Hikikomori. Ora tutto il mondo è un claustrum
Laura Pigozzi è rappresentante italiana della Fondation Européenne pour la Psychanalyse e autrice di opere dedicate all’adolescenza e all’infanzia (Adojescenza zero. Hikikomori, cutters, ADHD e la crescita negata; Mio figlio mi adora). Pubblichiamo il suo contributo a una riflessione di psicoanalisti europei sull’epidemia Covid-19.
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Lo stato di eccezionalità che stiamo vivendo può insegnarci qualcosa sulla normalità, così come ci ha trasmesso Freud che, studiando le situazioni critiche, ha scoperto funzionamenti universali. Grazie a una certa osmosi tra l’individuo e la polis, possiamo chiederci cosa può dirci, della nostra supposta normalità, questo stato di emergenza, in cui milioni di uomini hanno sospeso le loro abitudini quotidiane, senza per questo aver fatto una sorta di epoché filosofica, cioè una sospensione dell’assenso per vedere con più chiarezza. O meglio, molti si sono sospesi ma dissentendo, hanno ubbidito ma criticando. E questa, a priori, non è una cattiva notizia.
La cattiva notizia è invece l’aver letto articoli di intellettuali – e, purtroppo, anche di alcuni psicoanalisti – che ci hanno propinato messaggi messianici, carichi di bontà e fiducia in un futuro colmo di buoni sentimenti solidali, come se non sapessero che l’uomo è un impasto il cui lievito è la pulsione di morte. L’umanità è ora nel tempo dell’auto-conservazione che non è neutra ma necessita, anche lei, di quel lievito, come ci ha lasciato ben intendere Freud in Perché la guerra?. Egli scriveva ad Einstein che “entrambe le pulsioni sono parimenti indispensabili, perché i fenomeni della vita dipendono dal loro concorso e dal loro contrasto”. E aggiunge: “la pulsione di auto conservazione è certamente erotica, ma ciò non toglie che debba ricorrere all’aggressività per compiere quanto si ripromette.” I nostri predicatori di futuro solidale si sono dimenticati che per un cambiamento c’è bisogno dell’aggressività dell’uomo che si manifesta nella sua lotta per raggiungere determinati obbiettivi. Questo legame tra pulsione di morte e eros, è anch’esso un conflitto, se non altro perché non sappiamo, prima, come andrà a finire.
Il senso critico deriva da quell’enzima della pulsione di morte che può fare da attivatore ai processi: se non lo facessimo, il pensare di poter perseguire unicamente il bene lascerebbe i nostri intenti nell’amorfismo e dunque…morti. Molto più morti che il Nirvana.
Un virus è morte senza pulsione, oggetto non morto e non vivo, parassita di cellule viventi per carpire loro la vita. Il paradigma del non morto – non vivo, poco prima della pandemia, era un oggetto cult tra i giovani seguaci delle avventure di vampiri e anime giapponesi, di cui è farcita una delle piattaforme preferite dai ragazzi. I loro eroi, vampiri e anime, segnavano già una traiettoria isolazionistica tra i nostri giovani, messa in pratica dai giovani hikikomori che restano chiusi in una stanza per anni e che oggi si trovano ad essere improvvisamente le avanguardie dell’umanità sul piano della tenuta all’isolamento sociale. Una paziente, una ragazza hikikomori, confrontata alla clausura universale, è stata presa da un grande sconforto. L’hikikomori (150mila in Italia e già parecchie migliaia anche in Francia, ma lo sviluppo è in crescita) è una figura tragica che, però, sembra poter esistere solo per opposizione a un mondo attivo: se il mondo intero è diventato un claustrum, il “discorso” soggettivo dell’hikikomori può restare muto, privato dello sfondo che in un certo senso lo sostiene, su cui si staglia e prende senso per contrasto. Ultima osservazione: la scuola a casa ha ridotto milioni di ragazzi alla condizione di figli-Rapunzel. Speriamo che non sperimentino, con troppo attaccamento, il godimento mortifero, senza lievito, della cuccia.