I 5 stelle non sono più quello che non sono mai stati

L’avevano salutato ormai più di dieci anni fa come una novità e una speranza. Quando il Movimento 5 stelle si era affacciato sulla scena politica italiana, erano stati in molti, tra commentatori, politici e cittadini, a riporre in esso le loro aspettative di cambiamento di un sistema politico in forte crisi di legittimità. Facendo leva sull’avversione alla forma partito che caratterizzava il sistema politico almeno dai fatti di Tangentopoli, ma che ha radici storiche rintracciabili fin dal secondo dopoguerra (per esempio, il movimento dell’Uomo qualunque di Giannini), con un’attenta operazione di marketing il nuovo soggetto politico sceglieva di chiamarsi “Movimento” (d’altronde ormai c’è solo un partito in Italia, almeno tra i più votati, che porta coraggiosamente il sostantivo “partito” nel nome), accendendo dibattiti tra pubblici accademici e non sulla natura del suo statuto: movimento, partito, partito-movimento?
Certo, secondo le definizioni date dalla scienza politica, Movimento 5 stelle un partito lo è sempre stato, almeno da quando propose ai suoi aderenti di presentare nei comuni delle “liste civiche a cinque stelle”. Sartori insegna: un partito è un qualsiasi gruppo politico identificato da un’etichetta ufficiale che si presenta alle elezioni, ed è capace di collocare candidati alle cariche pubbliche. Ma è indubbio che alcune caratteristiche della nuova formazione politica sfidassero le idee consolidate sui partiti. Coerentemente con quanto promesso dal suo nome, nei primi anni della sua esistenza il M5s aveva in effetti provato (e per certi versi era riuscito) a scardinare la forma partito tradizionale. Era nato un soggetto politico nuovo, dotato di una struttura pressoché inesistente (ma basata sull’azienda di uno dei fondatori), in cui era possibile compiere su internet tutte le operazioni più importanti – dall’iscrizione alla scelta dei candidati – e caratterizzato da una forte retorica della partecipazione diretta dei cittadini alla cosa pubblica.
Si erano concretizzate le utopie di un visionario, Gianroberto Casaleggio, che, unite alla immensa notorietà di un comico che dalla fine degli anni settanta calcava le scene della televisione italiana, e alle condizioni del contesto sociale e politico italiano di quegli anni, provocavano una tempesta perfetta o, per rimanere in tema di cataclismi e parafrasare il titolo di un testo uscito all’indomani delle elezioni del 2013, un “terremoto elettorale”. Dopo due anni di governo “tecnico”, sostenuto dalla destra e dalla sinistra, era difficile se non impossibile per i cittadini capire quale fosse l’alternativa, e un partito nuovo alla sua prima prova elettorale otteneva il 25% dei voti. Si trattava di un successo straordinario, il più alto nell’Europa occidentale per un nuovo schieramento in elezioni non fondative, un risultato più alto ancora di quello ottenuto da Forza Italia nel 1994. Centosessantuno sconosciuti entravano in parlamento con la promessa di aprirlo “come una scatoletta di tonno” e di portare i cittadini al potere contro quella che veniva definita “la casta”.
Il Movimento ha subìto nel corso del decennio passato molte e importanti trasformazioni: elettorali, organizzative, comunicative.
Se non che, chi accostasse il M5s di oggi a quello del 2009 o anche del 2013, faticherebbe a riconoscerlo. Il Movimento ha subìto nel corso del decennio passato molte e importanti trasformazioni: elettorali, organizzative, comunicative. La prima è l’ampliamento del bacino elettorale, che ha fatto sì che un partito che fino al 2012 era stato di nicchia, radicato solo nelle regioni del nord e nella cosiddetta “zona rossa”, oltre che nelle aree caratterizzate da conflitti e movimenti locali, di cui provava a farsi rappresentante, ottenesse alle ultime elezioni politiche il 32% dei voti validi. E se dal punto di vista della geografia elettorale la caratteristica del successo del M5s nel 2013 era stata l’omogeneità del risultato su tutto il territorio nazionale, lo straordinario risultato del 2018 è dato dalla grandissima affermazione nelle regioni del sud Italia, confermata anche alle europee del 2019, nonostante il calo di consensi. Il Movimento è quindi cresciuto elettoralmente, diventando un partito nazionale (anche se con baricentro spostato a sud), ampliando e trasformando necessariamente le sue rivendicazioni rispetto a quando si faceva alfiere dei movimenti di protesta di carattere ambientalista.
Dal punto di vista organizzativo, se in un primo momento il M5s era composto solo dal leader, dagli eletti e dagli iscritti registrati sulla piattaforma, nell’assenza di strutture intermedie di qualsiasi tipo, sostituite dalla rete, nel corso degli anni la struttura organizzativa del Movimento si è fatta più complessa. Già il nuovo statuto del 2017 gli attribuiva una forma quasi partitica, con organi intermedi e procedure codificate, ma l’esito degli Stati generali del 2020 rappresenta una vera e propria rivoluzione copernicana. Attraverso il suo primo congresso (fatto di per sé degno di nota) gli iscritti chiedono che sia il principio di collegialità a informare tutti i processi decisionali e gli organi di governo del Movimento. È loro richiesta, inoltre, un allargamento nel numero e nelle funzioni dei corpi intermedi, come per esempio le strutture territoriali. Ecco la strana traiettoria di un soggetto politico nato in opposizione alle strutture di partito che chiede più intermediazione.
Importanti cambiamenti si sono verificati anche dal punto di vista della comunicazione: mentre dalla fondazione al 2013 Grillo ne ha rappresentato l’unico volto noto – nonostante il Movimento inizialmente si opponesse a qualsiasi forma di personalizzazione – con l’andare del tempo i parlamentari hanno guadagnato crescente visibilità. La recente promessa di “rifondazione” del Movimento intorno alla figura di Giuseppe Conte da una parte rappresenta l’epitaffio sull’avversione alla personalizzazione del primo Movimento, dall’altra testimonia il fatto che essa non abbia mai smesso di essere un aspetto importante della strategia di questo soggetto.
Un momento cruciale, infine, è stato il superamento della soglia di governo a livello nazionale, avvenuto nel 2018. Il Movimento ha dovuto fare i conti con le difficoltà del governare e, come spesso accade ai partiti nuovi al governo, le proposte più radicali sono state ammorbidite e alcuni tabù infranti, tra cui il più importante è senza dubbio quello che riguarda le alleanze con altre forze politiche. Ma significativi cambi di posizione sono avvenuti anche riguardo ad alcuni investimenti infrastrutturali come il Tap, l’Ilva, il Tav, segnando un punto di non ritorno nel rapporto con i movimenti sociali che avevano sostenuto alle sue origini i 5 stelle.
È quindi avvenuta la trasformazione da movimento a partito? In realtà, come abbiamo detto, il Movimento 5 stelle non è più quello che non è mai stato. Non solo, ma, nonostante le dichiarazioni contrarie, esso ha da sempre mostrato una forte centralizzazione, mostrando uno iato tra quello che dichiarava, la sua autorappresentazione, la sua retorica, e la realtà delle pratiche politiche. È esemplare la contraddizione tra la pretesa di Grillo di essere a capo di un movimento in cui “non ci sono leader” e la posizione privilegiata da lui rivestita, sia per la sua notorietà, sia per le previsioni dello statuto, che ne facevano un capo assoluto, proprietario del simbolo (e adesso garante a tempo indeterminato).
Più di cento anni fa Robert Michels scriveva della legge ferrea dell’oligarchia, per cui i partiti, anche quelli nati su basi democratiche e ugualitarie, tendono a strutturarsi e a centralizzarsi.
Quanto alla partecipazione online degli iscritti tramite quella che è stata poi chiamata la Piattaforma Rousseau, essa si è sempre basata su un’enorme asimmetria di potere tra chi detiene le chiavi del sistema (Casaleggio padre e poi figlio) e gli iscritti stessi. Non solo questi ultimi non hanno alcun controllo sulle modalità attraverso cui la partecipazione online avviene (ad esempio, come si determina cosa viene messo al voto), ma secondo lo statuto la piattaforma è gestita da un’associazione esterna al Movimento (Associazione Rousseau) sulla quale né gli iscritti né i parlamentari hanno controllo. Da questo derivano le recenti querelle tra Davide Casaleggio e i parlamentari del Movimento, che porteranno a una divisione tra i due enti e, probabilmente, a un diverso modo di intendere la partecipazione nel M5s in futuro.
Se non possiamo parlare di una trasformazione da movimento a partito, possiamo allora dire che c’è stata una trasformazione da un partito di un certo tipo a un altro? Da una visione più orizzontale dell’organizzazione verso una di tipo gerarchico? In realtà, come abbiamo visto, per quanto riguarda le pratiche politiche l’orizzontalità di alcuni aspetti del Movimento (per esempio, la possibilità data agli iscritti di scegliere tutti i candidati online) è sempre stata mediata da forti spinte contrarie (farlo con regole decise dall’alto e attraverso un sistema centralizzato e plebiscitario come quello di Rousseau). Ma, più in generale, basta guardare alla storia per capire che quella accaduta al Movimento 5 stelle è una parabola tipica di tutte le organizzazioni di partito. Più di cento anni fa Robert Michels scriveva della legge ferrea dell’oligarchia, per cui i partiti, anche quelli nati su basi democratiche e ugualitarie, tendono a strutturarsi e a centralizzarsi. Chi dice organizzazione dice oligarchia, aveva avvertito. E l’organizzazione è inevitabile, quando ci si trova a gestire nuove funzioni, quando si passano determinate soglie, come la rappresentanza parlamentare o l’entrata al governo.
E quindi, se tutto era già scritto, questa storia non è servita a niente?
È possibile affermare il contrario. Da una parte il Movimento 5 stelle è servito a rendere palesi alcune disfunzioni e contraddizioni del sistema politico italiano (l’insofferenza dei cittadini per la chiusura della politica nel palazzo e il loro bisogno di partecipare direttamente al processo politico, che hanno trovato nel M5s una qualche espressione). Dall’altra l’esperienza è ancora più utile in quanto ha evidenziato le contraddizioni di chi voleva mettere a nudo le contraddizioni altrui. Dimostrando quanto sia necessario fare attenzione allo scarto tra parole e fatti.
Questo articolo è disponibile gratuitamente grazie al sostegno dei nostri abbonati e delle nostre abbonate. Per sostenere il nostro progetto editoriale e renderlo ancora più grande, abbonati agli Asini.