’essere i reietti del mondo; quando sembra che nessuno capisca o sia disponibile a sentire il nostro punto di vista. È da lì che veniamo.
Noi conosciamo anche i benefici che il dialogo tra i nostri leader ci ha infine portato; quando fu tolto il bando dalle organizzazioni chiamate “terroriste” e i loro leader, incluso Nelson Mandela, vennero liberati dalla prigione, dalla messa al bando e dall’esilio.
Noi sappiamo che quando i nostri leader iniziarono a parlarsi, il fondamento logico della violenza, che aveva distrutto la nostra società, si dissolse e scomparve. Ci furono all’inizio atti di terrorismo perpetrati dopo il negoziato – come attacchi a una chiesa o a un pub – ma vennero quasi universalmente condannati e il partito ritenuto responsabile venne bocciato alle urne.
L’euforia che seguì alla nostra partecipazione per la prima volta al voto non fu appannaggio soltanto dei neri sudafricani. Il vero trionfo del nostro pacifico accordo fu che tutti ci sentimmo inclusi.
E più tardi, quando promulgammo una Costituzione così compassionevole e inclusiva che Dio ne sarebbe potuto essere orgoglioso, noi tutti ci sentimmo liberati.
Naturalmente, aiutò molto avere una squadra di leader straordinari.
Ma ciò che, alla fine, costrinse questi leader a sedersi attorno a un tavolo negoziale, fu la miscela di strumenti non violenti e convincenti, che erano stati ideati per isolare il Sud Africa economicamente, accademicamente, culturalmente e psicologicamente.
Ad un dato momento, il punto critico che convinse il governo di allora fu che i costi derivanti dal tentativo di preservare l’apartheid sopravanzavano i vantaggi. Il ritiro delle relazioni commerciali delle società multinazionali, con una coscienza, con il Sud Africa, negli anni 80, fu essenzialmente una delle leve chiave che mise lo Stato dell’apartheid in ginocchio senza spargimento di sangue.
Queste società capirono che contribuendo all’economia del Sud Africa, contribuivano alla conservazione di un ingiusto status quo.
Coloro che continuano a fare affari con Israele, che contribuiscono a dare un senso di “normalità” alla società israeliana, rendono un cattivo servizio ai popoli di Israele e della Palestina. Contribuiscono alla perpetuazione di uno status quo profondamente iniquo.
Quelli che contribuiscono a un temporaneo isolamento di Israele stanno dicendo che israeliani e palestinesi hanno entrambi diritto alla dignità e alla pace.
In definitiva, gli eventi di Gaza degli ultimi mesi saranno il banco di prova per chi crede nel valore degli esseri umani.
Sta diventando sempre più chiaro che politici e diplomatici sono incapaci di trovare risposte e che la responsabilità di negoziare una soluzione durevole alla crisi in Terra Santa spetta alla società civile e allo stesso popolo di Israele e Palestina.
Oltre che dalla devastazione di Gaza, le persone per bene nel mondo, inclusi molti israeliani, sono state profondamente turbate dalle violazioni quotidiane della dignità umana e della libertà di movimento a cui i palestinesi sono soggetti ai check-point e ai blocchi stradali. E le politiche israeliane di occupazione illegale e la costruzione di una zona cuscinetto di insediamenti su terre occupate aggravano le difficoltà di ottenere in futuro un accordo che sia accettabile per tutti.
Lo Stato di Israele si sta comportando come se non ci fosse un domani. Il suo popolo non vivrà vita pacifica e sicura che desidera – e a cui ha diritto. Perché i suoi leader perpetuano le condizioni che sostengono il conflitto.
Ho condannato quelli che in Palestina sono responsabili del lancio di missili e razzi su Israele. Stanno gettando benzina sulle fiamme dell’odio. Mi oppongo a tutte le manifestazioni di violenza. Ma dobbiamo essere molto chiari su un punto: il popolo palestinese ha diritto di lottare per la sua libertà e dignità. È una lotta che ha il sostegno di molti in tutto il mondo.
Non esistono problemi creati dall’uomo che non siano affrontabili quando gli esseri umani mettono insieme le loro intelligenze con il desiderio sincero di superarli. La pace richiede che i popoli di Israele e di Palestina riconoscano l’essere umano in loro stessi e nell’altro per capire la loro interdipendenza.
Missili, bombe e rozze invettive non sono parte della soluzione. Non esiste una soluzione militare. La soluzione è più facile che arrivi dalla scatola degli attrezzi non violenti che abbiamo sviluppato in Sud Africa negli anni Ottanta, che persuada il governo della necessità di cambiare le sue politiche. La ragione di questi strumenti – boicottaggio, sanzioni e disinvestimenti – che si sono rivelati di comprovata efficacia, era che essi avevano il supporto di una massa critica, sia interna che esterna al Paese.
Il tipo di supporto di cui siamo stati testimoni intorno al mondo, nelle settimane recenti, nei confronti della Palestina.
Il mio appello al popolo di Israele è di guardare al di là del momento. Vedere oltre la rabbia e al sentirsi perpetuamente sotto assedio, vedere un mondo nel quale Israele e Palestina possano coesistere, un mondo dove regnino dignità e rispetto. Ciò richiede il rovesciamento di un atteggiamento mentale. Un atteggiamento mentale che riconosca che il tentativo di perpetuare lo status quo equivale a condannare le future generazioni alla violenza e all’ insicurezza. Un atteggiamento mentale che metta fine, per quanto concerne le critiche legittime alla politica statale, a quell’atteggiamento che le considera come un attacco al giudaismo. Un cambiamento di atteggiamento mentale che inizia in casa e matura nelle comunità, nazioni, regioni, fino alla Diaspora sparsa per il mondo che condividiamo. L’unico mondo che condividiamo. I popoli uniti dal perseguimento di una giusta causa sono invincibili. Dio non interferisce negli affari del popolo, spera che cresceremo imparando a risolvere le nostre difficoltà e differenze da soli. Ma Dio non dorme. Le scritture ebraiche ci dicono che Dio ha propensione per il debole e lo spossessato, la vedova, l’orfano, l’alieno che libera gli schiavi in un esodo verso la Terra Promessa. Fu il profeta Amos che disse che dovremmo lasciare fluire la rettitudine come un fiume.
Il bene alla fine prevale. Il perseguimento della libertà per il popolo di Palestina dalle umiliazioni e persecuzioni delle politiche di Israele è una giusta causa. È una causa che il popolo di Israele dovrebbe sostenere.
È noto che Nelson Mandela affermava che non si sarebbe sentito libero finché la Palestina non fosse stata libera. Egli avrebbe potuto aggiungere che la liberazione della Palestina avrebbe liberato anche Israele.
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