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C’est trop

1 Agosto 2022
Sandro Triulzi

È troppo. La scritta appare sul muro di fango di uno dei tanti luoghi di sosta e di detenzione lungo le rotte dei migranti subsahariani in cammino verso il Mediterraneo. È una scritta qualunque in un luogo qualunque, uno dei tanti snodi del traffico di uomini e donne che affrontano il grande mare di sabbia prima di misurarsi con lo sconfinato deserto d’acqua, il Mediterraneo occidentale, pattugliato da guardie costiere ostili e senza remore cui è stato affidato il compito di ostacolare e prevenire “l’immigrazione non regolare via mare verso le coste italiane”.


Un fine luglio torrido imperversa sull’Italia in rotta politica e umanitaria come ormai succede da anni. Non stupisce quindi che United against refugee deaths ci ricordi in questo mese che i morti in mare accertati a causa delle politiche di sicurezza decise dalla “Fortezza Europa” dal 2016 a oggi sono stati 48,647, e che quelle che venivano chiamate fino a ieri ‘operazioni di ricerca e soccorso (Sar)’ della Guardia Costiera italiana, dal 2019 vengono chiamate “eventi riconducibili al fenomeno della immigrazione non regolare”, una ridenominazione non solo simbolica che sanziona un cambio di approccio ormai consolidato. Di questo cambio si dà chiara indicazione il 29 giugno 2022 quando il Comando Generale della Capitaneria di Porto rimuove dalla Sezione Ricerca e Soccorso del suo sito le schede relative a “Attività Sar immigrazione” e il “Rapporto annuale di attività operative” occultando così l’informazione pubblica fino allora disponibile a livello europeo per monitorare i cosiddetti ‘respingimenti delegati’ affidati, contro ogni logica di sicurezza e di diritti, alla Guardia costiera libica dal 2016 in poi. Sei lugubri anni di un’Italia e un’Europa ormai totalmente assenti sul fronte dei soccorsi a mare nei confronti dei più vulnerabili.
Così, il 27 giugno, un centinaio di persone alla deriva su un gommone in avaria che imbarca acqua da ore non riescono a essere salvate con tempestività e trenta di loro vanno a picco prima che il relitto venga intercettato dalla nave Geo Barents di Msf che è la prima ad arrivare sul sito del naufragio dopo tre ore di navigazione. Tra i naufraghi, un ragazzo del Togo che sapendo nuotare riesce a salvare diverse persone tra cui una madre presa per i capelli e sua figlia di quattro mesi che adagia sulla spalla di un altro naufrago dalla maglietta rossa aggrappato a un rottame. Il ragazzo era partito dal Togo con sei amici, nessuno dei quali riesce a salvarsi.

C’est trop.

Nel frattempo il 24 giugno, a Melilla, dei 2000 migranti che cercano di scavalcare le recinzioni e il doppio filo spinato che protegge l’enclave spagnolo in territorio marocchino, primo avamposto dell’Europa in Africa per antico retaggio coloniale, solo 133 persone riescono a oltrepassare la frontiera vive mentre 37 non ce la fanno e più di mille vengono respinte con estrema violenza degli organi di sicurezza marocchini e spagnoli in stretta unità di intenti dopo l’adesione del governo spagnolo alla politica anti Polisario del Marocco. Il premier spagnolo Sanchez dichiara che l’invasione di suolo spagnolo a Melilla da parte di migranti irregolari è dovuta a presunti trafficanti di esseri umani e all’azione della mafia.
Intanto il governo Draghi cade su un contestato inceneritore, il decreto sulla cannabis e soprattutto, per alcuni di noi, sulla riforma del diritto di cittadinanza secondo le caute norme del cosiddetto Ius scholae che permetterebbe, a distanza di trent’anni, di dare una parvenza oltraggiata di cittadinanza a un milione circa di giovani nati in Italia o arrivati prima di compiere il dodicesimo anno di età con con un ciclo scolastico ininterrotto di cinque anni alle spalle. La Lega, forza di governo, fa muro e presenta sulla proposta di legge 1500 ‘emendamenti’ ostruzionistici in cui ricompaiono vari test di ‘italianità’, dalle prove orali sulla sagre italiche ai quesiti sui test sui prodotti tipici locali. L’unica risposta sobria sembra essere quella di Mons. Perego, Presidente della Commissione episcopale per le migrazioni, che rileva semplicemente che la legge “va incontro a un paese che cambia”.


Non tanto, si direbbe, visto che negli stessi giorni, mentre le notizie sulla guerra in Ucraina scivolano sulle seconde pagine, si apprende che, se il paese cambia, non lo è l’azione di governo a prescindere dalla crisi in corso, il rincaro dei prezzi e l’assenza di alternative al gas russo all’inizio dell’estate tra le più calde del secolo. A conti fatti, la guerra in corso in Ucraina sta producendo più armi che rifugiati accolti nel nostro paese. Dei 140.000 rifugiati ucraini fatti entrare in Italia in deroga alle leggi vigenti -– che sono state invece applicate ai rifugiati non ucraini che pure scappavano dalle stesse situazioni di guerra – solo il 10% è stato accolto nel sistema pubblico di accoglienza mentre la stragrande maggioranza ha preferito accasarsi presso parenti e amici residenti in Italia. Dopo quattro mesi di guerra, e un gran battage sui centri di accoglienza straordinari allestiti per i profughi europei in fuga dalla guerra, l’accoglienza dei profughi ucraini nel sistema pubblico conferma ancora una volta la risposta emergenziale del sistema Italia che continua a scaricare su privati l’onere dell’assistenza a chi scappa dalla guerra. Tanto più grave e sconcertante, come ha dichiarato Gianfranco Schiavone dell’Asgi, in quanto i profughi in fuga dall’Ucraina in guerra percepiscono la loro presenza in Italia come temporanea.


Ma non fa nulla, l’Italia va avanti mentre il Governo cade per bizze interne e calcoli meramente elettorali, nessuno più si sorprende o si indigna di nulla, la Corte d’Assise di Cassino assolve dopo 21 anni cinque imputati, di cui tre poliziotti, perché “il fatto (l’istigazione al suicidio di una ragazza di diciotto anni) non sussiste”, e la Corte Suprema conferma: il processo in Egitto ai responsabili del delitto Regeni non si può fare perché la convocazione non può essere ‘domiciliata’, cioè consegnata direttamente agli imputati.

C’est trop.

    C’est trop.

C’est trop.

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