Elezioni a Bologna: sinistra di lotta e di governo?

L’asticella dell’affluenza alle urne si è fermata poco sopra il 51%. Anche Bologna conferma l’andamento nazionale, ma con una accentuazione: rappresenta infatti il dato peggiore in regione, e pur registrando l’affluenza più alta tra le cinque città maggiori andate al voto, è quella che presenta il decremento maggiore rispetto alle elezioni amministrative del 2016 (-8,48%).
Per effetto di questo forte calo, Matteo Lepore – candidato del Pd eletto con il 62% – risulta il sindaco che ha ottenuto il risultato migliore rispetto ai suoi predecessori eletti al primo turno e al tempo stesso quello che raccoglie minore consenso tra i cittadini: infatti è stato designato con il voto di poco più del 30% degli elettori, mentre in passato questa percentuale ha oscillato tra il 41% e il 44% (con l’eccezione di Virginio Merola, probabilmente il sindaco meno popolare nella storia della città, ma anche nel suo caso la percentuale era più elevata).
Gli elettori del centro-destra e quelli dei 5 stelle hanno alimentato l’astensione, i primi indifferenti rispetto a una partita persa in partenza, i secondi storditi dal rapido sfaldarsi del movimento. Ma il declino della partecipazione elettorale non può essere attribuito solo ad aspetti contingenti o a specifiche porzioni dell’elettorato. Si tratta di un processo avviato da molto tempo che investe la società nella sua interezza ed erode silenziosamente uno degli elementi costitutivi della democrazia.
A Bologna, dove la percentuale di votanti nel 1995 – alle prime elezioni dirette del sindaco – era dell’87%, è nelle periferie e nei quartieri popolari che si registra una diminuzione di votanti più alta della media cittadina, in particolare San Donato, Bolognina, Borgo Panigale, Santa Viola, antiche roccaforti del Pci e dei partiti che ne hanno raccolto l’eredità. Di avvisaglie ce ne sono state parecchie nel passato, la più forte nel 2014, quando alle elezioni regionali la percentuale dei votanti sprofondò al 37,7. Ma nessuno se ne preoccupò davvero: di solito le lamentazioni sul calo dell’affluenza durano il tempo di una rapida e ipocrita autocritica del ceto politico sul distacco dei partiti dalla “società civile”, anche stavolta il rito verrà rispettato e la questione rapidamente archiviata. E poi da queste parti la sinistra di governo è abituata a nascondere la polvere sotto il tappeto, ha iniziato a farlo nel ‘77 e da allora non è stata capace di smettere.
La destra ha abbandonato il campo, presentando all’ultimo momento un candidato debole e rinunciando di fatto alla campagna elettorale. Nonostante questo, la coalizione è riuscita ad incrementare i suoi voti – sia pure di poco – rispetto alle amministrative precedenti. I rapporti interni ne escono profondamente modificati: Forza Italia perde la metà dei suoi elettori, la Lega ne perde un terzo, Fratelli d’Italia – invece – guadagna più di 14.000 voti balzando dal 2,4% al 12,63%.
Nella coalizione di sinistra, il Pd mantiene una posizione dominante, ma continua a perdere voti, anche se in misura più contenuta rispetto alle elezioni precedenti. Dal 2009 (le prime elezioni per il nuovo partito) ad oggi, è stato abbandonato dal 37% del proprio elettorato che – in ogni caso – continua ad essere maggiormente radicato nelle periferie.
Vera e propria débâcle per il Movimento 5 stelle, che perde l’82% del proprio elettorato e si attesta su un risicato 3,37%. Fanno meglio i Verdi, che aumentano i propri voti nonostante le divisioni interne e la mancanza di iniziativa politica (2,81%), e la lista di Isabella Conti, sindaca di un comune limitrofo, ex Pd poi approdata a Italia Viva, avversaria di Lepore alle primarie (5,72%).
I riflettori erano puntati su Coalizione civica, l’ala sinistra dell’alleanza. Questa formazione era nata in aperta opposizione al Pd, e nel 2016 aveva ottenuto il 7%. Il mutamento di linea che ha portato all’accordo con l’ex avversario si basa principalmente sulla convinzione di poter condizionare il partito di maggioranza portando nel governo della città istanze che il Pd ha finora ignorato. Sull’altare del patto elettorale è stata sacrificata la battaglia contro il “Passante di mezzo”, il devastante progetto di ampliamento della tangenziale e dell’autostrada fortemente voluto dal Pd e fortemente avversato dagli ambientalisti, dai comitati dei cittadini e – fino a ieri – dalla stessa Coalizione civica, che per giustificare il cambiamento di rotta ha presentato alcune proposte di mitigazione che renderebbero l’opera un “simbolo della transizione ecologica”. L’esito elettorale è diverso rispetto allo scenario che era stato ipotizzato: l’alleanza di centro-sinistra avrebbe vinto con larga maggioranza anche senza l’apporto di Coalizione civica, l’obiettivo di rappresentare l’ago della bilancia nella nuova amministrazione non è stato raggiunto, in quanto il Pd e la lista Lepore (che ha ottenuto il 6,35%) detengono – con il voto decisivo del Sindaco – la maggioranza assoluta dei seggi. Coalizione civica registra un notevole successo per quanto riguarda la sua leader, Emily Clancy, la candidata più votata con oltre 3.500 preferenze, ma perde 1.300 voti, che rappresentano poco meno dell’11% del proprio elettorato. Le zone in cui raccoglie minore consenso sono quelle periferiche e popolari (con l’eccezione della Bolognina, dove è stato premiato un intelligente lavoro sul territorio).
La sinistra che è rimasta all’opposizione si è presentata divisa, come al solito, decretando in partenza la propria sconfitta. Tuttavia è da notare una sostanziale differenza tra l’elezione del Consiglio comunale – dove Sinistra unita (1,46%) e Potere al popolo (2,29%) raccolgono complessivamente 5.500 voti (insufficienti per ottenere un seggio) – e quella dei consigli di quartiere, dove ottengono 15.800 voti. Anche questo può essere interpretato come un dissenso verso una frammentazione che non convince nessuno, e in ogni caso mostra l’esistenza di un bacino elettorale più ampio che la sinistra non riesce ad interpretare e a rappresentare.
I due fronti della sinistra – quello che ha scelto di rimanere all’opposizione e quello che ha deciso di partecipare al governo della città – sono molto diversi tra loro ma hanno un tratto comune: la sostanziale rinuncia a costruire una nuova cultura politica
I due fronti della sinistra – quello che ha scelto di rimanere all’opposizione e quello che ha deciso di partecipare al governo della città – sono molto diversi tra loro ma hanno un tratto comune: la sostanziale rinuncia a costruire una nuova cultura politica, autonoma sia rispetto ad una visione autoreferenziale e puramente identitaria sia rispetto all’eterna riproposizione della formula “stare dentro per cambiare le cose”. Bisognerebbe prima di tutto avere una precisa cognizione del luogo in cui si sta “dentro”, perché altrimenti i buoni propositi si traducono in velleità astratte. A Bologna questa strada è stata tentata altre volte, con ben altri numeri. Nel 2011 la lista nata dall’unione tra Sel ed Amelia Frascaroli – esponente del cattolicesimo sociale – raccolse oltre 19.000 voti e fu decisiva nella vittoria della coalizione al primo turno. Né questo peso elettorale né una significativa presenza in Giunta e in Consiglio portarono ad alcun risultato, la sinistra subì senza capacità di reagire una serie di scelte che non condivideva e si trovò ad assistere impotente alla stagione degli sgomberi degli spazi autogestiti e delle occupazioni legate all’emergenza abitativa e all’accoglienza degli immigrati, fino a che la stessa permanenza nella maggioranza divenne impossibile. Anche nel 2004, sia pure con percentuali inferiori, la sinistra fu decisiva per l’elezione al primo turno di Sergio Cofferati, che poi si rivelò un vero disastro.
I numeri, da soli, non bastano (e stavolta non ci sono neanche quelli). Se pochi vanno a votare e tra quei pochi emergono segnali di insoddisfazione e dissenso (contraddittori ma interpretabili) vuol dire che alla maggioranza delle cittadine e dei cittadini va stretto lo schema entro cui si pretende di incanalare il loro consenso. Per rompere lo schema, la logica della “mitigazione” non serve. Non serve un “Passante” mitigato, non serve qualche correzione al progetto di privatizzazione e cementificazione dell’enorme patrimonio di spazi pubblici dismessi, non serve qualche nuovo processo partecipativo che vada ad aggiungersi a quelli addomesticati su cui è stato costruito un sistema di marketing politico, non serve aggiungere piste ciclabili se la rete di trasporto pubblico non viene completamente ripensata e se si continua nella realizzazione di opere inutili, costose e inquinanti che incrementano il traffico privato. Non serve pensare “un po’ meglio” le scelte di matrice neoliberista che il partito di maggioranza persegue da molto tempo, ben contento di “mitigarle” con qualche provvedimento “progressista”, qualsiasi cosa voglia dire questa parola che è stata scelta come slogan per il nuovo mandato amministrativo. Le elezioni sono state costruite dentro questo perimetro stretto, dal quale rimane fuori un grande pezzo della città.
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