Elena Ferrante e i suoi editori
Incontro con Nicola Villa
Sandro Ferri e Sandra Ozzola hanno fondato nel 1979 la casa editrice e/o che ha pubblicato, in Italia e negli Stati Uniti, tutte le opere di Elena Ferrante.
Il 2 ottobre 2016 un’inchiesta di un giornalista investigativo, Claudio Gatti, pubblicata sul “Sole 24 ore” e su alcuni periodici stranieri – “New York Review of Books”, “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, “Mediapart” – ha svelato l’identità di Elena Ferrante attraverso prove economiche, secondo il metodo del “follow the money”. Si sono fatte molte polemiche su quello che è stato definito uno scoop giornalistico o solo gossip, sulla violazione della privacy e la morbosità, in parte perché le motivazioni del giornalista sono deboli e sono state accusate anche di sessismo. A molti è sembrato sbagliato mettere una scrittrice, che ha sempre espresso in tutte le sue opere la volontà di rimanere nell’ombra, sullo stesso piano di un personaggio politico o addirittura un criminale o un terrorista, violando il suo legittimo diritto alla discrezione. Che idea vi siete fatti a cinque-sei mesi da questi fatti? Avete parlato di assedio in questi anni da parte dei curiosi e dei lettori. In un certo senso questo assedio è finito?
Sandro: In parte è finito, ma va un po’ a ondate, a cicli. Lì per lì, ovviamente, è stato molto virulento, poi il pubblico si è stancato. C’è un meccanismo dei media interessante, da questo punto di vista, almeno, quando nel momento culmine rilanciano i “casi” in modo sistematico, in automatico. Proprio quando sembra attenuarsi l’attenzione, i media ritirano fuori la notizia originale anche se non c’è nessun reale aggiornamento. Questo in sé potrebbe anche non essere negativo, un principio di tenacia, di persistenza, anche se nel nostro caso significava voler insistere su un tema che loro considerano interessante e che per noi era semplicemente pazzesco.
Sandra: L’aspetto che abbiamo sempre registrato, in tutti questi anni, è che ai lettori non gliene importava niente dell’identità della Ferrante; ci poteva essere delle volte una lieve curiosità, uno scherzo, ma quello che interessava loro erano i libri, sempre. Quando cerco di spiegarlo ai giornalisti non mi credono. Dicono “ma no, vi sbagliate”, invece questa cosa è stata evidente leggendo le reazioni dei lettori.
Sandro: Aggiungerei ai lettori gli autori, in particolare, cioè la “gente del libro”, abbiamo constatato come questo episodio abbia evidenziato una spaccatura molto forte e generale, che non riguarda solo il caso Ferrante. Da una parte c’è la gente del libro, sostanzialmente i lettori, quelli che ci lavorano, gli autori, gli editori, gli editori stranieri, per tutte queste persone il libro è al centro dei discorsi. Dall’altro lato ci sono i giornalisti, i media, per i quali invece il libro non ha alcun valore, interessano soltanto le biografie degli autori, i casi, lo scandalo, il personaggio, vicende di contorno. Devo dire che gli effetti di questa inchiesta sull’identità della Ferrante hanno avuto conseguenze anche sulla stampa. Per esempio in Francia “Mediapart” di cui ho sentito parlare bene perché fa un giornalismo investigativo di livello, dopo la pubblicazione dell’inchiesta ci è arrivata voce che c’è stata una resa dei conti nella loro redazione, alcuni redattori pare non condividessero lo scoop.
Come avete raccontato in più occasioni siete stati al centro dell’attenzione mediatica. L’impressione è quella di un mondo dell’informazione sempre più distante dalla realtà: da quando è esplosa la febbre per i libri della Ferrante, si è sviluppata una maggiore attenzione al vostro lavoro di casa editrice. Quanti giornalisti vi hanno contattato? Che domande vi hanno fatto? Che cosa hanno preteso? Che cosa avete capito di questo mondo grottesco?
Sandra: Non dico che prima fossimo ingenui, perché lavoriamo da più di quarant’anni nell’editoria, però senz’altro il giudizio sulla “stampa” è ulteriormente peggiorato. Il punto principale per noi, ripeto, è stato capire che davvero non gliene importava niente a nessuno del libro, tra i giornalisti. Forse sono peggio dei politici, non so, delle volte mi sembra che sono più pericolosi.
Sandro: Allargando a un discorso più politico, questo pessimo giornalismo che domina, sta facendo dei guai politici pazzeschi, tant’è che Trump si permette di dire che i giornalisti sono la categoria più falsa, più bugiarda e peggiore che esista in America e nel mondo, e purtroppo ha consenso su questo, giacché ha un fondo di verità. Tra l’altro un giornalismo di questo tipo, fondato su poca serietà, alla ricerca ossessiva del gossip, del pettegolezzo, non osa veramente andare contro il potere ma solo contro gli obiettivi facili. È facile parlarne male, anche da parte della reazione dei demagoghi. Riconosciamo invece che il giornalismo, dovrebbe, potrebbe avere una funzione fondamentale, pensa alla libertà di stampa là dove non c’è. Poi ci sono pure i reporter bravi che vengono ammazzati o minacciati, però purtroppo la maggioranza è così.
Sandra: Mi hanno chiamata un paio di volte nel cuore della notte. Una giornalista americana del “New York Times” una volta ha chiamato da Dubai, quando avevano ipotizzato che la Ferrante fosse Marcella Marmo, la storica napoletana. La cosa curiosa è che sempre questa giornalista ha continuato a dire “io non ne scriverò”, poi abbiamo letto che il “New York Times”, per non restare fuori dalla rivelazione del momento, ne ha parlato per venti giorni ricevendo anche lì molte lettere di protesta dai lettori.
Sandro: Una troupe della televisione francese ci ha fatto anche la posta sotto la casa editrice e mi hanno anche ripreso una sera alle otto mentre uscivo, ma gli ho fatto abbassare la telecamera. La stessa troupe è andata anche sotto la casa che eventualmente avrebbe acquistato Anita Raja, altro che gossip, siamo proprio alla morbosità visiva.
Un altro aneddoto sul livello di serietà dei giornali: ci sono dei mitomani che ogni tanto cercano di prendere l’identità della Ferrante, aprono dei blog oppure pagine Facebook e noi ogni volta dobbiamo smentire. Di recente uno di questi ha scritto al “Mattino” di Napoli una lettera dicendo “sì finalmente lo dico, sono io Elena Ferrante”, e il giornale c’è cascato e l’ha pubblicata.
L’inchiesta di Gatti si conclude con questa motivazione che il giornalista ha ripetuto successivamente varie volte: “Mentendo – o meglio, annunciando che, qua e là avrebbe mentito – a nostro giudizio la scrittrice ha però compromesso il diritto che ha sempre sostenuto di avere (e che comunque solo parte del vasto mondo dei lettori e dei critici le ha riconosciuto): quello di scomparire dietro ai suoi testi e lasciare che essi vivessero e si diffondessero senza autore. Anzi, si può dire che abbia lanciato una sorta di guanto di sfida a critici e giornalisti”. Questa motivazione ci sembra molto debole, una forzatura per giustificare un giornalismo disposto a tutto pur di ottenere le informazioni, anche a punire secondo concetti morali di comodo. Quello che si dimentica è che si parla di opere letterarie che hanno la loro autonomia rispetto all’epoca e anche agli autori e ai lettori: insomma un testo letterario non può essere usato come prova o come giustificazione in un’indagine giornalistica. Non credete che questo sia un pericoloso precedente?
Sandro: Sono d’accordo perché la letteratura è menzogna, o meglio la letteratura è una forma di verità spesso più alta e più importante di quella della cronaca, però non è la verità fattuale. Nell’inchiesta si diceva che non era vero che la Ferrante è cresciuta a Napoli, perché la madre era tedesca, quindi ha mentito. Come si fa a dire che ha detto una bugia per una cosa scritta in un romanzo?
Sandra: Su questo la Ferrante è molto precisa: è necessario, quando si scrive, mentire per poter dire la verità. Questa è una morale sia dell’Amica geniale che della Frantumaglia che non è un’autobiografia, bensì un lavoro sulla scrittura, sulla storia della scrittrice quindi tutto è legittimo. Secondo questa logica folle se ambienti un romanzo nell’Ottocento, allora non sei autentico perché non lavori sul contemporaneo? Sappiamo bene dalla storia della letteratura che le menzogne, le invenzioni servono proprio per essere più contemporanei.
Sandro: Questa cosa che tutto deve essere pubblico è proprio un feticcio: “il pubblico ha diritto di sapere”, mah, secondo me è una bufala tremenda. In genere i giornalisti sono forti con i deboli e deboli con i forti, non rivelano quasi mai le indiscrezioni dei potenti, ma al contrario si fanno gloria di questa cosa del rendere “pubblico”. Un’altra faccia della questione: quando fanno le inchieste sulla camorra, ad esempio, sprecano articoli sui rubinetti d’oro in casa di qualche boss, ma raramente si legge la lista dei beni immobili (case, ristoranti e attività), con i quali veramente c’è il controllo del territorio, zona per zona, quello controlla i ristoranti, quell’altro controlla le cose.