I 4 moschettieri, 80 anni dopo
A volte si incontrano momenti intensi nella storia dello spettacolo di un paese nei quali film, libri, lavori teatrali assumono un valore speciale, trovandosi all’incrocio di cambiamenti epocali, punti di svolta definitivi. Le opere in questione diventano così sorgenti di dibattiti, riflessioni, derivazioni; il “fenomeno” che esse creano travalica di gran lunga le intenzioni iniziali, assumendo significati nuovi, implicazioni inedite, effetti spropositati.
La rivista radiofonica I 4 moschettieri realizzata da Angelo Nizza e Riccardo Morbelli – due piemontesi non ancora trentenni – si configura come caso esemplare di cosa poté provocare un prodotto spettacolare alle origini della cultura di massa. La trasmissione andò in onda dal 1934 al 1938 suscitando una vera e propria moschettierimania, che non manca di essere ricordata ancora oggi in occasione di anniversari e di revival, ma rimane in fin dei conti poco studiata. Tornare a quegli anni e a quella trasmissione è perciò calarsi nella Storia del nostro paese, in particolare vuol dire osservare uno dei primi esempi del passaggio cruciale da cultura popolare a cultura di massa, ai tempi della letterale “esplosione” del mezzo radiofonico.
Negli stessi anni il giovane Orson Welles ordisce uno scherzo radiofonico “diabolico” con la messa in onda di La guerra dei mondi. Facendo leva sull’effetto di realtà suscitato dalla radio – una trasmissione viene interrotta per un annuncio straordinario – e sull’ancestrale paura del diverso, del nemico invasore, venuto da lontano (addirittura i marziani), il radiodramma provoca un terrore incredibile tra gli ascoltatori, tanto che in molti scendono per strada, si rifugiano nelle chiese, con tafferugli, scontri, addirittura dei morti, almeno secondo le cronache ormai leggendarie di quegli anni. In Italia la forza ipnotica della radio esplode invece con un programma di intrattenimento, collegato a un concorso a premi: non la paura dunque, ma l’umorismo, le canzoni, il fascino del gioco, la speranza per il premio e soprattutto la forza, e la voglia, dell’illusione sono gli ingredienti principali di una trasmissione che si rivelò anche una enorme e collettiva valvola di sfogo.
Quando lavoravo alla realizzazione del progetto “Radio e infanzia” per il Festival di Santarcangelo – un progetto che voleva riproporre e produrre esperienze che avevano visto la radio impegnata a confrontarsi con il mondo dei bambini in termini sia precipuamente educativi (Janus Korczak, Walter Benjamin…), sia più largamente spettacolari (fiabe, giochi, miniature sonore…) – ho chiesto alla compagnia pisana I Sacchi di Sabbia di ispirarsi liberamente a I 4 moschettieri di Nizza e Morbelli per realizzare una nuova opera radiofonica. La scelta di coinvolgere I Sacchi di Sabbia è stata del tutto naturale, dal momento che la compagnia lavora molto alla rielaborazione di un immaginario primo novecentesco, coniugando residui della cultura popolare, a riferimenti cinematografici soprattutto degli anni venti e trenta (con estensioni però anche alla commedia all’italiana). Nei loro spettacoli sono rispuntati i romanzi d’avventura di Salgari, espedienti del teatro di rivista, Totò e il teatro dialettale… filtrati sempre dallo sguardo contemporaneo, che a volte raffredda, a volte commuove, ma soprattutto permette di far riaffiorare antiche sopravvivenze, circoscrivendole nel vuoto, nelle incertezze, e anche nelle permanenze, del nostro presente.
Dopo l’esperienza radiofonica ho commissionato sempre a I Sacchi di Sabbia – per conto dell’Associazione Teatrale Pistoiese – la produzione di due spettacoli, entrambi ispirati alla trasmissione di Nizza e Morbelli: il primo rivolto ai bambini (I quattro moschettieri in America ha debuttato a Pistoia lo scorso settembre, all’interno della terza edizione di “Infanzia e città”, dedicata all’avventura), il secondo per adulti (debutterà la prossima stagione). Il punto di partenza è sempre I 4 moschettieri di Nizza e Morbelli, la prima “rivista radiofonica”, cioè la prima trasmissione che recuperò l’allora viva tradizione del teatro di rivista, traducendola in linguaggio sonoro. Andò in onda dieci anni dopo l’inizio ufficiale delle trasmissioni in Italia e si avvaleva di un ricco repertorio di canzoni e canzonette dell’epoca, delle quali venivano riscritti buona parte dei testi, adattandoli alle storie raccontate o a fatti di cronaca e di attualità, ricercando sempre effetti umoristici e ironici, tramite giochi di parole, associazioni strampalate, paradossi e parodie. Oltre a essere il primo vero grande successo della radio italiana I 4 moschettieri può vantare molti primati, a partire dalla sua natura seriale: sostanzialmente la prima trasmissione “a puntate”, ibridando il romanzo d’appendice, con il riferimento parodiato all’opera di Dumas, alle modalità proprie di molti fumetti, in particolare quelli ruotanti attorno alle avventure di uno specifico eroe (il debutto di Nizza e Morbelli alla radio fu in effetti con Le avventure di Topolino). Primo programma ad avere uno sponsor privato, la Buitoni-Perugina, e ad essere intimamente connesso alle logiche della pubblicità e del commercio, con la promozione della cioccolata italiana e dello stesso mezzo radiofonico (in soli quattro anni gli abbonati passeranno da 480.000 a più di 800.000). Lo sponsor darà vita a una campagna pubblicitaria “d’autore” con l’indizione del primo concorso legato a una raccolta di figurine. Il disegnatore Angelo Bioletto (poi tra i disegnatori di La rosa di Bagdad e nel dopoguerra anche coinvolto, solo per qualche anno, nella Disney – suo L’inferno di Topolino, parodia dell’Inferno dantesco) realizza cento figurine, inserite nei pacchetti di caramelle e cioccolata della Perugina. Il concorso, inizialmente pensato per ragazzini, ha un successo straordinario e inaspettato, coinvolgendo tutte le fasce d’età. Il mix tra cioccolata, radio, spettacolo è esplosivo; nel 1935 i quattro moschettieri arrivano in mongolfiera alla Fiera di Milano, li attende una folla esultante di diecimila persone, come fossero i Beatles.
Con la consegna dell’album completo di figurine si riceve in premio il libro illustrato da Bioletto, che raccoglie le avventure della rivista radiofonica (ne verranno stampate centomila copie). Centocinquanta album completi danno diritto alla tanto desiderata Topolino (ne verranno distribuite più di centino). Il Feroce Saladino è la figurina introvabile, che innesca la nascita di vere e proprie borse nere, tipografie illegali, smerci clandestini… con sdegno del regime che bloccherà tutto nel 1938. La leggenda dice che perfino le partite di calcio di serie A furono spostate di mezz’ora per permettere l’ascolto completo della trasmissione. Nel film Il Feroce Saladino (1936) di Mario Bonnard un illusionista, cacciato dalla sua compagnia di teatro di varietà, si ricicla, durante gli spettacoli, come venditore ambulante di caramelle Perugina, con allegate le famose figurine. Per una sorta di suggestione collettiva, l’illusionista riesce a far credere a tutto il pubblico presente nella sala teatrale di trovarsi tra le mani l’agognata figurina, con l’effetto di urla, grida e varie escandescenze. È una testimonianza diretta, e anche sottile, di quello che fu la moschettierimania e dell’impressionante potenza di manipolazione della radio, ancora giovanissima. Il successo favorì la produzione di gadget di vario tipo, che contribuirono a una narrazione diffusa e capillare: tra i primissimi esempi di avventura multimediale e, direbbero oggi i sociologi, di crossmedialità.
A distanza di ottant’anni mettersi sulle tracce di I 4 moschettieri vuol dire perciò osservare l’origine di molti processi entrati prepotentemente in uso, compiere uno scavo da archeologia dei media, rintracciare un episodio nel quale tecnologia, narrazione e ricerca di un pubblico di massa trovano una combinazione felice e rappresentano una sorta di centrifuga, dove ottocento e novecento si incontrano e si scontrano, con un’accelerazione rapida della Storia, prima del precipizio della guerra. Insomma già Dumas a metà ottocento aveva scelto i quattro eroi, catapultandoli nel seicento del Cardinale Richelieu, per raccontare passaggi e cambiamenti d’epoca. Nizza e Morbelli li recuperano, cambiando completamente lo scenario circostante e affiancando loro un incongruente Arlecchino, servitore fedele, deus ex machina, anello di congiunzione tra la carta dei romanzi d’appendice, l’etere della radio, le avventure alla corte del Re di Francia, secoli lontani e sovrapposti…
I Sacchi di Sabbia, dopo essersi impegnati nella realizzazione di un radiodramma, con espedienti semplici ed efficaci, applicati alle voci dei personaggi e agli effetti caricaturali dei rumori, si sono cimentati con la scena, per una sorta di traduzione “a rovescio”: non dal teatro alla radio, ma dalla radio al teatro, con lo spettacolo I quattro moschettieri in America. Radiodramma animato. In scena ci sono un moschettiere (Giovanni Guerrieri), una narratrice che introduce e spiega i fatti, cantando sulle melodie della storica trasmissione (Giulia Gallo), una rumorista che segue la vicenda con contrappunti vocali (Giulia Solano), un disegnatore che sul fondale tratteggia personaggi e ambientazioni. L’immaginazione del “puro” ascolto viene riattivata dalla costruzione in diretta di continue suggestioni visive: il “radiodramma animato” è fatto soprattutto di “cartone” e di carta, intrecciati alla presenza viva degli attori. A volte sembra di “leggere” le strisce di un fumetto, con le voci registrate del radiodramma, spesso si aprono libri pop up, realizzati appositamente per lo spettacolo, che rappresentano scenari di metropoli americane nelle quali si svolgono fughe e inseguimenti. Così il libro si apre e diventa città, un libro giocattolo, come miniatura del mondo. Poi si usano ombre cinesi, sagome, maschere e costumi di carta, tanti disegni e figurine, distribuite alla fine dello spettacolo, accompagnate da un piccolo album, sempre di Guido Bartoli. Questa semplice costruzione artigianale suscita continue sorprese per “effetti speciali” realizzati con mezzi poveri, ma con una buona dose di fantasia, dando allo spettacolo un forte senso ludico. Lo spettacolo si presenta suddiviso in tre puntate (ma esiste anche la versione canonica tutta di fila), ognuna delle quali di poco più di venti minuti, che innesca un meccanismo giocoso di partecipazione, di suspense, di attesa, ingredienti tipici della narrazione seriale, utilizzati assai spesso da televisione e radio, più rari in campo teatrale, almeno nelle sue declinazioni strettamente narrative. Stuzzicando la curiosità dei bambini, si valorizza la magia del rito del teatro, che si esalta nell’incontro ripetuto, preparato, atteso.
Le strategie dell’intrattenimento sono tutte esibite, esposte, sono loro stesse elemento narrativo. C’è un recupero essenziale dei “giochi” inventati da una radio bambina (che poi hanno rubato tutti, televisione e web compresi) per catturare l’attenzione di un pubblico sconosciuto e invisibile. Si cerca la sorpresa, si dà spazio alla fantasia e all’invenzione. E il pubblico, una trentina di bambini per volta, segue l’evolversi della storia “abbonandosi” questa volta non a una stagione ma a un progetto, una storia, un’avventura.
In effetti la traduzione visiva della rivista radiofonica in uno spettacolo costruito attorno ai giochi dei bambini era stata un’intuizione dei primi anni della messa in onda. La Miniatura Film produsse nel 1936 I quattro moschettieri per il cinema, un film assai complesso, completamente realizzato con le marionette della famiglia Colla, per la regia di Carlo Campogalliani (anche lui proveniente da una famiglia di burattinai). Primo film italiano interamente pensato per marionette, fu da alcuni considerato una sorta di risposta autarchica all’esplosione dei cartoni animati di Walt Disney. Marionette, pop up, maschere, figurine… un immaginario “antico” di giochi infantili a contatto con i bambini paiono non sentire la polvere del tempo, al contrario si riattivano con leggerezza, e probabilmente anche per questo l’esperimento ha dato buoni frutti.
Oltre a questa linea strettamente legata all’immaginario dell’infanzia corre parallelo un altro filo, quello narrativo, che si porta dietro questioni anche più adulte, soprattutto negli attriti che i quattro eroi generano a contatto con il mondo circostante. I Sacchi di Sabbia utilizzano la parodia come motore della narrazione e poiché la parodia è anche alla base della rivista di Nizza e Morbelli, questo spettacolo pare quasi una sorta di sequel, ottant’anni dopo la messa in onda. Le storie di Nizza e Morbelli ruotano attorno alle implicazioni assurde che scaturiscono dal confronto costante tra il mondo “di carta” e romanzesco dei moschettieri e il mondo nuovo, in cui sono immersi, nel quale pare impossibile compiere nuove avventure, se non per effetto del disordine crescente della realtà. I quattro moschettieri, giocando con il modello di Jules Verne, devono compiere il giro del mondo per una sfida lanciata dal Cardinale Riciliù. Per questo ogni episodio racconta di un paese, una nazione o di un continente. I quadri che si tratteggiano sono ogni volta come “cartoline”, illustrazioni esotiche di un mondo che pare aver perso ogni elemento di realtà e volersi mostrare come pura rappresentazione, a scopo smaccatamente economico. Le regole dell’onore, della parola data, della fiducia non funzionano più in un mondo dove tutto ruota attorno al denaro, e in queste contraddizioni si gioca molto dell’umorismo di Nizza e Morbelli (che in parte si dissolve nella nebbia del passato, per i tanti riferimenti alle cronache del tempo non sempre comprensibili).
C’è una sorta di divertita ebbrezza distruttiva e un po’ cinica nel raccontare di un mondo costruito sempre più come set cinematografico, dove i barcaioli del Volga sono solo attori squattrinati che ricreano il colore locale per i turisti, e dove in Argentina si vendono in piazza, a procuratori europei, dei bambini abilissimi a giocare a pallone (mezzo secolo prima che Maradona sbarchi a Napoli!). Si lascia ironicamente molto spazio non ai sogni, ma ai paradossi, alle parodie, alle idiozie e agli effetti assurdi di un roboante capitalismo, intrecciato strettamente all’industria culturale e cinematografica. I Sacchi di Sabbia riprendono il filo dell’economia e dei sogni hollywoodiani. Ma adesso i moschettieri sono stati licenziati per la grande crisi (quella del ’29, quella di oggi), e non sanno più cosa fare. Sono passati di moda e sembra che nessuno abbia più bisogno di loro e delle loro avventure. Il mondo è nuovamente cambiato e sono rimasti disoccupati. L’onta e la tristezza sono troppo grandi, non resta altro che farla finita, buttandosi già dal Ponte di Brooklyn o dal ventesimo piano di un grattacielo a New York o impiccarsi a una trave (intarlata) o assoldare dei sicari da una banda di gangster mafiosi italo-americani. Ma per un motivo o per un altro tutti questi tentativi falliscono e i moschettieri si ritrovano impegnati in rocambolesche fughe e inseguimenti, in avventure comiche e sgangherate, mentre una lettera della Paramount, che parla di un nuovo film a loro dedicato, riaccende le antiche speranze…