Dalla pandemia all’antidemocrazia Juliana Belota

traduzione di Carla Pollastrelli
Gli aiuti di emergenza deliberati dal governo federale [brasiliano] hanno serie difficoltà a raggiungere le popolazioni tradizionali, indigene, insediate sulle rive dei fiumi e sono già in grave ritardo. Con la strategia di distribuzione del sussidio di 1.800 reais il governo “si dà la zappa sui piedi” nella lotta contro la pandemia, provocando affollamenti nelle agenzie della banca di stato; procede a rilento anche la distribuzione di cestas basicas, cioè la fornitura di alimenti di base per un mese a famiglia, della Fundação Nacional do Indio (Funai) – l’organo preposto alla protezione e alla salvaguardia delle etnie indigene.
Ma, al di là della mancanza di assistenza, proprio durante la crisi provocata dalla pandemia, il governo va all’attacco di uno dei diritti essenziali delle popolazioni originarie, ovvero il diritto al proprio territorio tradizionale. Il 16 aprile la Funai ha pubblicato una norma che va a modificare i processi di demarcazione delle terre e autorizza gli invasori delle Terre indigene a frodare i Diritti indigeni e a impossessarsi del loro territorio.
La norma fa parte di un accordo di revisione delle terre indigene proposto dalla “bancada ruralista” (il gruppo di parlamentari della poderosa lobby dell’agrobusiness) al fine di espropriare le Terre indigene e fa seguito alla Misura provvisoria (Mp) – atto del Presidente con autorità di Legge, firmata nel dicembre 2019 – nota come “Mp da Grilagem” (Mp 910, “grilagem” è l’appropriazione di terre pubbliche o altrui con documenti falsi). Questa Misura provvisoria, che attribuisce il possesso di terre pubbliche agli invasori, per mantenersi in vigore, avrebbe dovuto essere votata dal Congresso nazionale entro il 19 maggio.
Tuttavia il 7 maggio la Corte suprema (equivale alla nostra Corte di cassazione) ha determinato la sospensione della norma della Funai del 16 aprile. Pertanto fino al termine della pandemia sono sospese quelle misure legali che vanno a incidere sulle terre indigene (nel frattempo è stata sospesa anche la votazione della Mp 910).
Per la leader indigena Sonia Guajajara è chiaro che la Corte suprema non concorda con questa misura del governo che si configura come un attacco per incoraggiare “malvagità” nel momento di massima vulnerabilità, quando tutti sono impegnati nella lotta contro la Covid-19. “Il governo ci sta cacciando, sta sacrificando le etnie indigene dentro i loro territori proprio quando abbiamo bisogno dell’isolamento sociale, della protezione del governo di fronte alla situazione di crisi”.
Il procuratore della repubblica Marcia Brandão Zollinger afferma che la Funai ha assunto un ruolo contrario alla sua natura giuridica e al quadro legale e costituzionale dei diritti delle etnie indigene. “La Funai doveva prodigare ogni sforzo pubblico per difendere e garantire i diritti e per proteggere queste popolazioni, in particolare per quanto riguarda il diritto alla salute e l’identificazione dei loro territori”.
Atl (Accampamento Terra Libera) virtuale “occupa gli schermi” e denuncia la politica “genocida” degli uffici che funzionano in smart working
Nella situazione di crisi provocata dalla pandemia le organizzazioni indigene affermano di non poter rispondere alle misure del governo federale dal momento che non possono essere fisicamente presenti a Brasilia.
L’Accampamento Terra Libera, evento più importante del dibattito in corso tra le etnie indigene, si è tenuto durante la commemorazione del 19 aprile scorso (Giorno dell’Indio in Brasile) in forma virtuale, in uno spazio di interventi e discussioni che si amplifica nelle reti sociali.
“Nel momento in cui i nostri territori sono in vendita, ‘occupiamo gli schermi’ nel nostro Accampamento virtuale” – ha detto la leader indigena Sonia Guajajara. Promosso dalla Associazione delle Etnie Indigene del Brasile (Apib), alla presenza compatta dei capi indigeni, l’incontro ha portato alla decisione in favore di un’azione giudiziaria presso la Corte di cassazione, azione che – almeno fino alla fine della pandemia – garantisca pace agli Indios.
L’Apib, con il suo direttore Dinamam Tuxa, ha denunciato il tentativo di espansione della politica genocida di Bolsonaro durante la massima crisi dovuta alla pandemia, mentre gli uffici stanno funzionando in smart-working: “Proprio quando ci troviamo nel processo di isolamento sociale e discutiamo del lockdown nelle principali città del Brasile, il governo federale si avvale di politiche che si sovrappongono ai riferimenti normativi delle Terre indigene tramite l’azione di uffici che funzionano in smart-working”.
Secondo Dinamam Tuxa, le connessioni live all’incontro virtuale hanno raggiunto 50mila persone in luoghi dove il movimento non era ancora arrivato, comprendendo comunità internazionali. Tema principale del dibattito è stata la politica di oppressione e sterminio e questa misura allarmante che rivela come il governo stia intensificando la sua azione contro i diritti degli indigeni. Per Dinamam si tratta di “farneticazioni” del presidente attuale e di tutta la sua équipe compreso il presidente della Funai. Un ulteriore atto di viltà da parte del governo federale nel momento di maggior fragilità delle etnie indigene a causa dell’emergenza dovuta alla Covid-19.
Sebbene la Corte di cassazione abbia sospeso la norma relativa alle terre indigene non ancora demarcate dalla Funai, e il Congresso nazionale abbia rimandato la votazione di convalida della Misura provvisoria 910, è proprio questa Mp che suscita grande preoccupazione tra gli Indios. La Mp intende regolarizzare le occupazioni illegali nel paese, permettendo ai criminali che disboscano l’Amazzonia e commettono vari reati di rimanere nelle aree occupate pagando un prezzo assai inferiore a quello di mercato.
Secondo Tatiana Versiani della Procura Generale di Rondonia, la Mp 910 è un’amnistia per reati complessi di invasione di terre pubbliche. “Si tratta di vere e proprie organizzazioni criminali armate che minacciano le popolazioni che occupano la terra secondo il diritto: indigeni, quilombolas (comunità di afro-discendenti) e abitanti della foresta che lavorano con risorse naturali”.
Se la Mp sarà approvata alla fine della pandemia, questa catena criminale legata ad attività illecite come l’estrazione non autorizzata di legname, che genera riciclaggio di denaro, sarà premiata dal governo.
“Premiando queste attività il governo legittima coloro che ‘ripuliscono la terra’, uomini armati assunti per far allontanare coloro che producono e occupano quella terra da generazioni. Queste persone agiscono in modo violento e criminale contro le popolazioni indigene” dice Dinamam Tuxa.
Tuxa ricorda che la questione della violenza contro le popolazioni indigene per appropriarsi delle loro terre era un tema superato grazie alla Costituzione del 1988, il che è motivo di perplessità per il movimento indigeno. “La Costituzione brasiliana contiene due articoli che riconoscono i diritti delle popolazioni originarie sui loro territori”.
Secondo l’analisi delle organizzazioni indigene, se non si farà niente per impedire che la politica nei confronti degli Indios segua questa direzione, nel prossimo futuro i conflitti fondiari tra indigeni e non-indigeni diventeranno più acuti. “Le etnie indigene non rinunceranno a ricorrere ai mezzi di resistenza di cui dispongono per difendere i loro territori e questo potrà peggiorare ulteriormente gli effetti della pandemia”, afferma Tuxa.
Resistenza indigena alla pandemia
A fronte delle omissioni criminali del governo Bolsonaro rispetto alla protezione della vita delle etnie indigene, durante la pandemia da Covid-19, l’Apib ha organizzato una Assemblea nazionale di resistenza indigena con l’obiettivo di definire un piano specifico per far fronte alla pandemia nella drammatica realtà degli Indios.
Finora le popolazioni indigene non sono state incluse nelle politiche pubbliche per l’emergenza – ospedali da campo, disponibilità di letti in unità di terapia intensiva – né all’interno della stato di Amazonas, nelle regioni di maggior concentrazione di Terre e Etnie indigene, né nelle città.
“Abbiamo colto, nella struttura dello stato, un ‘razzismo istituzionale’ che è latente, ma si manifesta nel negare l’assistenza agli indigeni colpiti dalla pandemia, soprattutto a quanti vivono in un contesto urbano”. È ancora Dinamam Tuxa che parla: “La politica a cui assistiamo oggi, in Brasile, consiste nell’‘istituzionalizzazione’ del genocidio”. In qualche modo era una tendenza esistente da molto tempo, ma nel governo Bolsonaro si concretizza in azioni come il non prendere posizione chiara rispetto all’aiuto necessario agli indigeni nell’emergenza.
I capi indigeni criticano la base dello sviluppo economico del paese che ha sempre costituito una minaccia di sterminio per le loro comunità. “Non ha senso parlare di Coronavirus, di pandemia, mentre il governo continua ad agire in questo modo. Per noi, la lezione della pandemia vuol dire una revisione del modello economico, storicamente predatorio e oppressore”, afferma Guajajara.
L’Assemblea nazionale della resistenza indigena apre un fronte di lavoro insieme ai parlamentari indigeni e ai militanti della loro causa per garantire assistenza agli Indios, durante la pandemia. “La crisi sanitaria ha reso ancora più grave il quadro di violenze patite dalle etnie indigene”, dichiara Tuxa.
In un suo documento l’Apib ha reso noto che, solo nell’ultimo anno, 150 terre indigene hanno subìto circa 160 invasioni e i crimini commessi da trafficanti di legname, missionari, garimpeiros (cercatori d’oro di frodo) e grileiros (quanti si appropriano della terra con documenti falsi) si aggravano grazie agli incentivi del Governo Bolsonaro. Non soltanto negli ultimi anni sono aumentati gli assassini di leader indigeni, adesso uccide anche il Coronavirus. Trentotto etnie indigene sono già state colpite dalla Covid-19 direttamente. Se si considera che i dati sono certamente sottostimati, i 92 morti indigeni e i 446 casi registrati a oggi vanno probabilmente moltiplicati per dieci.
“Noi etnie indigene stiamo correndo il rischio di un vero e proprio genocidio a causa della politica di sterminio praticata durante la pandemia. Senza il sostegno del governo, senza aiuti di emergenza, con difficoltà estreme nelle aree più isolate del paese e con un sistema di salute pubblica collassato, non sappiamo a chi ricorrere di fronte alla propagazione del Coronavirus nelle Terre indigene”, afferma ancora Tuxa.
Il governo federale “si dà la zappa sui piedi”
Finora solo il 13% delle persone ha avuto accesso alla piattaforma di aiuti di emergenza agli indigeni, si tratta di un sussidio di 1.800 reais diviso in tre rate mensili di 600 reais (circa 94 Euro). Gli affollamenti in file interminabili agli sportelli della Caixa economica federal (la banca nazionale) sono crudeli e vanno contro le strategie di contenimento della malattia. È una situazione assurda, da parte del governo federale è come “darsi la zappa sui piedi”.
Secondo la maggior parte delle comunità, questa modalità di accesso agli aiuti, tramite gli sportelli della Caixa economica federal, in Amazzonia espone i villaggi al virus. Il suggerimento dei leader indigeni è che il governo inoltri gli assegni direttamente nei villaggi. Se non si adotterà questa soluzione, la maggior parte degli Indios brasiliani – che opera nel mercato del lavoro informale nel contesto urbano o rurale – rimarrà priva del sostegno del governo, mentre nelle Terre indigene l’isolamento sociale, iniziato il 12 marzo, comporta già ora l’impossibilità di gestire risorse da parte degli indigeni, in gran parte dediti al commercio di prodotti agricoli e artigianali.
“Senza soldi per garantire la nostra sicurezza alimentare e l’uso di dispositivi per la protezione individuale, senza la possibilità di andare a pesca e a lavorare i campi, noi indigeni siamo abbandonati alla sorte”, afferma il presidente dell’Associazione dei Caciques de São Paulo de Olivença.
È quanto sta succedendo anche nel contesto urbano di Manaus, capitale dello stato di Amazonas. Le istituzioni di autogoverno, localizzate nei quartieri indigeni, affermano di non aver ricevuto nessun tipo di sostegno dal governo, in nessuna delle sue articolazioni: municipale, dello stato o federale.
Subordinata a Sergio Moro, che si è recentemente dimesso dalla carica di ministro della Giustizia, la Funai ha ricevuto 11 milioni di reais (circa 1.760mila euro) in risorse di emergenza da destinare alla protezione degli indigeni contro la Covid-19. Ma, all’inizio di maggio, non aveva speso nemmeno un centesimo.
La Funai, pur rifiutandosi di dare spiegazioni alla stampa per il ritardo, ha inviato un documento ufficiale ai suoi Coordinamenti tecnici locali – che agiscono di concerto con i villaggi – informando che si stava attivando per rendere fattibile la consegna di rifornimenti di cibo alle famiglie indigene. 154.397 famiglie dovranno ricevere 308.794 rifornimenti di cibo (due per famiglia), il problema è che la data prevista per la prima consegna è il 29 maggio, quando il picco della pandemia dovrebbe essere passato.
Alla fine di aprile Funai ha consegnato solo 5.000 rifornimenti di cibo a São Paulo de Olivença, una città con 76mila indigeni – il maggior numero in Brasile – nella regione critica del bacino dell’alto rio Solimões.
Lo scorso 5 maggio la procura federale dello stato di Amazonas ha promosso un’azione civile intimando alla Funai l’invio dei rifornimenti di cibo con procedura d’urgenza nel termine massimo di cinque giorni. La procura ha determinato inoltre l’attivazione di aiuti di emergenza differenziati per le etnie indigene, con la consegna di assegni nei loro villaggi per evitare che si mettano in viaggio verso la città.
“È assurdo dire che devono rimanere nei loro villaggi, se manca il cibo” ha detto il procuratore della repubblica Fernando Soave.
Nell’azione giudiziaria risulta che la mancanza di alimenti e l’allontanamento degli indigeni dai loro insediamenti in cerca di aiuto siano incentivi alla propagazione della epidemia, determinati dal potere pubblico a causa di politiche errate e non adatte al contesto degli Indios.
Abbandono e negligenza contraddistinguono la politica pubblica di protezione per le etnie indigene
Mentre si dispiega l’azione inefficace del governo federale di fronte all’avanzare della pandemia tra le popolazioni indigene, la contaminazione ha già raggiunto i loro villaggi in tutto il Brasile. Secondo il Coordinamento delle organizzazioni indigene dell’Amazzonia Brasiliana, solo nell’area dell’Amazzonia oltre venti etnie sono già state colpite.
In totale, lo stato di Amazonas contava al 14 maggio 17.181 casi confermati, 1235 morti per Covid-19 e 1365 nuovi casi in 24 ore. Su 62 municipi, 52 contano già casi di infezione, il che è assolutamente tragico, se si considera la difficoltà logistica nel portare aiuto a queste popolazioni.
Lo stato di Amazonas è tra i cinque stati brasiliani con il maggior numero di morti per Covid-19. Il comune di São Gabriel da Cachoeira, nel bacino dell’alto rio Negro, con 31mila indigeni, ha divulgato ieri un comunicato sulla totale mancanza di condizioni per assistere gli indigeni negli ospedali. Il sindaco, malato di Covid, ha decretato il blocco della circolazione in città, il cosiddetto lockdown, e ha già autorizzato l’apertura di un nuovo cimitero.
Nella zona dell’alto rio Negro è stato attivato un Comitato di crisi interistituzionale con l’obiettivo di far fronte alla pandemia tra gli indigeni, mentre il Coordinamento indigeno di Pari-Cachoeira ha dichiarato la mancanza totale di sostegno agli Indios della regione,
l’Ufficio preposto alla Salute indigena (Sesai/Sus) ha comunicato – come riferisce il cacique Tukano Ozéias Marinho – che il governo federale non dispone di risorse per fornire di materiali di protezione individuale gli indigeni di Pari-Cachoeira, città satellite di São Gabriel da Cachoeira. “Il sostegno della Sesai si è limitato a un’azione di informazione rivolta alle popolazioni indigene nei loro insediamenti tramite i Distretti Sanitari di Salute, mentre sentiamo la mancanza di una strategia efficace di protezione e di controllo della pandemia che ci assista nei nostri villaggi”, afferma Ozéias.
Kokama: l’etnia con il maggior numero di morti in Brasile
La situazione degli indigeni nel bacino del medio e alto rio Solimões è ancora più grave che sul rio Negro, questa regione conta il maggior numero di casi e di morti indigeni da Covid-19. Il primo caso di infezione si è registrato tra i Kokama, etnia con il maggior numero di contaminati e morti registrati nei villaggi.
Il 3 maggio scorso, i Kokama hanno diffuso un manifesto: “Noi, popolo Kokama chiediamo aiuto, stiamo morendo! (…) Chi risponderà della perdita dei nostri anziani e dei nostri maestri?” Il manifesto di denuncia si rivolge ai media nazionali e internazionali: “Noi, popolo Kokama, abitanti originari del bacino dell’alto e medio rio Solimões, vogliamo denunciare la negligenza del potere pubblico nella lotta contro la Covid-19 in questa regione in cui è stata dichiarata la contaminazione comunitaria. Il sindaco di Tabatinga e il Distretto sanitario speciale indigeno di zona hanno già comunicato che la situazione è fuori controllo”.
I Kokama segnalano che i loro insediamenti si trovano in una regione di frontiera con Perù e Colombia con grande mobilità terrestre e fluviale e che le autorità non hanno intrapreso le azioni necessarie nemmeno per bloccare la circolazione delle persone. Secondo le informazioni del capo del Consiglio tutelare indigeno, le grandi imbarcazioni hanno smesso di circolare, bloccate dal governo che però non riesce a controllare le canoe che scendono lungo il fiume di notte e continuano a circolare.
Il comune di Tabatinga è stato tra i primi il cui sistema sanitario è collassato, con il 100% dei letti occupati. Negli altri comuni del bacino dell’alto rio Solimões mancano sia Unità di pronto soccorso che Unità di terapia intensiva per poter accogliere i pazienti di Covid-19. Il Procuratore federale ha attivato un’azione giudiziaria, anche a Tabatinga, in cui si esige che il governo federale allestisca un ospedale da campo per assistere le popolazioni indigene, si esige inoltre che nella registrazione dei decessi si specifichi quando si tratta di indigeni.
Caos urbano: popolazioni che vivono in città in condizioni di completa vulnerabilità
Non è diversa la situazione degli indigeni che vivono nelle città, lontano dai villaggi. La capitale Manaus concentra il 51,7% di tutti gli abitanti dello stato di Amazonas. Tra loro, circa 36mila sono indigeni, residenti in 54 comunità dislocate nel territorio urbano.
La situazione di Manaus è la peggiore di tutto il Brasile. Secondo i caciques delle associazioni di residenti indigeni, nei quartieri tra il 70 e 90% degli abitanti hanno avuto sintomi di Covid-19. Dal momento che non si sono fatti test specifici, l’Assessorato alla sanità dello Stato di Amazonas ha divulgato un comunicato con l’informazione che potrebbe trattarsi di una sindrome influenzale concomitante con la pandemia. La buona notizia è che la grande maggioranza degli indigeni, pur presentando gravi sintomi come difficoltà respiratorie, si è ripresa grazie alla medicina tradizionale.
In questo periodo dell’anno, nello stato di Amazonas, girano nei quartieri i medici addetti alla vaccinazione antinfluenzale per gli abitanti oltre i 60 anni Si sono verificati casi di medici dell’Unità di Base Sanitaria, addetti alla vaccinazione, che si sono rifiutati di assistere persone malate a casa che avevano chiesto aiuto.
Il Coordinamento delle organizzazioni delle etnie indigene di Manaus e dintorni ha denunciato il fatto che, per gli organi pubblici responsabili della diffusione dei dati relativi alle vittime della Covid-19, le comunità indigene sono “invisibili”. “Non esiste menzione di alcun tipo di regolamentazione specifica per la popolazione indigena urbanizzata. La politica separa e distingue in modo illegittimo e prevenuto la popolazione indigena dei villaggi da quella urbana, trascurando quest’ultima e la sua condizione etnica”. (Se l’identità etnica non è rilevata e registrata, gli Indios non possono accedere ai diritti loro garantiti dalla Costituzione, come il diritto alle Terre indigene, all’assistenza sanitaria, alla pensione o ad altre provvidenze).
Le istituzioni indigene di autogoverno hanno inviato un documento alle autorità in cui si esige la definizione di un protocollo nazionale contro la Covid-19 specifico per le popolazioni indigene urbanizzate; si chiede inoltre l’allestimento di un ospedale da campo esclusivo per gli abitanti indigeni che dovrebbero essere inclusi anche nella distribuzione di “cestas basicas” e di aiuti di emergenza.
“Non voglio parlare di Impeachment, ma di come salvare vite”, dice il sindaco di Manaus
Con riferimento alla crisi latente del governo e al possibile impeachment di Bolsonaro, durante la crisi della pandemia, e soprattutto al sostegno finanziario da destinare agli stati e ai comuni, il governatore dello stato di Amazonas e il sindaco di Manaus hanno dichiarato che, in questo momento, qualsiasi aiuto che non sia urgente non è un aiuto. Tuttavia, l’aiuto emergenziale agli stati e ai comuni da parte del governo federale, sebbene non possa mancare, arriverà comunque tardi.
Dopo una partita complessa di pregiudiziali e rilanci, la proposta approvata dal Congresso nazionale che prevedeva l’erogazione entro il 15 maggio di 60 miliardi di reais (9,6 miliardi di euro) destinati agli stati e ai comuni (di cui 10 miliardi da devolvere esclusivamente ad azioni di contrasto alla pandemia nell’ambito della sanità: suddivisi in 7 miliardi agli stati e 3 miliardi ai comuni) ha subito il veto del presidente Jair Bolsonaro.
Il veto del presidente ha a che vedere con la possibilità di adeguamenti salariali ad alcune categorie di funzionari pubblici che inizialmente veniva espressamente vietata per 18 mesi come condizione per l’attivazione del sostegno finanziario; peraltro sono stati esponenti legati proprio a Bolsonaro che hanno imposto la possibilità di tali adeguamenti salariali. E alla fine il presidente ha posto il veto…
In questa situazione di stallo, nello stato di Amazonas, le autorità municipali e dello stato hanno dichiarato che la capitale Manaus e la regione hanno bisogno di maggiore attenzione e meno burocrazia. “Non possiamo aspettare le attrezzature tutta la vita”, ha dichiarato il sindaco Arthur Neto. “Mi hanno mandato bare e le sto rimandando indietro, perché non è di bare che abbiamo bisogno. Vogliamo medicinali, dispositivi per la protezione individuale e quanto è necessario per affrontare questa pandemia”.
Il sindaco ha parlato anche della situazione politica, ha criticato il comportamento e le dichiarazioni del presidente. “A quel che sembra l’obiettivo di Bolsonaro non è combattere la pandemia”.
Al contrario del presidente, il sindaco di Manaus difende l’importanza dell’isolamento sociale per tentare di ridurre l’impatto della pandemia nello stato di Amazonas. A suo parere Manaus non ha ancora toccato il picco della diffusione della malattia.
Conflitto tra i poteri
I media e le istituzioni brasiliane stanno reagendo nei confronti dell’attitudine irriverente e, per molti, irresponsabile del presidente in relazione alle misure necessarie per fronteggiare la crisi sanitaria in Brasile. Bolsonaro è apparso in varie occasioni, nelle strade e nelle piazze, provocando assembramenti di persone, senza mascherina, dichiarando la sua insofferenza per il Congresso Federale e la Corte Suprema. “Non ammetteremo interferenze nel governo”, ha dichiarato.
Alcuni esponenti della Corte di cassazione si sono pronunciati a questo proposito: per il ministro Luiz Roberto Barroso è preoccupante il fatto di invocare l’intervento delle forze armate a sostegno del governo. L’esercito è una istituzione dello stato – ha affermato – subordinata alla Costituzione e non è in alcun modo vincolata ad alcun governo. “Le forze armate non devono sottostare ai giochi della politica”.
Anche Alexandre de Moraes, ministro della Corte di cassazione, ha dichiarato che il comportamento di Bolsonaro è inaccettabile. “Il presidente non è concentrato nella lotta contro la pandemia, mentre in Brasile 10mila persone al giorno risultano contaminate”.
A conclusione del suo discorso il ministro è stato tassativo: “mentre le entità dello stato federale continuano a litigare per via giudiziaria o sulla stampa, è la popolazione a soffrire. Alla popolazione non interessa la suddivisione tra competenze amministrative o legislative, ma vuole un orientamento sicuro per poter disporre di salute, sicurezza, lavoro e speranza per poter far fronte alla fase di recupero”. Il ministro de Moraes ha segnalato inoltre che l’azione del governo deve fondarsi su regole tecniche di sanità pubblica, riconosciute a livello internazionale, e non su opinioni o pseudo monopoli di potere e di autorità.
Infine è il caso di riferire le parole del Presidente della Suprema Corte, ministro Dias Toffoli; il suo discorso è centrato sulla questione del conflitto tra gli enti federativi e afferma la necessità del dialogo da parte del presidente con i governatori degli stati e con i comuni al fine di controllare la pandemia, dicendo chiaramente che è compito di ogni stato della federazione guidare il processo di controllo dell’espansione della Covid-19 e determinare il periodo di isolamento.
“La decisione della Suprema Corte di cassazione è rispettare le competenze dell’Unione – gli stati federativi – e le competenze nazionali di guida relative alle attività essenziali”. Il ministro ritiene peraltro che le misure adottate dalle istituzioni brasiliane siano state efficaci nel far sì che il paese non si ritrovasse in una situazione di calamità pubblica tale da provocare disordini strutturali nella società.
Alcuni giornalisti hanno criticato gli attacchi del presidente Bolsonaro mettendo in chiaro che non è la Corte suprema a determinare l’autonomia dei comuni o degli stati nella gestione della crisi, ma la Costituzione brasiliana. Si direbbe che il presidente non lo capisca o, in altre parole, come ha detto Fernando Gabeira, un politico, “nel momento in cui esercita una pressione sulla Corte suprema non capisce che non è possibile esercitare una pressione sulla Corte suprema per poter disobbedire alla Costituzione”.
Secondo Gabeira, l’unica via di uscita per il presidente Bolsonaro è non perdere ancora una volta l’occasione e cercare il dialogo con gli stati per individuare possibili soluzioni a questa situazione. Ma in Brasile, di questo ancora non si vede traccia.
Juliana Belota, sociologa, giornalista, vive a Manaus, è impegnata in una ricerca sul campo con le comunità indigene nel bacino dell’alto rio Solimões. (Le informazioni contenute nel testo sono aggiornate al 14 maggio 2020; va segnalato tuttavia che la situazione muta costantemente: sia sul fronte della pandemia che della lotta politica).