Gli Stati Uniti della Follia
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traduzione di Fiorenza Picozza
Un preludio non intenzionale
Ho iniziato a scrivere questo testo a Febbraio 2020, quando sembrava che la pandemia di Covid-19 si trovasse a prudente distanza da noi, all’estero, nella lontana Asia. In realtà, doveva essere già qui tra noi, alla faccia della mossa propagandistica di Herr Trump che ha bloccato i viaggi dalla Cina. Il nostro mondo globalizzato fa sì che la consegna di prodotti Made in China come i computer Apple, il maglione che indossi e, con la stessa facilità, qualunque virus o cosa biologica di qualunque provenienza, si presentino alla tua porta, praticamente all’istante. Questo accade anche senza l’aiuto di Amazon, ma è certo che quest’azienda rende la consegna più veloce ed efficiente e soprattutto – come si sta palesando – piuttosto costosa.
La pandemia si è inserita per caso e con facilità tra le idee che rimuginavo in questo breve saggio, giacché ha portato in primo piano parecchia della nostra follia condivisa, mentre ci mostrava al tempo stesso come effettivamente funziona il nostro intricato sistema. Invertendo il tradizionale paradigma americano dell’individuo roccioso, della “libertà” a modo nostro (ho il “diritto” di fare praticamente tutto quello che mi pare), e così via lungo la litania delle americanissime credenze, il virus Covid-19 ci ha costretti a un comportamento collettivista, ad agire – addirittura! – come una comunità. Che cosa antiamericana! Ci ha anche mostrato quanto siamo intimamente interconnessi praticamente in ogni cosa: ciò che fai tu ha un impatto su di me e ciò che faccio io ha un impatto su di te. Le falsità dei nostri miti sono state messe a nudo per ciò che sono, da quello dell’autonomia e dell’individuo che “si è fatto da sé”, alla visione libertaria del “fa’ quel che ti pare”, promossa ad esempio dal senatore Rand Paul che, benedetto sia il suo striminzito cuore, ha contratto il virus. Così è successo per molte altre cose e comportamenti che la nostra società dà per scontate e che, in effetti, sono per lo più le cause che ci hanno portato fino a questo punto di rottura. Forse il coronavirus sarà una lezione, molto costosa ma utile, che il nostro sistema politico non avrebbe mai potuto offrire di per sé.
Quanto segue sono alcune osservazioni casuali scritte dall’interno di un manicomio, ovvero questo paese chiamato Stati Uniti d’America. Casualmente è il paese della mia nascita e potremmo dire della mia educazione formativa e quindi, piaccia o no, non c’è dubbio che io sia culturalmente e socialmente americano. Se fossi nato qualche centinaio di chilometri più a nord, allora sarei stato canadese, e un po’ diverso come persona.
Come accade nella maggior parte dei manicomi, quelli che ci stanno dentro percepiscono tutto ciò che li circonda come giusto e normale, come è e dovrebbe essere il mondo. I nostri costumi, le abitudini, le etichette culturali, il nostro modo di essere nel mondo – tutto sembra essere come deve essere. Siamo tutti conformisti, vincolati alle regole che abbiamo ben appreso perché ci sono state inculcate sin dall’infanzia. Ovviamente, chiunque metta in dubbio o contravvenga a queste convenzioni è preso per pazzo.
1.
Le macchine. E tutto ciò che le circonda. Produrle, alimentarle, produrre ciò di cui hanno bisogno: autostrade, parcheggi a strisce, parcheggi multipiano, distributori di benzina, garage, meccanici, pneumatici, gare e tutta la panoplia di cose incentrate sulle macchine. E i camion. E le morti: 37mila all’anno, negli ultimi tempi, nel paese.
Per noi americani, e per molti altri in tutto il mondo, le macchine sono una cosa naturale, un dato di fatto e, in molti casi, una necessità vitale. La nostra società è costruita attorno a questo fatto, con il mondo urbano per gran parte pianificato in funzione delle macchine. Due macchine in ogni garage. Vivere in un posto come Los Angeles, dove le case automobilistiche hanno acquistato in blocco e poi distrutto il servizio locale di tram, dà un ottimo esempio, ma d’altronde qualunque altra città americana farebbe lo stesso. La nostra cultura delle macchine è stata attentamente ideata e fomentata dalle aziende che ci hanno visto una fortuna, con sussidi governativi per la costruzione di autostrade e lo sviluppo dell’industria petrolifera. “Win-win-win!”, direbbe il signor Trump. A un certo punto, gli americani hanno confuso il possedere una macchina con la più decantata delle credenze nazionali: la “libertà”. Quanti giovani uomini si sentono irrealizzati e non abbastanza uomini se non posseggono ruote? Ho trascorso degli anni in prigione con ragazzini che desideravano una macchina così tanto da rubarne una, attraversare un confine di stato e finire in galera per cinque anni.
Sì, le macchine. Le macchine e tutto ciò che somiglia loro non sono altro che piccoli pacchetti di veleno meccanizzati. Funzionano a benzina ed emettono Co2. Già nel lontano 1850, mentre l’industrializzazione inglese cominciava a prendere piede, gli scienziati preannunciavano che emettere tutto quel Co2 nell’atmosfera avrebbe portato al riscaldamento globale. Già allora il campanello d’allarme era stato dato. Ma – diamine! – le macchine erano troppo divertenti e ti davano la libertà di andartene a zonzo per conto tuo. Gli americani hanno abboccato all’esca, all’amo, alla lenza e poi al piombo.
Detroit e l’industria automobilistica, insieme alle grandi compagnie petrolifere, diventarono i motori della nostra economia; a seconda di come andavano loro, così andava la nostra economia. E non solo per quanto riguarda il denaro e la finanza, ma anche la mentalità: nel tempo le macchine sono diventate un aspetto della nostra personalità, e così sono state pubblicizzate. Come le sigarette, sono passate a indicare classe e raffinatezza e, con le ruote giuste, potevi avere anche le ragazze. Poi è arrivato l’americanissimo ideale della casa col pratino nei sobborghi, i centri commerciali, le conurbazioni metropolitane, e infine, dopo un po’ di tempo, sono arrivati i danni collaterali.
2.
La Silicon Valley, nelle sue molteplici forme, ci ha promesso di interrompere l’ordinaria amministrazione in molti campi ed effettivamente ci è riuscita. Nel processo, molte professioni sono state spazzate via o gravemente danneggiate, per non parlare di altri lavori più umili. L’invenzione dello smartphone di Steve Jobs ha cambiato radicalmente le vite di miliardi di persone, le quali ora possono essere osservate in tutto il mondo completamente seppellite all’interno di questi apparecchi, digitando mentre vanno a sbattere contro una macchina in corsa. Ormai, attraverso internet, possiamo parlare “gratis” con altre persone ai quattro angoli del globo. Possiamo attingere alla più grandiosa biblioteca mai immaginata, ma anche al più schifoso letamaio che la mente umana abbia mai potuto scavare. Siamo ancora alle prime fasi del tentativo di comprendere cosa la digitalizzazione del nostro mondo abbia davvero prodotto, stia producendo e produrrà. Possiamo solo dire che, nel corso di pochi decenni, ha profondamente e drasticamente cambiato il mondo. Se alla fine sarà in meglio o in peggio, è tutto ancora da vedere.
Nel 1993 Jeff Bezos ebbe l’idea di creare un sistema di vendita di libri on-line, usando l’allora nuovissimo internet, i sistemi informatici e la sua conoscenza di questi ultimi. Lo chiamò Amazon. Un decennio più tardi, le più grandi catene di librerie vacillavano, mentre le vendite su internet decollavano. Amazon fece un sacco di soldi e presto si ramificò in altre aree di vendita. Oggi Bezos è considerato l’uomo più ricco del mondo e Amazon smercia di tutto; se in più paghi per essere un cliente Prime, ti promette la consegna di praticamente qualsiasi cosa il giorno successivo.
Come fosse una nuova potentissima droga per un tossicodipendente, questo concetto si è inserito in una società in cui, nel corso di un secolo, è stata inculcata l’idea che il consumo è la misura del valore di una persona. Negli Stati Uniti, il consumo rappresenta il 70% del pil. Oggi il debito privato ammonta a circa 38mila miliardi di dollari, il debito cumulativo a 14mila miliardi, e quello societario rappresenta altri 14mila miliardi. Il debito pubblico ammonta a ben 25mila miliardi e, grazie ad altri 3,5mila miliardi che sono stati iniettati, salirà fino a quasi 30mila miliardi. Mi sono sempre domandato come faccia il pil a essere costituito da debito e come si faccia a gestire un’economia basata sul debito. Immagino che la risposta sia che le bolle illusorie vanno avanti finché non scoppiano e, in questo caso, la bolla è un mostro e lo scoppio sarà della stessa portata.
Ammettiamolo: agli americani piace comprare e lo fanno anche quando non se lo possono permettere, poiché sono stati debitamente addestrati a farlo. E Jeff è proprio lì, pronto ad alimentare quest’inclinazione. Cose, cose, cose, cose. E per un modico supplemento, Amazon te le consegna domani. O, in alcuni casi, dopodomani. I topolini intrappolati cliccano il pulsante “lo voglio” e ricevono il loro contentino.
Walmart fa lo stesso ma con una clientela completamente diversa. Come si può notare da una giro in una qualunque filiale, Walmart è di fascia bassa: è zeppo di merci importate di bassa qualità, prodotte in semi-schiavitù, e i suoi clienti (scommetterei che il 90% siano sostenitori di Trump) appartengono, visibilmente, a una certa classe. Come Amazon, Walmart usa un sofisticato software per organizzare sia i suoi magazzini di cose che il tracciamento degli interessi/desideri dei suoi clienti. Entrambe le organizzazioni, in effetti, sanno a priori cos’è che vorrai e ce l’hanno lì pronto per te quando lo vuoi. Grazie alla loro enormità, entrambe le organizzazioni hanno il potere di comprare su larga scala e quindi il potere di contrattare il miglior prezzo, per loro e per i loro clienti. Entrambi sono stati determinanti nel distruggere un’infinità di comunità e di piccoli commerci. Ma Bezos è senza ombra di dubbio il miglior commerciante al mondo. Getta nell’ombra gente come El Chapo. E come El Chapo, né lui, né la sua società sembrano pagare tasse. Proprio così, se la cava come un criminale. Se non fosse che, per Bezos, è tutto “legale” attraverso le migliori leggi che il denaro possa comprare.
Come prassi, Walmart paga i suoi dipendenti così male che sono obbligati a comprare nei negozi dei loro datori di lavoro. La generosa politica di Walmart permette ai poveracci (come me) di dormire la notte nei loro enormi parcheggi. Come azienda ha invertito la regola elementare di Henry Ford per cui i suoi lavoratori dovevano essere pagati abbastanza da poter acquistare i suoi prodotti; la politica di Walmart è pagarti così poco che sarai così povero da dover dormire nei suoi parcheggi e comprare i suoi prodotti.
I clienti di Amazon, per lo più, occupano uno strato economico più elevato e, sebbene comprino su Amazon a prezzi vantaggiosi, comprano prodotti più costosi e li ricevono il giorno dopo, in cerca della tanto agognata gratificazione istantanea che la nostra società ha minuziosamente instillato nella popolazione. In molti casi, poiché il commercio via internet ha ampiamente distrutto grandi catene e grandi magazzini, l’acquirente non ha altra scelta che andare su Amazon per molte cose. Amazon è stata spietata nella riduzione dei prezzi per distruggere la concorrenza, spesso poi comprandosela quando era stata sufficientemente indebolita. Mercantilismo predatore.
Amazon quindi ha successo in parte perché ha spazzato via la concorrenza, proprio come Walmart, e perché offre un genuino servizio di gratificazione istantanea. Acquistalo oggi da casa tua e ricevilo domani stesso! E a minor prezzo che se dovessi recarti al centro commerciale o ai grandi magazzini! Che affarone! E funziona. Funziona sfruttando i lavoratori, riducendo al minimo i salari e usando le più attuali pratiche aziendali, le quali includono il mantra del “just-in-time”, in cui i tempi di deposito sono ridotti al minimo, ricevendo e rigurgitando le merci nel modo più efficiente possibile. Tutto ciò è possibile grazie alla solita pratica capitalista di falsificare il bilancio, che spesso si traduce nello scaricare il debito alla società.
Inoltre, il modello aziendale di Amazon produce un’enorme impronta di carbonio, grazie a camion, treni, automobili e aerei per spedire questo o quell’articolo da un magazzino Amazon a casa tua – che comodità! Il conto è quello che è, all’apparenza “economico” rispetto al negozio più vicino a te che potrebbe fornirti la stessa cosa – se ancora esiste un negozio locale che la possa fornire, cosa poca probabile, dato che Amazon e Walmart li hanno cacciati tutti fuori dal mercato, nel nome dell’efficienza e della convenienza. Amazon e per quanto ne so anche Walmart pagano poche o nessuna tassa sulle imprese, perché sono in grado di ingannare il sistema o, meglio ancora, di pagare i politici per promulgare leggi favorevoli ai loro interessi. Nel frattempo usano aeroporti, autostrade e meccanismi di trasporto finanziati con fondi pubblici senza pagare granché o nulla affatto. Questo modello è tipico del comportamento aziendale americano, per cui queste enormi aziende denunciano gli orrori del “socialismo”, mentre loro stesse non sono altro che reparti governativi che usano sistemi pubblici senza pagarli. C’è da meravigliarsi che Bezos sia l’uomo più ricco del mondo e che la famiglia Walton sia una delle più ricche del pianeta?
Se fosse tutto qui, la situazione sarebbe già di per sé vergognosa. Tuttavia, alla fine della fiera, il modello commerciale di queste enormi aziende ha a che fare con la distruzione dell’intero sistema biologico della terra. Sono imprese capitaliste che richiedono una crescita costante su un pianeta finito. Rigurgitano le loro tossine, direttamente in forma di impronta di carbonio generata dal movimento di tutte quelle merci affinché ti arrivino “just-in-time”, o indirettamente, acquistando le merci – volontariamente e deliberatamente – in luoghi con condizioni lavorative di semi-schiavitù e che non hanno regolamenti ambientali. Un insieme di cose che sta letteralmente uccidendo il pianeta. Così non devi andare fino al centro commerciale e puoi comprare enormi schermi led per pochi spiccioli. Costa tutto così poco! Se non fosse che ti sta rapidamente uccidendo.
(Da notare che, oggi, mentre scrivo, Jeff Bezos ha annunciato che donerà 10 miliardi di dollari per studiare metodi che possano evitare il disastroso cambio climatico che già incombe su di noi. Ovviamente non sta suggerendo di chiudere Amazon in quanto principale colpevole; piuttosto, in quanto coscienzioso cittadino di qualunque casacca politica egli si immagini di essere, ha ordinato una flotta di 10mila camion da consegna. È come quando, su una scala minore, i bravi liberali di classe media si comprano pannelli solari e macchine ibride, pensando che questo genererà qualche esito al di là di aggiungersi al conto generale.)
Il conto delle nostre comodità – volare di qua e di là come ci pare e piace, per lavoro o per divertimento, far volare cibo fresco o fiori o qualunque altra cosa da un angolo del globo all’altro, semplicemente perché possiamo, oppure farci consegnare un pacco a domicilio domani. Buste di plastica, produzione agricola industriale con pesticidi e fertilizzanti, sistemi elettronici che connettono il mondo attraverso cavi, con un sistema nervoso idoneo a un piccolo insetto ma applicato a dieci milioni di elefanti, i nostri sempre più sofisticati armamenti con controllo remoto (missili ipersonici), bombe nucleari, bio e chimiche, tutti elementi che si uniscono a cascata contribuendo a un catastrofico collasso che scatenerà la nostra peggiore natura.
3.
Siamo stati chiaramente avvertiti centocinquanta anni fa degli effetti che l’industrializzazione stava producendo, e avrebbe continuato a produrre, se si continuavano a bruciare i combustibili fossili, emettendo Co2 (insieme a molte altre tossine gettate nell’ambiente, e non solo nell’aria ma anche nei fiumi, laghi e oceani): la terra si sarebbe riscaldata. Non abbiamo ascoltato perché le cose che ottenevamo dall’industrializzazione erano davvero troppo allettanti. Un sacco di giocattoli, dei fantastici giocattoli. In poco tempo ha trasformato il nostro modo di vivere e di essere nel mondo. Treni, navi a vapore, macchine, aerei. Potevamo sfrecciare per il mondo quasi senza sforzo, e l’abbiamo fatto. Ora il turismo di massa è una piaga che dilaga in tutti gli angoli più belli della terra.
Rachel Carlson ci avvertì nel suo libro del 1962, Primavera Silenziosa, di cosa i nostri pesticidi e altre pratiche agricole stavano facendo all’intricata trama del nostro ambiente e alla sua base biologica. Per un po’ abbiamo ascoltato e abbiamo smesso di usare il ddt perché il nostro uccello nazionale, l’aquila calva, era in pericolo. Tuttavia, “la rivoluzione verde” offerta dalla medicina moderna, che ci prometteva raccolti smisurati attraverso l’uso di pesticidi e fertilizzazione massiccia affinché potessimo alimentare i miliardi di umani in rapida espansione era più attraente, così come più tardi lo sarebbero stati gli ogm. Nel 1970, una gita primaverile o estiva nelle aree rurali dell’America ti richiedeva fermate ricorrenti per pulire il parabrezza dell’auto dagli insetti spiaccicati, e uno poteva notare le frequenti carcasse di puzzole, opossum, cervi, armadilli, uccelli, serpenti e tartarughe. Oggi, una gita simile conduce a un paesaggio spoglio, privo della sua fauna selvatica. Gli insetti ormai non ci sono più. Non brillano le lucciole, né ronzano le api (né impollinano), né gli sciami di farfalle monarca deliziano bambini e adulti. Tutte queste cose sono in catastrofico declino, grazie a noi umani e alle nostre pratiche.
Ed esse, insieme a milioni di altre piccole cose apparentemente insignificanti, fanno parte dell’intricato e delicato intreccio che è l’arazzo della vita. La stregoneria del nostro modo di vivere moderno e tecnologico ci permette, in molti aspetti, di scorgere e comprendere la complessità di tale mondo; però, al tempo stesso, ci distanzia dal vivere e noi, a nostra volta, agiamo sul pianeta in modo incurante e sconsiderato. Tanto che abbiamo quasi finito di distruggerlo.
Potrei continuare con l’infinita lista di danni collaterali e non intenzionali causati dal “sistema” della nostra società, poiché quasi tutto ciò che facciamo è collegato a tutto il resto. Ma siamo stati in gran parte ciechi di fronte a questa realtà e così siamo andati avanti come il proverbiale elefante in una cristalleria, e abbiamo distrutto praticamente tutto ciò che toccavamo. Il tocco di Mida della mania consumistica.
Sì, noi e la nostra società siamo pazzi. Completamente pazzi.
Fonte: https://jonjost.wordpress.com/2020/03/25/the-united-states-of-insanity/