Desmond Tutu. Quella veste viola

una poesia di Ingrid de Kok
con una nota di Sandro Triulzi
L’Arcivescovo presiede la prima udienza
Il primo giorno,
dopo poche ore di testimonianze,
l’Arcivescovo ha pianto.
Ha appoggiato il capo grigio
sul lungo tavolo
di carte e protocolli
e ha pianto.
Cameramen nazionali
e internazionali
hanno ripreso il suo pianto,
le lenti appannate,
le spalle scosse dai singhiozzi,
la richiesta di aggiornamento.
Non importa quello che pensavate
dell’Arcivescovo, prima o dopo,
dell’accordo, della commissione,
o quello che gli antropologi accorsi
da crimini e dolori meno studiati,
hanno detto del suo discorso,
né quante tesi di dottorato,
libri, e istallazioni ne siano derivate
e neppure se pensate che questa poesia
semplifichi, celebri
idealizzi, mistifichi.
C’era quel lungo tavolo, una veste viola inamidata
e dopo poche ore di testimonianze
l’Arcivescovo, presidente della commissione,
ha appoggiato il capo sul tavolo e ha pianto.
È così che è cominciato.
(da Ingrid de Kok, Mappe del corpo, Donzelli 2008
a cura di Paola Splendore)
Domenica 26 dicembre 2021, a 90 anni, si è spento l’ultimo interprete della lotta contro l’apartheid in Sudafrica, l’arcivescovo anglicano di Cape Town Desmond Tutu, Premio Nobel per la pace nel 1984. La sua veste viola è stata l’emblema della resistenza contro la minoranza bianca al potere nel periodo dell’Emergenza (1985-1990). Furono quel colore viola, e il suo rango di Primate della Chiesa anglicana dell’Africa meridionale, a permettere a un nero come lui (con un “vice” bianco) di non andare in prigione nel Sudafrica dell’apartheid, e di offrire protezione a chi combatteva insieme a lui nei lunghi anni in cui Mandela era detenuto a Robben Island. Desmond Tutu è stato il leader spirituale che ha ispirato un’intera generazione di militanti che hanno creduto e lottato per un Sudafrica multirazziale, la “nazione arcobaleno”, ispirata alla filosofia pan-umana dell’ubuntu e alla cittadinanza condivisa con parità di diritti per tutti. All’interno di una leadership nera a guida ANC (African National Congress) che stentava a confrontarsi con le crescenti richieste dei ‘nati liberi’ (dopo il 1994), è dal pulpito della Chiesa di San Giorgio a Cape Town che l’arcivescovo Desmond Tutu ha tuonato contro le lentezze e i ritardi delle élite al potere in un paese in cui il 54% della popolazione vive ancora in stato di povertà e solo un sudafricano su tre tra i 25 e i 34 anni ha un lavoro. Così i funerali di Desmond Tutu, tenuti il primo di gennaio nella sua chiesa a Cape Town, nella sobrietà da lui voluta (una bara di pino grezzo, niente fiori se non ‘i garofani della famiglia’, niente discorsi ufficiali, una bio-cremazione di idrolisi alcalina, più ecologica del fuoco), ha ricordato alla nazione la semplicità, l’austerità e l’autorevolezza di quell’uomo così diverso dall’élite di governo.
Desmond Tutu si era avvicinato alla vita ecclesiastica dopo essersi dimesso insieme alla moglie Leah dalla scuola missionaria in cui entrambi insegnavano dopo che il governo di H. Verwoerd, nel 1953, aveva limitato l’accesso all’istruzione dei neri e aveva imposto l’uso delle lingue bantu, in sostituzione dell’inglese, nelle scuole per i “nativi”. Da allora, il giovane prelato, attraverso vari incarichi religiosi e di insegnamento, si era fatto apprezzare all’interno della Chiesa anglicana fino a essere nominato, nel 1986, primo arcivescovo nero di Cape Town e primate della Chiesa anglicana dell’Africa meridionale. Convinto della indivisibilità e interdipendenza della condizione umana, Tutu ha sempre combattuto ogni forma di violenza dell’uomo sull’uomo difendendo il simbolismo unitario e plurimo della “nazione arcobaleno” nata, ma non ancora uscita del tutto, dalle ceneri infuocate e distorte della separazione razziale.
Premio Nobel per la pace, Tutu ha fortemente voluto e presieduto i lavori della Commissione per la verità e la riconciliazione (TRC) che per sette anni (dal 1995 al 2002) ha percorso il paese in lungo e in largo, con sessioni aperte trasmesse nelle nove lingue ufficiali del Sudafrica, indagando in profondità nel baratro di violenza collettiva cui l’apartheid aveva condotto vasti strati della popolazione in Sudafrica, e avviare così, nella riconciliazione, il patto di unità nazionale.
A ricordo e omaggio della lunga militanza non partisan di Desmond Tutu per la pace, e del ruolo da lui svolto nel formulare e presiedere la Commissione per la verità e la riconciliazione, abbiamo voluto riportare questa bella poesia di Ingrid de Kok, scritta all’indomani della prima udienza tenuta a East London, nel 1996.
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