Cittadinanza a premi. Appunti sul credito sociale
Portafogli pieni e cittadini virtuosi
Questo vagabondaggio inizia a Bologna e finisce a Roma, passando dalla Cina.
Nel capoluogo emiliano, l’amministrazione comunale ha annunciato nel marzo scorso l’arrivo imminente del “citizen wallet”, il “portafoglio del cittadino virtuoso”. Per essere considerati “virtuosi” sarà necessario differenziare correttamente i rifiuti, servirsi dei mezzi pubblici, evitare multe, acquistare ed usare la “card cultura” che permette accessi scontati a musei, mostre, spettacoli. A ciascuna di queste azioni corrisponderà un punteggio che verrà convertito in “premi”: sconti sui mezzi pubblici, sulle bollette del gas, sulle attività culturali.
Si tratta di una delle prime sperimentazioni in Italia del credito sociale. Prima ancora di vedere come andrà a finire (il progetto gemello avviato a Roma dalla giunta Raggi non sembra godere di buona salute) conviene prenderlo sul serio e cercare di capire dove potrebbe condurre.
La notizia – finora – ha ricevuto più critiche che consensi, concentrate prevalentemente sulla tutela della privacy. Un aspetto importante, senza dubbio, ma anche fuorviante. Gli aspetti più inquietanti del “portafoglio”, infatti, stanno altrove, e precisamente nella stretta connessione con la cultura della valutazione diffusa negli ultimi due decenni, i cui effetti sono sempre più tangibili nonostante i suoi presupposti siano spesso invisibili o inafferrabili.
La connessione tra l’agire individuale e il suo valore economico è uno dei pilastri di questa cultura. Il “portafoglio del cittadino virtuoso” ne è una metafora evidente. Nel portafoglio custodiamo la nostra moneta, per essere virtuosi occorre che il portafoglio sia pieno, se invece è vuoto (ovvero se si è poveri) non si può esibire alcuna virtù. Poco importa se non si tratta di moneta reale, le disuguaglianze sono implicite nei comportamenti richiesti: possiamo facilmente immaginare a quale stratificazione sociale corrisponda – ad esempio – l’uso della “card cultura”. Un progetto che cristallizza le differenze sociali, dunque, e che pretende di classificare i cittadini secondo una scala di valori decisa dall’amministrazione comunale, che attribuisce a se stessa il potere di stabilire quali siano i comportamenti che connotano in modo positivo l’esercizio della cittadinanza, escludendo implicitamente tutti gli altri. Questa esclusione si fonda su una contrapposizione tra diverse categorie di cittadine e cittadini e introduce elementi che potrebbero agire sottotraccia minando la coesione sociale, specie se gli strumenti appartenenti alla variegata famiglia del credito sociale si moltiplicheranno in futuro.
I buoni e i cattivi
Le tracce di ulteriore diffusione non mancano. Nel febbraio 2019 l’Unione pedemontana parmense, che raggruppa cinque comuni, ha introdotto la “Carta dell’assegnatario” nella regolamentazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Ciascuna famiglia ha a disposizione un punteggio che viene decurtato a seconda delle violazioni commesse. Se il cumulo di violazioni porta all’azzeramento del punteggio, la famiglia perde il diritto all’alloggio. Viceversa, l’assegnatario “che si comporterà bene per tre anni consecutivi” – così è scritto nel sito dell’Unione – riceverà un bonus che andrà a incrementare il suo piccolo capitale sociale. Si perdono cinque punti, ad esempio, se si lasciano aperti cancelli e accessi di uso comune, oppure se si abbandonano rifiuti o si consumano alcolici nelle aree condominiali (chissà se si può bere una birra durante una festa organizzata dagli abitanti, o se la festa stessa rientra nei comportamenti classificati come anti-sociali). Si perdono dieci punti se non si esercita una “adeguata vigilanza sui minori […] al fine di impedire che il loro comportamento possa recare disturbo o danno alle cose e alle persone”. Ovviamente i “minori dovranno servirsi esclusivamente per i loro giochi degli spazi a ciò destinati ove esistenti” (e se non esistono giochino in casa, ciascuno per conto proprio, possibilmente in silenzio). Non mancano divieti e sanzioni per azioni che chiunque può fare liberamente in casa propria, come ospitare per qualche giorno amici e parenti. Per gli assegnatari di alloggio pubblico, che a quanto pare costituiscono una porzione della popolazione cui è legittimo applicare regole restrittive della libertà, serve invece un’autorizzazione preventiva, e la sua omissione comporta la perdita secca di venti punti.
Nel marzo 2022 il Comune di Fidenza ha adottato un sistema analogo. Le locandine colorate affisse negli alloggi popolari promettono punti extra “per chi sistema un danno che ha provocato” e “per chi partecipa alle iniziative per imparare a vivere bene insieme”.
Il progenitore di questi provvedimenti è, ancora una volta, il Comune di Bologna. I regolamenti varati nel parmense sono infatti ripresi quasi letteralmente da un regolamento approvato nel 2016 su iniziativa di un assessore proveniente da Rifondazione comunista e approdato a Sel, che rappresentava l’ala sinistra della coalizione di governo. Sua l’idea della “patente a punti” per gli abitanti degli alloggi popolari, perché la società “ha delle regole che vanno rispettate da tutti. Si può sbagliare, ma come per la patente di guida, devi sapere che se guidi ubriaco metti a rischio la vita degli altri” (intervista al Corriere di Bologna, 8 agosto 2014). Non è chiaro in che modo una persona che lascia il sacchetto dell’immondizia fuori dal cassonetto metta a rischio la vita di qualcuno, fatto sta che azioni soggette per la generalità della popolazione a sanzioni amministrative diventano oggetto di sanzioni sociali per una specifica categoria di cittadini. La sproporzione tra il fatto e la punizione e la disuguaglianza di trattamento sono palesi, ma evidentemente questi aspetti non rappresentano un problema per gli amministratori locali.
Sarebbe interessante disporre di alcune informazioni: in quanti casi sono stati decurtati punti dalla “Carta dell’assegnatario” e per quali categorie di infrazioni? Ci sono state situazioni in cui la decurtazione dei punti ha comportato la decadenza dall’assegnazione dell’alloggio? Per il momento questi interrogativi sono destinati a rimanere tali. Li abbiamo proposti ripetutamente ad Acer Bologna (l’azienda che gestisce le case popolari), che non si è degnata di rispondere. Ancora una volta la “trasparenza” della pubblica amministrazione svela la sua natura reale: quella di uno slogan da ripetere nei discorsi pubblici, senza alcuna aderenza alla realtà.
C’è anche un’altra questione che gli ideatori di questi sistemi non hanno adeguatamente preso in considerazione (o quantomeno non l’hanno dichiarato esplicitamente). Una tale ragnatela di infrazioni e sanzioni non può essere governata unicamente attraverso la figura dell’ispettore dell’Acer, come dichiarato nei provvedimenti. Per funzionare davvero sarebbe necessaria una attiva partecipazione da parte degli assegnatari. Solo un informale e quotidiano controllo reciproco potrebbe garantire l’individuazione capillare dei numerosi comportamenti soggetti a penalizzazione. Si tratta di un sistema che implicitamente alimenta la delazione e la mette al centro delle relazioni di vicinato, accentuando le tensioni sociali spesso già acute in questi contesti.
Dall’Emilia a Shuguang
“Nella comunità di Shuguang, ogni mese, saranno rese pubbliche le informazioni circa l’affidabilità e la perdita di fiducia dei residenti e dei lavoratori. Qualche tempo fa un lavoratore autonomo è stato inserito dal comitato di quartiere della comunità sulla lista nera perché non ha adempiuto ai propri compiti riguardo la gestione della spazzatura. Il fatto lo ha estremamente imbarazzato. «Pensavo davvero di non riuscire più a guardare in faccia nessuno nel quartiere», ha raccontato. «Ho pensato allora di fare qualcosa per riguadagnare il credito che avevo perso: ho partecipato ad attività di volontariato e il mio credito è stato ripristinato”».
Questo brano è tratto dal libro di Simone Pieranni Red Mirror. Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza 2020, p. 95). Proviamo a sostituire “nella comunità di Shuguang” con “tra gli abitanti delle case popolari del comune di Fidenza”. Che effetto fa? I casi sono diversi tra loro, eppure gli ingredienti di base sono gli stessi.
Nel capitolo dedicato al credito sociale cinese, Pieranni spiega che si tratta di un sistema in fase di sperimentazione e ancora non unificato a livello centrale, il cui scopo finale è quello di attribuire un punteggio ad ogni cittadino e ad ogni azienda, e sulla base di questo stabilire chi possa usufruire di servizi offerti dallo Stato oppure esserne escluso. Questo sistema sembra essere apprezzato dalla popolazione cinese, a conferma che nelle società autoritarie strumenti coercitivi – che possono provocare dissenso e conflitto – convivono con strumenti che, al contrario, sono in grado di produrre consenso.
Sarebbe riduttivo pensare che la Cina sia l’unico luogo di sperimentazione del credito sociale, oppure che questo enorme apparato in fase di costruzione sia destinato a rimanere confinato in una parte del mondo che, nonostante la globalizzazione, continuiamo a percepire lontano per cultura e sistema politico. Gli intrecci reciproci e le influenze sul mondo occidentale sono evidenti e documentati, come mostrano il rapporto The Chinese social credit system: a model for other countries? curato da Daithí Mac Sithigh e Mathias Siems (citato da Pieranni, p. 118) e l’articolo di Nicholas Loubere e Stefan Brehm Il credito sociale e l’era globale dell’algoritmo, pubblicato in questa rivista (n. 99, maggio 2022).
Gli aspetti peculiari presi in esame nell’esempio cinese dovrebbero farci riflettere. La trasformazione di sanzioni amministrative in sanzioni sociali, la sproporzione tra l’azione commessa e la sanzione, l’estensione del concetto di “credito” dall’originario ambito economico a un piano su cui viene misurata l’affidabilità sociale sono rintracciabili nei nuovi regolamenti sugli alloggi popolari su cui si siamo soffermati. Alcuni di essi – quelli che possono essere utilizzati nella forma positiva del “premio” – stanno al centro del progetto del “portafoglio del cittadino virtuoso”. La Cina li sta applicando su larga scala e su di essi fonda l’accesso ai servizi pubblici: si calcola che nel 2016, a causa delle penalizzazioni ricevute attraverso il credito sociale, a 4,9 milioni di persone sia stato proibito di viaggiare in aereo e a 1,6 milioni di viaggiare in treno.
C’è un elemento che sta al centro di questo enorme esperimento sociale e ne rappresenta l’elemento unificante, ed è il fatto che il sistema politico ingloba la dimensione morale, se ne fa garante e la impone alle cittadine e ai cittadini. Pezzo per pezzo si va configurando la costruzione di uno Stato etico.
A scuola di adattamento
Per cogliere meglio le implicazioni di questa distorsione nella formazione e nell’amministrazione del potere politico è utile guardare anche nella direzione di iniziative che non hanno ancora l’aspetto esteriore del credito sociale ma ne incorporano alcuni elementi strutturali.
Nel mese di gennaio la Camera dei Deputati ha approvato un disegno di legge molto significativo da questo punto di vista, attualmente in discussione al Senato per la convalida definitiva. Ormai ridotto ad un esangue luogo di ratifica di decreti governativi, spettatore passivo di una sostanziale riforma extra-costituzionale dei poteri legislativi, il Parlamento ha ritrovato un guizzo di autonomia intorno al tema delle competenze non cognitive. Deputati di tutti gli schieramenti politici si sono trovati perfettamente d’accordo intorno a un’idea a lungo caldeggiata dalla Fondazione per la sussidiarietà diretta da Giorgio Vittadini, un nome e un’organizzazione che riconducono l’iniziativa legislativa a Comunione e Liberazione. Dal prossimo anno scolastico, le competenze non cognitive dovranno essere sviluppate e valutate nelle scuole di ogni ordine e grado. In sostanza, la dimensione psicologica dell’apprendimento e del comportamento delle ragazze e dei ragazzi dovrà essere isolata dal contesto, trattata come oggetto di intervento specifico e sottoposta a misurazione.
La cultura della valutazione standardizzata è ormai insediata nel sistema educativo. Questa legge è l’ultima tappa di un progetto che si è configurato nel tempo attraverso un processo di stratificazione e che ora si mostra nella sua coerenza complessiva. Gli elementi-chiave erano già all’opera: segmentazione dell’apprendimento, quantificazione di ciò che non è quantificabile, espulsione dal processo di conoscenza dell’imprevisto, dell’errore, di tutto ciò che non è riconducibile ad una misura “oggettiva”. Ora si tratta di portare quel processo alle estreme conseguenze misurando “oggetti” quali amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva, apertura mentale, empatia, ottimismo, speranza, spirito di iniziativa, flessibilità e adattabilità, autostima e fiducia in se stessi, capacità di avere relazioni con gli altri etc. È il pezzo che mancava al quadro delle “competenze”, di cui si iniziò a parlare all’inizio degli anni Novanta distorcendo il significato originario del concetto (a tale proposito è molto utile la lettura di Philippe Meirieu, Se la competenza non esistesse, bisognerebbe inventarla, pubblicato originariamente in Les compétences, a cura di Jean-Luc Ubaldi, Edition Revue EPS, 2005).
Nell’accezione prevalente, le competenze sono legate alla capacità di adattarsi ai mutamenti del mercato del lavoro, e in questo senso il sottoinsieme delle competenze non cognitive (o soft-skills) gioca un ruolo determinante. Già nel 1997 l’Ocse aveva redatto un rapporto intitolato Competenze chiave per una vita di successo ed una società efficiente nel quale si afferma che “La capacità di relazionarsi in modo adeguato con gli altri non è solo un requisito necessario alla coesione sociale ma, in misura sempre maggiore, anche al successo economico”, in quanto “i cambiamenti sia nelle aziende, sia nell’economia stanno dando sempre più valore a elementi d’intelligenza emotiva”. Oggi basta fare un giro sui siti internet delle agenzie per il lavoro interinale per trovare sezioni apposite dedicate a come inserire le soft-skills nel curriculum.
Il fatto che attualmente intorno alle competenze non cognitive non sia previsto un vero e proprio meccanismo di credito sociale non significa che ciò non possa accadere in futuro. Basta ricordare che una “tessera personale” delle competenze era stata prevista dall’Unione europea sin dal Libro bianco Insegnare e apprendere. Verso la società conoscitiva, pubblicato nel 1995. La recente introduzione del Curriculum dello studente, frutto tardivo della riforma voluta dal governo Renzi, può essere letta come un tassello del puzzle (ne abbiamo parlato in questa rivista, n. 88, giugno 2021). Gli strumenti immaginati per una certificazione standardizzata possono essere facilmente utilizzati per un uso più ampio, specie nel caso in cui la certificazione sconfini sul piano morale, come è facile immaginare possa accadere quando la valutazione si estende al campo dei comportamenti individuali.
L’ordinaria gestione dell’emergenza
Portare queste riflessioni intorno ad alcuni strumenti utilizzati per la gestione della pandemia significa entrare in un terreno minato. Le posizioni di autorevoli studiosi che hanno esteso in modo meccanico all’emergenza sanitaria ragionamenti critici sull’involuzione dei sistemi democratici elaborati in precedenza – senza considerare in modo adeguato la novità della situazione e sottovalutando le implicazioni riguardo la sanità pubblica – non hanno giovato a un dibattito in grado di costruire una critica argomentata e utile dal punto di vista politico e sociale dei provvedimenti adottati. Discutere del rapporto tra salute e democrazia è stato molto difficile, e continua ad esserlo (ci abbiamo provato con il dossier pubblicato da questa rivista, n. 86, aprile 2021).
Però sarebbe sbagliato non toccare l’argomento, perché il green pass presenta qualche tratto in comune con quanto scritto finora. In particolare si possono isolare due aspetti che fanno intravedere similitudini con i sistemi sperimentali di credito sociale. Il primo riguarda quella che potremmo definire eccedenza: il green pass – come l’apparato sanzionatorio nei confronti degli inquilini delle case popolari, ad esempio – eccede rispetto agli scopi che dovrebbe raggiungere. Nel caso specifico, è evidente che lo scopo era quello di spingere la popolazione alla vaccinazione. Una percentuale di copertura vaccinale estremamente elevata è stata raggiunta in tempi molto rapidi, eppure il provvedimento è stato mantenuto per un periodo molto più lungo.
Il secondo aspetto è quello della segmentazione della popolazione e della conseguente differenziazione rispetto all’esercizio dei diritti fondamentali: per la prima volta è stata istituita una connessione tra comportamenti soggettivi, rilascio di una certificazione che ne attesta la “positività” sociale, libertà di movimento e accesso al lavoro.
Non credo che le motivazioni debbano essere ricercate nella pianificazione razionale da parte di un potere pienamente cosciente di utilizzare in senso restrittivo la situazione di emergenza. La gestione della pandemia, infatti, è stata segnata anche da disordine, improvvisazione e contraddizioni, mentre il ricorso alla decretazione d’urgenza e la marginalizzazione del Parlamento hanno origini ben più lontane nel tempo. L’attenzione va spostata sulla cultura politica dominante, fortemente influenzata dalla cultura della valutazione e del merito, con tutto ciò che essa porta con sé: costruzione di gerarchie di valori, misurazione delle qualità morali, colpevolizzazione dei comportamenti dei singoli, depoliticizzazione dei processi sociali. Se questo è il bagaglio culturale disponibile per l’azione di governo, non stupisce che anche i provvedimenti di carattere straordinario adottati per fronteggiare un’emergenza sanitaria attingano dagli stessi pozzi. Non è l’emergenza che pretende di diventare strumento ordinario di governo, ma è ciò che in questi anni abbiamo accettato di considerare come naturale a dettare la linea, sempre e comunque.
Distopie?
Nell’episodio della serie Black Mirror intitolato Nosedive (Caduta libera) viene descritto uno spietato sistema di credito sociale. Funziona tramite un’applicazione installata nei telefoni cellulari, e il punteggio accumulato permette di accedere a servizi, al lavoro o a determinati ambienti sociali. Viceversa la diminuzione del punteggio comporta l’emarginazione professionale, la perdita di relazioni sociali, l’impossibilità di muoversi liberamente. Nel corso della sua rapida caduta in disgrazia, alla protagonista verrà impedito di salire su un aereo. L’invenzione si mescola ad una realtà già in atto. Ma ciò che rende differente il sistema raccontato nella fiction, ciò che lo porta ad un elevato grado di perfezione, è che – a differenza delle sperimentazioni in corso, dove la valutazione è espressa dall’alto (lo Stato, il Comune, la scuola, l’azienda per gli alloggi popolari, etc.) – il punteggio è il frutto di una valutazione reciproca effettuata tra pari, quotidianamente.
Integrare la valutazione verticale e quella orizzontale: sarà questa la nuova frontiera del credito sociale?