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Due poesie

Illustrazione di Frédéric Coché
31 Maggio 2021
Durs Grünbein

Presentiamo ai nostri lettori due poesie di Durs Grünbein, tratte da Il bosco bianco (Mimesis 2021), che raccoglie poesie inedite e il discorso per un premio del comune di Milano in occasione del trentennale della caduta del Muro. Uscito quasi in contemporanea con Schiuma di quanti (Einaudi 2021), a tre anni dalla raccolta di saggi I bar di Atlantide (Einaudi 2018), questo libro è un’ulteriore prova dell’affermazione di Grünbein come poeta rappresentativo della Germania contemporanea, certamente tra i più apprezzati e letti nel resto d’Europa. Ma quale il senso di essere un poeta europeo in questa fase precisa della storia?
Scrive la curatrice Rosalba Maletta che “ogni poeta ha un suo mito fondativo e un destino”. Nato agli inizi degli anni Sessanta a Dresda, Grünbein ha studiato a Berlino dove ha assistito alla nascita della nuova Germania. Come intellettuale attivo e partecipe nel dibattito pubblico, si è schierato contro la politica di AfD e Pegida. Il mito e il destino di Grünbein sono legati alle proprie origini nella forma di un’opposizione cosciente ai regimi. Secondo Grünbein “l’attuale disprezzo dell’Europa in così tanti Paesi e popolazioni del continente richiama un’ombra malvagia, lo spettro del fascismo.” Contro la chiusura dei confini e la reazione dei nazionalismi, la vocazione del poeta umanista è quella del cosmopolita. Accade dunque che Grünbein, nell’occasione di una cerimonia ufficiale, si rechi a Milano e riscopra la città, confrontandosi con un retroterra culturale ed esperienziale simile a quello di altre metropoli e dei suoi luoghi.
Il discorso di ringraziamento con cui si apre Il bosco bianco racchiude alcuni degli strumenti riconoscibili della sua poetica. Ci sono l’ironia e il sarcasmo di Heiner Müller (“l’unico Maestro che mi sia capitato di incontrare”). C’è il confronto con l’architettura, il cinema di Antonioni e Pasolini in un procedimento analogico e fluido, quasi alato, che richiama la prosa di Alexander Kluge. C’è la matrice ecologista, di cui Grünbein è strenuo sostenitore. E c’è soprattutto il dialogo aperto con la storia, la vertigine del tempo dentro cui il poeta getta lo sguardo già al suo arrivo a Milano: quando, di fronte alla facciata della stazione centrale, Grünbein intuisce l’identità di una città lontana nel tempo, probabilmente non più rivelata.
Nelle poesie che costellano il libro troviamo due testi recenti, composti durante la quarantena del 2020. Come spiega Maletta, la poetica di Grünbein rifiuta i fantasmi del tempo, gli Zeitgeist. Al tempo stesso si nutre di fonti molteplici e attuali. Tornano alla mente le parole del poeta in un incontro con gli Asini: “Davvero sono convinto che la poesia sia una sterminata antologia da salvaguardare, perché al suo interno è formulata la rappresentazione stessa dell’umanità. Questo il suo senso: conferisce prospettiva al pensiero ed è forse per questo aspetto che tendiamo inconsciamente a essa come a un mezzo di conoscenza.” Speriamo che i nostri lettori condividano questa opinione, anche in epoca di pandemia.
(Davide Minotti)

Il bosco bianco
Timpani ci si piantarono dinanzi,
quando mettemmo piede nella radura.
Sopra la Fabbrica delle mille torrette
era un azzurro freddo a perdita d’occhio.

Appiglio promettevano loro, le guglie,
piante di pietra, durissima flora.
La pietra fioriva, cirri si sprigionavano,
contrafforti fin dove giungeva l’occhio.

Intorno a noi, accessibile sino al cielo,
si chiudeva un bosco bianco.
Da qui mare e monti giacevano
schierati in una foschia confortante.
(Milano, 2019)

Der weisse Wald. Wimperge bauten sich vor uns auf, / als wir die Lichtung betraten. / Über dem Tausendtürmchenwerk / stand ein kaltes unabsehbares Blau. // Halt versprachen sie, die Fialen, / steinerne Pflanzen, härteste Flora. / Der Stein blühte, Ranken sprühten, / Strebepfeiler so weit das Auge reichte. // Ein weißer Wald schloß sich, begehbar / zum Himmel hin, rings um uns. / Meer und Gebirge lagen, von hier aus / geordnet in einem tröstlichen Dunst.

I dotti d’afflusso d’aria del polmone
Aprile, tutto il giorno che
il merlo strilla nel cortile interno,
come litigasse con la sua natura di merlo.
Aprile e un cielo azzurroghiaccio
che non si ricorderà di nulla,
non di te, non di me.
Un canto, che ne viene?

Con la stretta alla gola, Aprile?
Traversando contrade
un’ombra smisurata si libra
assieme alla paura ancestrale dei pipistrelli.
Volti, gesti si contraggono
in rituale rigidità. Dolorosamente
affiorano i confini della comunità,
nocche nell’acqua fredda.

Nessuno lo ha visto arrivare così,
fulmineo come un incubo che
tutti cattura mentre respirano.
La fantasia di asfissia
dilaga. Pneumonìa
è parola straniera che si aggira
nei corridoi delle terapie intensive.

Nell’albero bronchiale a ogni respiro
si impiglia l’apprensione
per il prossimo. Il Più Vicino.
Come se oramai sapessimo: la morte
arriva sicura, una spinta collettiva
che dà la caccia a tutti i corpi, tutti in rete
li connette.
Raccontaci della primavera, Aprile.

Die luftleitenden Anteile der Lunge. April, schon den ganzen Tag / zetert die Amsel im Hinterhof, / als hadere sie mit dem Amselsein. / April, und ein eisblauer Himmel, / der sich an nichts erinnern wird, / nicht an dich, nicht an mich. / Was soll das werden, ein Lied? // Mit dem Griff an der Kehle, April? / Ein gewaltiger Schatten segelt / mit der Urangst vor Fledermäusen / über die Landschaften hin. / Gesichter, Gesten verkrampfen / in ritueller Starre. Die Grenzen / der Gemeinschaft treten schmerzhaft / hervor, Knöchel im kalten Wasser. // Das hat keiner so kommen sehen, / das ist frisch wie ein Alpdruck, / der beim Luftholen jeden erfaßt. / Die Phantasie vom Ersticken / zieht weite Kreise. Pneumonie / ist ein Fremdwort, das umgeht / in den Fluren der Intensivstationen. // Im Bronchialgeäst verfängt sich / die Sorge mit jedem Atemzug / um den nächsten. Den Nächsten. / Als wüßten wir nun: der Tod kommt / zielsicher, ein kollektiver Trieb, / der alle Körper hetzt, alle vernetzt. / Erzähl uns vom Frühling, April.


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