Giovani in fuga: una vita altrove
La percezione di un paese immobile, strutturalmente in ritardo, a corto di prospettive, tende a diffondersi, e sono soprattutto i giovani a mostrare un forte insofferenza nei confronti di una situazione che condiziona le scelte individuali e che brucia chance e possibilità di vedere realizzate le proprie aspettative.
La reazione a questo stato di cose sta generando la consapevolezza che la vita possa essere spesa altrove, in contesti il cui “costo di cittadinanza” possa essere meno oneroso e l’investimento personale (nello studio, nel lavoro, nella ricerca di una migliore qualità della vita) abbia la possibilità di un ritorno più certo.
Negli ultimi anni si sono ridotte oggettivamente le distanze, mentre le barriere al trasferimento si sono progressivamente ridimensionate. E’ diventato più agevole spostare la residenza in un altro paese e, nello stesso tempo, si sono moltiplicate le occasioni e le opportunità di poter trascorrere periodi lunghi all’estero, per i più diversi motivi (lavori stagionali, apprendimento di una lingua, Erasmus, convivenze, ecc.).
La facilità della comunicazione è aumentata e il contatto in tempo reale da luoghi remoti è diventata un’esperienza banale, quotidiana, scontata. Tutto ciò sta contribuendo all’abbassamento della soglia di insofferenza riguardo a ciò che non va in Italia e il confronto con quello che accade all’estero è sempre più impietoso.
E’ necessario, ma non sufficiente, partire dai dati sulla disoccupazione per comprendere il clima generale e il sentimento che sta, in particolare, caratterizzando il comportamento dei giovani. Se il tasso complessivo di disoccupazione oggi ha raggiunto in Italia l’11,5%, per la fascia d’età compresa fra i 15 e i 24 anni si riscontra un valore pari al 38,4%. Solo nell’arco di un anno, fra marzo 2012 e marzo 2013, si è osservato un incremento di 3,2 punti percentuali. A livello europeo il tasso medio di disoccupazione giovanile è del 23,5%, ma in Germania e in Austria, ad esempio, si ferma al 7,6%, negli Stati Uniti si colloca intorno al 16%, mentre in Giappone il dato è pari al 6,6%, e con tendenza decrescente: in meno di un anno si è infatti verificata una riduzione del livello dei giovani che cercano lavoro pari a due punti percentuali.
Ma ciò non basta a motivare scelte di abbandono e di ricerca di prospettive fuori confine. Pesano su queste scelte una progressiva precarizzazione del lavoro, un forte disallineamento fra retribuzioni conseguite una volta ottenuto un lavoro e livelli di istruzione acquisiti; incide, inoltre, una configurazione dell’occupazione e dei meccanismi previdenziali che chiudono all’entrata e prolungano la permanenza nel lavoro dei più anziani. Condiziona, infine, la persistenza di una struttura produttiva e imprenditoriale ancora centrata su settori tradizionali, poco propensa all’innovazione, scarsamente orientata a rischiare e investire sul nuovo.
Rispetto alla storia dell’emigrazione italiana e alle diverse ondate che hanno caratterizzato il passato (in particolare il periodo a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento e quello della fine degli anni Cinquanta) cambia sostanzialmente il profilo di chi lascia l’Italia. Secondo un’indagine dell’Istat sui laureati del 2007, svolta nel 2011, il 2,3% sul totale di chi ha conseguito il titolo ha dichiarato di risiedere all’estero: si tratta di oltre seimila individui che rappresentano oggi circa il 15% di chi decide di vivere fuori dall’Italia, una percentuale che, nel corso degli ultimi dieci anni, è raddoppiata. Sono laureati nati prevalentemente nelle regioni del Nord (circa il 50%), diretti verso il Regno Unito – se hanno un titolo nell’area scientifica o economico-statistica – la Spagna (area linguistica e politico-sociale), la Francia (ingegneria); fuori dall’Europa scelgono come meta principale gli Stati Uniti. Trovano lavoro a tempo indeterminato come direttori, dirigenti e specialisti nelle professioni intellettuali e scientifiche; guadagnano circa 540 euro di più di chi invece lavora, a parità di condizioni, in Italia.
Un maggior grado di dettaglio del profilo di chi vive fuori dall’Italia è fornito dall’aggiornamento al gennaio 2012 delle stime fatte dall’Istat a partire dal censimento degli italiani residenti all’estero (nati in Italia e fuori dall’Italia) realizzato nel 2003. In termini assoluti oggi vivono fuori dai confini 3 milioni e 916mila italiani; per il 57,4% l’area di residenza è quella europea e in particolare la Germania (poco più di 700mila persone) e la Svizzera (circa 500mila); il 37,3%, poco meno di un milione e mezzo, vive invece nelle Americhe. Gli uomini sono più della metà (52,4%). Fra il 2003 e il 2012, lo stock dei residenti è cresciuto di oltre 42mila unità.
Attraverso i dati sui trasferimenti permanenti con l’estero di cittadini italiani è invece possibile cogliere l’entità dei flussi e della mobilità oltre confine. Nel 2010 sono emigrati 39.545 persone, di queste il 50,4% ha un’età compresa fra i 20 e i 39anni. Il tasso di emigratorietà (numero di trasferimenti per 1000 abitanti) è passato per le regioni del Nord da 0,45 del 2002 a 0,85 del 2010, mentre per il Meridione il valore ha subito una netta riduzione, passando da 0,79 a 0,53.
L’AIRE-Anagrafe degli italiani residenti all’estero, che registra il numero delle persone che dichiarano di risiedere all’estero per un periodo di tempo superiore ai 12 mesi ha individuato per il 2012 un ammontare di flussi in uscita pari a poco meno di 79mila unità contro i 60mila 600 del 2011; il 44,8% è costituito da persone con età compresa fra i 20 e i 40 anni e l’incremento di questa componente in un solo anno è stato del 28,3%. Lombardia e Veneto sono le regioni che hanno registrato la quota più elevata dei flussi in uscita, mentre Germania, Svizzera, Gran Bretagna e Francia rappresentano le principali mete di destinazione.