Il Mezzogiorno secondo De Rita
Giuseppe De Rita ha raccolto i suoi principali scritti sul Mezzogiorno d’Italia in un’antologia uscita qualche mese fa che risulta di estremo interesso sotto molteplici direttrici (Il lungo Mezzogiorno, pp. 213, Laterza 2020). Gli scritti sono organizzati seguendo un asse cronologico che parte dal 1966 fornendo al lettore, nella dimensione di un utile e oggi sempre meno praticato lungo periodo, gli strumenti per cogliere la crisi del meridionalismo tradizionale, le conseguenze della forbice sviluppo/sottosviluppo tra le due parti del paese e tra il nostro sud e l’Europa, le più contemporanee e sfuggenti declinazioni della stessa questione meridionale. I testi permettono di ripercorre le intuizioni e le analisi sociologiche di De Rita circa modalità e possibilità di intervento nel panorama meridionale che era ed è (o dovrebbe ancor essere, ma non è così!) uno dei principali banchi di prova di ogni governo; infatti ben avvertiva nel 2002: “è un problema dimenticato, è un problema da cui si distoglie lo sguardo, perché richiederebbe una svolta culturale e politica che nessuno oggi vuole o può fare”. De Rita interroga quindi la società meridionale, cogliendo le sue peculiarità, trasformazioni, punti di forza e debolezza. Queste pagine sollecitano numerose riflessioni in un momento in cui avanzano anguste e pericolose prospettive politiche sovraniste ostili all’Europa le quali largo seguito hanno anche nel Mezzogiorno – i dati di tutte le ultime tornate elettorali segnano l’irresistibile ascesa dei sovranisti ben al di sotto del Tronto –, posizioni che spesso si saldano a letture sballate della storia italiana anche più recente (si pensi alle improvvisate riletture neoborboniche della storia del Mezzogiorno che pure hanno tanto seguito in certa carta stampata e ambienti universitari).
La chiave di lettura complessiva è suggerita dall’Autore nell’Introduzione, giustamente intitolata I tre racconti, che si può prendere come pista per leggere le sue pagine, sia come orientamento nella lunga storia del meridionalismo dal dopoguerra in avanti. Tre momenti periodizzanti, infatti, si mettono in luce, in modalità chiara e rigorosa ma senza fronzoli accademici: la fase di azione nella “classica” questione meridionale ancor viva sino ai primissimi anni Cinquanta (nata sulla scia delle posizione di Sturzo, Salvemini e poco più avanti da quelle di Scotellaro e Levi); il secondo momento, più moderno e incisivo, centrato sulla cultura dello sviluppo che tramite la progettualità della Cassa per il Mezzogiorno e in particolare della Svimez – di cui De Rita è stato autorevole esponente – permette di far entrare il lavoro nel Sud in una corrente di pensiero internazionale (la nascita quindi dell’intervento straordinario con il ruolo chiave giocato da Saraceno e una lunga e operosa serie di iniziative e piani di intervento che De Rita simbolicamente chiude al 1969 con la morte di Giulio Pastore); il terzo momento, quando il Mezzogiorno perde gradualmente la leva dell’intervento straordinario e, conoscendo contrastanti esperienze di sviluppo e arretratezza, assume la configurazione di un sud “a macchia di leopardo” che vede un forte protagonismo in alcune realtà locali e di degrado e isolamento per altre. Di particolare interesse il raccordo con la narrazione della stagione dei Patti Territoriali (1993-1997): De Rita, ricordando la collaborazione con Aldo Bonomi, ripropone quel “lavoro di promozione culturale, di mediazione politica, di crescita collettiva, di ambiziosa voglia di propulsione economica”, inducendo a riflettere su una modalità di progettazione e di azione che ha prodotto certamente dei frutti e che andrebbe ancor oggi ripresa con quel vigore e quelle ampie prospettive.
Si prenda a titolo esemplificativo l’articolo L’Italia fra Europa e Mediterraneo (del 1997) che parla ancora al presente: De Rita, infatti, inquadra due problemi sui quali la classe dirigente attuale, particolar modo quella meridionale, non sempre dimostra di aver preso consapevolezza né di saper attivare misure progettuali in grado di governare le problematiche. Il primo: la realizzazione di progetti di sviluppo, anche micro e dal basso, e non solo la ripetizione di elettoralistici sogni faraonici, per diminuire la forbice ancor crescente tra le due parti del paese; il secondo: il necessario aggancio per lo sviluppo del sud allo scenario mediterraneo, al contrario di quanto abbiamo vissuto in questi anni, perché per De Rita “non far crescere l’incrinatura fra noi e questi paesi è un compito minimale, raggiungibile con strumenti anche banali come piccoli investimenti, progetti agricoli, l’accettazione di pendolari e di stagionali. Dobbiamo avere il senso del rapporto integrante con il Mediterraneo, anche se non c’è da far subito qualcosa, anche se non ci sono tantissimi soldi da spendere, anche se non ci sono progetti”. Alla luce dei risvolti attuali della questione meridionale, del rinnovato interesse verso i Suddel bacino del Mediterraneo soprattutto a seguito dei recenti fatti nordafricani (sono stati mai analizzati da una prospettiva italiana o meglio ancora meridionale?) e per lo scenario aperto dalla crisi economica globale e pandemica, le pagine di questo volume offrono stimolanti punti critici e acute analisi.
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