Elegia degli spazi occupati
Incontro con Fulvia Antonelli e Luca Lambertini
Nel 1999 a Bologna viene occupato il cassero di Porta Santo Stefano e nasce Atlantide, uno spazio autogestito caratterizzato dalla presenza di tre collettivi: Clitoristrix – femministe e lesbiche, Antagonismogay/laboratorio Smaschieramenti e NullaOsta. L’obiettivo di Atlantide è quello di aprire un luogo per le autoproduzioni e autodistribuzioni culturali underground – in particolare quelle legate al mondo musicale punk-hardcore – e uno spazio di espressione e autorganizzazione per le soggettività gay, lesbiche, trans, queer, femministe. Nel 2000, con l’occasione delle manifestazioni No-Ocse, una serie di sigle e realtà politiche di movimento cittadine riunitesi sotto il coordinamento di Contropiano, occupano uno stabile abbandonato in via Ranzani 4. Nel 2002 lo spazio – dopo un accordo con il primo sindaco non di sinistra della città Giorgio Guazzaloca – viene trasferito nella sede dell’ex mercato ortofrutticolo dando vita allo spazio sociale autogestito XM24.
Come Atlantide, anche Ranzani e XM24, sono stati spazi caratterizzati da una attenzione particolare alle autoproduzioni culturali e luoghi dove il punk-hardcore – la musica meno commerciale (ed ascoltabile da orecchie sensibili) – trova cittadinanza con tutto il suo portato di etica DIY – Do It Yourself. In sostanza il DIY è l’essenza della produzione culturale underground anni Novanta e 2000. Prima dell’avvento massiccio di internet e della smaterializzazione nell’etere della musica, flyer, volantini, copertine di dischi, fanzine, poster, adesivi, spillette, magliette, libretti, fumetti, manifesti venivano prodotti con macchine da scrivere o a mano e riprodotti mediante ciclostili, fotocopiatrici, tecniche di stampa serigrafiche. Tutto questo materiale rappresentava la forma politica dell’azione diretta dei punk in campo culturale e comunicativo ed era caratterizzato da una forte artigianalità, un deciso sperimentalismo espressivo ed un messaggio che voleva essere provocatorio spesso attraverso una ironia surreale e per nulla consolatoria.
Abbiamo intervistato Francesco D’Erminio alias Ratigher, fumettista, oggi direttore editoriale della Cononino Press, allora membro dei Laghetto, gruppo punk hardcore delirante e della Donna Bavosa Records & Comics, etichetta che fomentava il DIY e in cui pubblicarono fumetti tra gli altri Tuono Pettinato, Blu&Ericailcane, Maicol e Mirco. Il testo seguente è il risultato dello sbobinamento di una chiacchierata via video chat.
Io vivevo a Pavia e l’unica facoltà che non c’era a Pavia era il DAMS e per questo, volendo tornare a Bologna dove ero vissuto fino alle elementari, mi sono iscritto al DAMS Cinema. Custodivo un ottimo ricordo della mia infanzia bolognese e un papà sessantottino che aveva vissuto attivamente la stagione dei movimenti, avevo quindi l’idea di una Bologna dove c’erano ottomila possibilità e sono arrivato tutto carico immaginando di trovare in maniera ingenua una miriade di posti incredibili e persone fantastiche.
All’inizio non è andata così perché prima della fase che ha visto protagonisti i nuovi posti occupati come Atlantide, XM24, assistevo alla fase finale del Livello 57 e del LINk. Insomma sono arrivato nel momento in cui c’erano ancora posti importanti ma erano occupati per modo di dire, molto più simili a veri e propri locali, mantenevano una certa estetica ma ormai avviati verso una sorta di gentrificazione del centro sociale. Ero abbastanza spaesato e poi ho fatto una di quelle cose semplici semplici, ora non si fanno più perché son cambiati i metodi, sono andato in un negozio di strumenti musicali, ho visto un annuncio in cui cercavano un bassista per fare un gruppo “alla Propagandhi”, ho chiamato e ho conosciuto Nico con cui poi fondammo i Laghetto e Nico era amico d’infanzia di Tuono Pettinato (al tempo “Andrea Von Pagiaro”), suo coinquilino. Mi sono subito accorto di quanto era bravo Tuono, faceva dei fumetti tecnicamente ancora ruvidi all’epoca ma era eccentrico, quello che gli vedevo fare era sempre una sorpresa, poi Tuono è sempre stato molto pigro mentre io e Nico eravamo pimpanti, convinti di dover fare duemila cose. A suonare lo abbiamo convinto noi, anzi a “non suonare”, si è rivelato il più grande chitarrista finto mai esistito, questo lo posso dire senza tema di smentite! Il tono bislacco e buffamente dolente dei Laghetto è stato molto influenzato da lui che suonava una chitarra finta in un gruppo hardcore. In quel periodo il giro hardcore era molto politicizzato e sermonico, la prima cosa che saltava all’occhio era che noi non eravamo seriosi e questo era dovuto all’influsso di Tuono che aveva un tocco leggero su tutte le faccende umane, soprattutto le più tremende. Quindi ci siamo all’inizio conosciuti come dei coinquilini, per caso, abbiamo iniziato a suonare insieme, poi io sono andato a vivere a casa loro. Era un mondo di fuorisede, la cosa molto bella di Atlantide era che “finalmente ci sono dei bolognesi tra di noi!” che si sbattono come noi, che sono curiosi di conoscerci. Questi posti erano sempre animati da fuorisede e certe volte il distacco dalla città era grande e deleterio.
Erano gli anni 2000/2001 e in quel momento gli spazi occupati a Bologna non facevano concerti punk hardcore, erano proprio fuori moda, ma in giro per l’Italia c’erano un sacco di gruppi e di realtà che è stato facile convogliare. A XM24 abbiamo organizzato per 10 anni il festival anti-MTV day. Era tutto mosso molto dalla passione per il genere musicale, Atlantide era specializzata nel punk hardcore, a XM24 c’era più varietà. La cosa che univa tutti era che fosse necessario organizzare e gestire ogni dettaglio dei concerti, devolvendo il guadagno per l’organizzazione di iniziative future o altre attività dello spazio, totale aderenza al DIY, questa era la dominante delle esperienze di quel periodo. I posti muoiono ed è giusto che le esperienze non vengano trascinate, mi piace che muoiano facendo il botto, che la loro morte sia fastidiosa e non pacificata. Per me il Do It Yourself è stato salvifico e me lo sono portato dietro, adattandolo alle successive situazioni in cui mi sono trovato, il tentativo di conoscere e saper gestire ogni passaggio della filiera del tuo lavoro, del tuo fare, qualsiasi attività poi tu abbia deciso di intraprendere e soprattutto fare questo senza sfruttare o mentire a nessuno.
Alcuni dei frequentatori di quegli spazi hanno avuto carriere importanti nel fumetto ma non c’era nemmeno l’ombra della competizione, non perché fossimo francescani illuminati, era la situazione, ognuno faceva la sua parte per fare cose belle per sé stesso e per gli altri. Pensando a quelli che hanno venti anni oggi questa è la più grande differenza che mi sembra di percepire: la loro disillusione è arrivata troppo presto, sono tutti illustratori e fumettisti depressi e bisognosi di tante rassicurazioni, noi avevamo molta fiducia in noi stessi e molta spinta nel fare le cose, anche quelle più assurde, anzi proprio quelle più buffe e velleitarie erano il top del piacere. Poi anche io ho partecipato a tante serate e pomeriggi senza senso, ma impari vedendo anche lo spettacolo di un pazzo che nemmeno lui sa cosa sta facendo, senza nessun tentativo di mandare messaggi chiari, era tutto molto istintivo ma con una catena di persone che queste cose le faceva accadere, era un lavoro molto, molto pratico. In uno spazio autogestito devi occuparti di tutto, anche di pulire dopo tre giorni di festival. Per me quelle cose sono state fondamentali, in un momento in cui la tecnica ci permetteva di fare molte cose, ad esempio di fare libri come quelli che facevano le case editrici. Vecchie tecniche che venivano tirate fuori insieme a nuove tecniche. Tutti quelli che sono stati in questi spazi occupati ad esempio sanno fare le serigrafie, era alla portata di un piccolo budget fare prodotti come quelli dell’editoria ufficiale in un periodo in cui l’editoria era un pugile suonato e le tirature erano quasi come quelle delle autoproduzioni. Quando ho avuto accesso ai dati di vendita del mercato editoriale ne ho avuto la conferma. Il tutto non dimenticando che poi è arrivato internet che ha aiutato moltissimo la diffusione delle autoproduzioni, ma in quegli anni sicuramente internet non regolava i rapporti sociali, c’era bisogno di vedersi.
Oggi l’identità alternativa e underground di Bologna – che è stata per lo più sgomberata, stigmatizzata, criminalizzata dalla politica locale che parlava di degrado, rumore e illegalità – viene rivenduta e messa a valore dentro il circuito del turismo culturale. Cosa ne pensi?
Andando via da Bologna ci ho riflettuto a mente fredda e credo che sia un processo in atto almeno dagli anni ’60, ogni volta c’è un filone fervido della controcultura portato per la maggior parte dai fuorisede che poi viene rimasticato e diventa un vanto della città che per prima ha cercato di avversarlo e normalizzarlo. Ora stanno veramente esagerando: può essere che il lago si secchi e non ci sia più nessuno che porta nuova acqua. Negli ultimi anni (da Cofferati in poi) è stata fatta questa operazione in modo davvero arrogante: non permettere la vita di luoghi come Atlantide o XM24 o di altri spazi va tutto a discapito della città e dopo tanti anni che Bologna ha convissuto con queste realtà. C’era ancora in questi posti qualche libertà di movimento, se non si è capito che era proprio quella libertà che faceva accadere le cose nuove e interessanti, io spero che arrivi un periodo nero.
Magari quello dell’occupazione può essere un metodo vetusto, magari ci sono nuove forme di aggregazione attive per i ventenni oggi, però se non ci si muove anche fuori dal perimetro di leggi, delibere, bandi, etc. non c’è creatività capace di immaginarsi cose nuove o veramente rappresentative del loro tempo. A vent’anni è fondamentale, non devi creare danni agli altri ma almeno la tua situazione devi provare a migliorarla. Devi muoverti per forza in zone grigie se non hai tante risorse economiche iniziali, se non sono permesse più zone grigie e si vogliono musealizzare gli ultimi slanci creativi di una città azzerando gli spazi in cui questi sono stati possibili, allora fra un po’ non ci sarà più niente di nuovo. Vivere di revival è roba che non auguro a nessuno.
Bologna era diventata una piccola capitale del fumetto culturale underground alla fine degli anni Novanta?
È stato un momento fecondo con tante cose di diversa natura, c’erano gli albori del graphic novel all’inizio del Duemila a Bologna, un modo diverso di guardare ai fumetti. Io e Tuono con Donna Bavosa e con i Superamici eravamo inclini in realtà ad un altro tipo di fumetto, stava diventando per noi un po’ troppo da intellettuali compiaciuti, però era un confronto molto stimolante. C’è stato un momento di fermento che ha rivitalizzato il fumetto italiano in tutte le sue forme. Bologna ha questi slanci però poi non c’è nessuna destinazione nella città, sei costretto ad immaginarti come un panda da salvare, ma non c’è uno sviluppo industriale, è un approccio assistenzialista dietro a bandi e logiche da borse di studio, lì non ci sono case editrici o realtà che ti permettono di diventare un fumettista più bravo e di vivere del tuo lavoro. Per me questa cosa è stata fondamentale per decidere di andarmene.
Quando sono andato via da Bologna ho fatto dei fumetti più belli perché non avevo l’ansia di sopravvivere, sapevo cosa fare tutte le sere a Bologna, ma di giorno avevo davvero paura di rimanere in un limbo di semi indigenza. Adesso c’è un corso di fumetto all’accademia che cresce ogni anno per importanza, questa mi sembra una cosa molto positiva, ma una scuola non è un’industria. Continua a serpeggiare l’idea che il lavoro artistico sia un privilegio, mi piacerebbe invece che nel ventre di questi lavori obiettivamente più piacevoli e irregolari della media ci sia e sia fondante il rispetto del lavoro e dei lavoratori. Io non voglio guadagnare tanto, non voglio lavorare tanto, però voglio che quello che faccio a livello professionale sia pagato e sostenuto da un sistema assennato.
Le vostre autoproduzioni creavano anche un gruppo di lettori? Oggi il fumetto popolare non è un consumo culturale dell’adolescente, sembra sempre di più un prodotto rivolto ad una nicchia intellettuale di adulti.
In realtà ci sono tante vie diverse, ci sono tanti fumetti che vengono pubblicati online ormai, anche se la forma cartacea rimane un punto d’arrivo. È ad esempio un momento fantastico di sperimentazione sulle meccaniche del racconto per immagini, oggi non ci sono tantissime nuove storie, ma ci sono tanti autori che ragionano su come raccontarle a fumetti, che ragionano sulla grammatica del fumetto. Quello che soffre di più è il mainstream tipo Marvel, i colossi americani hanno deciso di puntare sul cinema, stiamo a vedere che cosa succederà a tutto quel patrimonio di idee.
Oggi i genitori scelgono e controllano molto di più i fumetti che leggono i figli e quindi alla fine comprano quello che piace a loro ma ti assicuro che attraverso i social alla fine i ragazzini arrivano a quello che a loro piace veramente. SIO su Instagram e Youtube è un esempio. Per i dodicenni non è più l’edicola il posto dove vai a cercare i fumetti, ma i social o tutte queste piattaforme come Patreon. Il brutto è che prima c’erano delle riviste come il “Corriere dei Piccoli” o “Il Giornalino” dove trovavi tanti tipi di fumetti, c’erano quelli che ti piacevano di più, ma anche quelli che all’inizio non incontravano il tuo gusto, questi giornali e le loro redazioni ti guidavano stimolandoti, e anche nelle più insospettabili c’erano fumetti che i tuoi genitori non avrebbero approvato. Oggi sui social rischi di andarti a cercare quello che già ti piace. Quello che secondo me non va bene è questo rapporto troppo diretto fra fumettisti e lettori: anche il più inflessibile e misantropo fumettista, se riceve un complimento una reazione ce l’ha, questa cosa ti condiziona, ancora più grave è quando accade il contrario e non ricevi più attenzioni.
La formazione dei Laghetto era così composta: Tuono Pettinato (chitarra giocattolo), John D.Raudo (chitarra e voce), Ratigher (basso e voce) e G.J.Ottone (batteria). Nel testo di una loro canzone dal titolo “Per una estinzione umana ecosostenibile” cantano:
Mi mangio le unghie, mi mangio le mani, mi mangio gli occhi e la cassa toracica.
Non consumerò più niente che non sia me stesso
Per cacciare le ossessioni mi divoro gli organi, per cercare di sparire consumerò la presenza fisica, per distruggere il rimorso mi sono morso le mani e poi un polso ed ho affondato fino all’osso
Non consumerò più niente che non sia me stesso (…)
In una Bologna città del turismo fondato sul cibo, un atto di resistenza in pieno stile punk.
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