Come sopravvivere alla valutazione al tempo del Covid. Manuale per docenti, studenti e genitori

L’articolo che pubblichiamo di seguito è un contributo della Rete scuola saperi e cura sul tema della valutazione a scuola al tempo del Covid 19. La rete, formata da insegnanti genitori e studenti, è nata a Napoli durante la pandemia con l’intento di ripensare radicalmente l’educazione e la cura come processi sociali complessi e campi di battaglia sui quali si giocano il presente e il futuro, non solo della scuola. Ci sembra che, nel tempo di emergenza che viviamo, il tema del “giudizio” sui bambini e i giovani e la forma che esso assume a scuola sia uno dei nodi centrali dei quali peraltro si discute poco o lo si fa a partire da approcci nel migliore dei casi superficiali. A dispetto di quanto viene affermato nelle norme e nei discorsi ufficiali, la scuola è preda di una ossessione valutativa, intenta alla somma e alla misurazione delle cosiddette competenze, un furore che non riesce a fermarsi nemmeno davanti ad una crisi globale come quella che attraversiamo. È la prova che il ceto pedagogico ne è soggiogato avendo assorbito la pratica del “valutare e punire” come unico modo possibile. Intento della rivista è (anche) quello di dare spazio a quei gruppi che provano ad uscire da questo pensiero “a una dimensione”. (Gli asini)
“Se c’è una cosa che l’emergenza sanitaria ha messo bene in evidenza è la differenza tra ciò che è veramente indispensabile rispetto a ciò che non lo è. Niente più lezioni, voti, niente più test INVALSI, simulazioni o addestramenti, niente più Alternanza Scuola Lavoro, niente più verifiche. Dopo una prima sensazione di straniamento, è stato presto chiaro quello di cui si sentiva veramente la mancanza: la relazione umana, tra studenti e insegnanti, tra studenti e studenti. Anche se mediati o surrogati attraverso tecnologie più o meno efficaci, sono stati il dialogo e l’interazione ciò che abbiamo cercato e tentato subito di riprodurre.” (Rossella Latempa, 31/03/2020)
“…Dritti come treni, noi. Il programma il programma il programma (qualsiasi cosa voglia dire). Le verifiche le verifiche le verifiche. Eh, ma sul registro ho pochi voti! Devo ancora finire il programma dell’anno scorso!…Pensare al programma mentre fuori c’è una pandemia, con le sirene dell’ambulanza che ti passano sotto mentre spieghi il passato remoto, è come pensare a lucidare le maniglie mentre la nave va giù. Cosa si fa, quando fuori c’è tempesta? Ci si porta in salvo. Si resta uniti. Ci si raccontano storie. Si cerca di ridere, ridere il più possibile, è questo che fai se fuori c’è tempesta e la nave oscilla forte. Ti tieni stretto a tutto ciò che ti tiene vivo. Loro come noi sono stanchi di tutto questo, ma loro in più di noi hanno una domanda, che se ti sporgi abbastanza riesci quasi a sentire: ma perché andate dritti come se nulla fosse? Perché non ci chiedete come la vediamo? Come stiamo? Cosa pensiamo? Perché non fermate tutto per un attimo, e trasformate questo tempo in un tempo diverso?” (Enrico Galiano, 23/01/2021).
1. Premessa
Un’intera generazione di bambin* e ragazz* attraversa un momento di difficoltà che non ha paragoni se non con gli ultimi anni della II guerra mondiale, una crisi sanitaria e sociale di livello mondiale, eppure dimostra un livello di responsabilità e compostezza inatteso.
Eppure, di fronte a ciò, sentiamo crescere il lamento per cui si sarebbero persi dei mesi preziosi, che i ragazzi dovrebbero recuperare i vuoti generati dalla didattica a distanza. Qualcuno parla di necessità di recupero formativo, di prolungare l’anno scolastico, di “ristori” per l’istruzione…. Ai docenti si chiede di utilizzare sgangherati criteri di valutazione quali “videocamera accesa, videocamera spenta”, “si collega/non si collega”, a volte, tragicomicamente, “si collega col pigiama”!
Allora fermiamoci, smettiamo un momento di lucidare gli ottoni, riflettiamo su quello che è accaduto nelle scuole relativamente alla valutazione in questo lungo periodo di epidemia da Covid 19, ma soprattutto su cosa è accaduto ad una generazione: prima reclusa, poi accusata, poi “usata” politicamente, sempre trascurata. La storia della pandemia che attraversiamo può essere letta (anche) come un processo di progressivo abbandono di massa dell’infanzia e dell’adolescenza.
Per quanto ci riguarda, noi vogliamo chiarire subito che non ci accodiamo alle tante voci che chiedono di recuperare il tempo perduto per meglio sfornare un capitale umano sufficientemente docile e “competente”, come si conviene a una “buona scuola” funzionale al mercato. Il tempo perduto non è quello dedicato al conteggio delle ore di lezione erogate e alla misurazione delle performance degli studenti attraverso test, ma è quello della condivisione dei saperi, che accade solo quando ci si confronta e si cresce insieme.
2. La valutazione ai tempi del Covid: a.s. 2019-2020
Lo scorso marzo, all’indomani della improvvisa chiusura delle scuole a causa della pandemia, il ministero lanciava l’hashtag #LaScuolaNonSiFerma, che in molti hanno inizialmente letto come un riconoscimento ai tanti docenti che cercavano ogni strada per non abbandonare gli alunni chiusi in isolamento, sperimentando percorsi per mantenere viva la relazione educativa, e agli sforzi di tutte le comunità educanti – studenti, personale ATA, genitori – per tenersi insieme. E invece no! Il Ministero avviava una grande campagna di “normalizzazione” nelle scuole, una ridefinizione delle pratiche didattiche e valutative attraverso un netto sbilanciamento in favore della digitalizzazione e del servizio “on demand”, che sarebbe poi stato ridefinito come “didattica digitale integrata”. Tutto ciò è diventato molto chiaro quando alla fine dell’anno scolastico, spazzate con un colpo di spugna le immagini dei camion che sfilavano carichi di casse di morti, si è improvvisato un esame di maturità descritto come “facilitato”, quasi che chi si fosse diplomato così avrebbe un giorno un po’ dovuto vergognarsene. Facilitato perché non prevedeva gli scritti, ma un maxi-orale con commissione interna e presidente esterno. La retorica che ha accompagnato questo esame è stata quella di un saluto in presenza dopo mesi di lontananza, perché si veniva fuori da un lockdown impegnativo. Ma così non è stato! Invece di recuperare l’essenziale, di farsi raccontare quello che gli studenti avevano elaborato, gestendo spesso da soli e comunque in modo forzato e inedito le loro tappe di maturazione, sono stati tartassati e torturati perché, come la ministra Azzolina ripeteva e la cattiva coscienza di ceto di tanti insegnanti rispondeva, bisognava essere “seri”. La serietà ha significato troppo spesso, misurazione, normalizzazione, occultamento del tempo e delle contraddizioni che tutti viviamo, mera burocrazia. L’esame “facilitato ma serio” che ha chiuso l’anno scolastico 2019/2020 è stato crudele, inutile e vessatorio.
Parallelamente, l’esame di stato interamente on line previsto per la chiusura del primo ciclo (la cosiddetta terza media) non ha conservato neppure la retorica del saluto in presenza tra alunni e docenti dopo mesi lontananza, confermando la scarsa considerazione nella quale la delicata fascia di età in questione è stata tenuta durante i mesi di chiusura.
Da ultimo, negli scrutini finali di tutte le classi in tutti gli ordini di scuola, si è proceduto, tra le lamentazioni da parte di molti docenti e dirigenti per la presunta “sanatoria di massa”, a modulare i voti secondo gli sterili criteri citati sopra (“assiduità e frequenza nei collegamenti”, “comportamento consono durante le videolezioni”…). I recuperi sono stati previsti ma in forma tardiva, in itinere e spesso in modalità on line: in altre parole, si è preteso di curare un male con la stessa malattia. Dopo mesi di improvvisazione didattica di cui gli alunni (ai quali fino a primavera inoltrata era stato detto di non preoccuparsi, perché si sarebbe tenuto conto della straordinarietà della situazione) sono stati di fatto delle cavie. Un’operazione di rimozione e mistificazione che è l’esatto contrario di ciò che dovrebbe essere la didattica, il peccato originale delle “pedagogie” standardizzanti che mettono al centro le procedure e trascurano il soggetto, rendendolo, di fatto un “oggetto” da analizzare/pesare/verificare per poi “aggiustare”.
3. La valutazione (intermedia) al tempo del Covid – a.s. 2020-2021
In estate questa rimozione è continuata, al grido di “Liberi tutti!”, a settembre ci siamo ritrovati a scuola in condizioni assolutamente inadeguate. Una nuova ondata di contagi e quarantene ci ha travolti e ancora una volta a pagare sono state le scuole, in particolare gli istituti superiori che sono stati immediatamente chiusi, con una grave penalizzazione degli studenti ed una profonda decurtazione del diritto allo studio. In Campania l’inizio dell’anno scolastico è stato prima rinviato a dopo le elezioni regionali, successivamente, a partire da metà ottobre, senza alcun dato sui livelli di contagio, sono state chiuse tutte le scuole della regione, caso unico in Italia. Poi, senza alcuna ratio e col contagocce, hanno riaperto infanzia e prime due classi della primaria: ma non perché venisse riconosciuto il delicato valore pedagogico, psicologico e didattico della scuola in questa fascia d’età, ma semplicemente perché le scuole d’infanzia e primaria svolgono, secondo una concezione utilitaristica, un ruolo di sorveglianza e custodia al servizio delle famiglie impegnate nella attività produttive.
Dopo mesi di lotte e rivendicazioni per una scuola aperta e sicura, dopo continue battaglie per l’adeguamento dei trasporti, la riduzione del numero di alunni per classe con assunzioni di personale stabile ed edilizia adeguata, l’introduzione di un sistema di tracciamento e screening, siamo giunti ad oggi, alle soglie della chiusura del primo quadrimestre, e finalmente anche in Campania la scuola è stata aperta, anche se a colpi di sentenze del TAR. Una apertura fragile, con progetti di screening “Scuola sicura” sbandierati, ma mai realizzati, una scuola con il fiato sospeso, quotidianamente stretta tra protocolli ministeriali inapplicabili e al tempo stesso inadeguati, minacce di chiusura da parte di Regioni e Comuni, in assenza di dati pubblici trasparenti, umiliata da una politica basata su sondaggi, silenzi ufficiali e allarmi informali, che ha creato fratture, stigma, omissioni e desolidarizzazione nelle comunità scolastiche. Una scuola molto insicura!
Alle soglie degli scrutini, la riforma della valutazione nella scuola primaria con la reintroduzione dei giudizi è stata completamente snobbata dal ministero che in fretta e furia ha elaborato le Linee Guida assolutamente fuori tempo massimo. La reintroduzione dei giudizi nella valutazione delle classi della primaria, che era inscindibile da un profondo rinnovamento delle metodologie e di un approccio all’insegnamento basato ancora prevalentemente sulla misurazione della prestazione, si sta trasformando in un asettico convertitore dei numeri in livelli.
Questo il contento nel quale, in questi giorni, si stanno svolgendo gli scrutini in tutte le scuole, come se nulla fosse accaduto, in nome della “serietà” e nel solco della normalizzazione, i docenti sono stati chiamati a valutare il comportamento e a misurare l’apprendimento degli studenti… a casa! Mortificazione, infantilizzazione e controllo hanno guidato troppo spesso la costruzione della valutazione in DaD, così come avevano caratterizzato la DAD stessa. Noi crediamo che sia necessario chiedersi, nell’atto di valutare, quanta parte del rifiuto della telecamera e della mancata connessione sia da attribuirsi all’occhio indiscreto della DaD che entra violentemente nella privacy familiare. Non si può non ricordare, mentre si calcolano medie matematiche, che non tutte le case sono uguali, e le diseguaglianze si sono ulteriormente amplificate, durante una crisi lunga ormai quasi un anno.
4. E quindi che fare, ora e subito, dopo un anno di scuola nell’emergenza?
Se già in tempi “normali” la valutazione espressa in termini numerici presentava notevoli criticità, in quanto non traduceva la qualità e il vissuto dell’apprendimento, nella situazione attuale questo tipo di valutazione assume i connotati di un verdetto che non tiene conto delle difficoltà degli studenti nell’adeguarsi soggettivamente e oggettivamente alle modalità, di per sé inique, della didattica di emergenza. Rifiutiamo il ricatto che contrappone scuola, salute e reddito, questa è la scuola-che-non-ci-piace! Rivendichiamo una scuola in presenza e allo stesso tempo in totale sicurezza, dalle aule ai trasporti.
Mettere in discussione la scuola-che-non-ci-piace significa oggi mettere in discussione che, in condizioni eccezionali, a distanza come in presenza, si possa pensare di mantenere lo stesso numero di giorni di scuola ed il monte ore settimanale. Va detto chiaramente che per alunni e docenti 5, 6 o più ore al computer non sono sostenibili, così come non lo sono in presenza bardati di mascherine e rinchiusi nei banchi. Rivendichiamo, in questa fase emergenziale, la flessibilità del monte ore scolastico annuale, così da poter ridurre immediatamente e drasticamente la densità degli studenti in aula e il numero complessivo negli istituti e sui mezzi di trasporto. Ciò consentirebbe fin d’ora una didattica con piccoli gruppi in presenza, senza dover ricorrere alla Did o alla Dad, vincolata alla qualità del tempo scuola piuttosto che al rispetto formale dei 200 giorni canonici. Individuiamo così una soluzione eccezionale per tempi eccezionali, che salvaguardi la possibilità della scuola in presenza, in serenità e in sicurezza. Sarebbe poi il momento di liberarsi anche di tutte quelle attività che, quelle si, hanno sottratto tempo ed energia che poteva essere meglio impiegata: i PCTO e tutta quella enorme quantità di progetti e progettini che hanno mortificato gli studenti e che negli ultimi mesi li hanno ancora più assurdamente costretti al PC.
Parallelamente poniamo con urgenza, per il prossimo anno scolastico, la necessità di assunzioni massicce di personale docente e non docente, l’introduzione del tempo pieno dove oggi manca e l’adeguamento strutturale degli edifici scolastici, in assenza dei quali ci ritroveremo a settembre esattamente nelle stesse condizioni. Se da tempo ci si è resi conto che ridurre il rapporto tra docenti e alunni è fondamentale, ora in questa situazione non è più procrastinabile. Questa è l’unica forma di “ristoro” efficace per il recupero di vecchie e nuove dispersioni! Il numero massimo di alunni per classe deve essere di 15, con o senza alunni diversamente abili, anche in considerazione del lunghissimo periodo di non-scuola che gli alunni hanno dovuto affrontare, nonostante i docenti abbiano lavorato il doppio che in tempi ordinari.
Mettere in discussione la scuola-che-non-ci-piace significa dire che non è ammissibile che sui più deboli, su chi ha avuto più difficoltà, precipiti la valutazione come punizione. Questo aspetto che la scuola della pandemia ha messo prepotentemente in risalto, ancora una volta è figlio di anni di riforme in senso aziendalistico. A scuola stiamo assistendo all’ennesimo affondo del discorso sulla serietà: diversamente dallo scorso anno si potrà bocciare, dunque proprio coloro che hanno più patito, cui è mancato il sostegno e per i quali nulla è stato messo in campo, né l’anno scorso né quest’anno, verranno “seriamente” valutati e bocciati. Noi rivendichiamo un anno scolastico senza bocciature e proponiamo un dieci in comportamento a tutti gli studenti italiani, dai sei ai diciotto anni. A tutti. Non un voto “politico” nel senso classico del termine, ma un dieci “generazionale”, per tutte le alunne e gli alunni mortificati e soffocati dalla pandemia e dalla sua gestione politica inadeguata.
Come non è serio pensare ad un esame di maturità che sia altro da un libero colloquio di restituzione, facendo salvo il momento simbolico del rito di passaggio. Non si può lasciare intatta la gabbia dei crediti per la definizione del voto finale: crediti che rimandano ad una concezione bancaria dell’apprendimento che sarebbe l’ora di abbandonare definitivamente. Nell’incertezza generale in cui la politica istituzionale, colpevolmente, sta ancora una volta lasciando la scuola, sentiamo comunque parlare di “curricolo dello studente”, come se si trattasse del primo colloquio di lavoro, in un momento in cui, più che mai, la ricchezza di quel curricolo ha molto a che vedere con le disparità economiche che hanno consentito di costruirlo in un modo o nell’altro.
Contestiamo, infine, la validità e la logica delle prove Invalsi, già calendarizzate per quest’anno, “arricchite” dai nuovi “test formativi” (!?!) che l’Istituto ha prodotto per individuare le carenze di apprendimento dovute “anche” alla pandemia. Chiediamo la sospensione delle prove Invalsi nelle scuole di ogni ordine e grado anche per quest’anno. È il primo passo per mettere in discussione un’idea di scuola che spenda le sue energie nel “teaching to the test”, nel misurare invece di formare, ovvero nel formare un “capitale disumano”. La pandemia ce l’ha insegnato, il futuro ha bisogno di ben altri saperi, di ben altra cura, e di una scuola che ne sia all’altezza.
Napoli, 11 febbraio 2021
RETE SCUOLA SAPERI E CURA