Bolsonaro, le favelas, l’epidemia
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di traduzione di Carla Pollastrelli
Mentre il mondo affronta la pandemia di Coronavirus, il Brasile deve fare i conti non solo con la malattia, ma anche con un folle presidente che si considera un re o un Napoleone. Contrario al lockdown, Jair Bolsonaro non segue le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, esce senza mascherina e incita i suoi seguaci a un nuovo colpo di stato con la benedizione delle forze armate. Dopo aver messo sotto sequestro la nostra democrazia, adesso il suo negazionismo verso la pandemia porta la popolazione a morte certa.
Secondo i dati dal ministero della Sanità di venerdì 8 maggio, settantatre giorni dopo il primo caso confermato di covid-19, il paese registra 136mila casi di persone contaminate, mentre i morti sono almeno 9.190. San Paolo e Rio di Janeiro sono le prime regioni nella classifica per numero di persone contaminate: 39.928 a San Paolo e 14.156 a Rio. I decessi, invece sono 3026 a San Paolo e 1394 a Rio.
L’arrivo della Covid-19 in Brasile ha mostrato al mondo la profonda crisi che si è abbattuta nel paese polarizzato politicamente. Nonostante la linea guida di Bolsonaro sia l’apertura totale e lui continui a minimizzare la malattia, 25 dei 27 governatori hanno decretato misure di restrizione a favore dell’isolamento sociale. Le restrizioni più vigorose sono in corso nelle regioni con il maggior numero di casi, come San Paolo, Rio de Janeiro, Distretto Federale e Goiás: hanno chiuso commerci, scuole e aziende, ma la curva non fa che aumentare.
Ricercatori dell’Università dello Stato di San Paolo (Unesp), avvertono che il Brasile potrebbe essere il nuovo epicentro della pandemia, il numero di decessi a giugno arriverebbe oltre i 30mila. “Questa è l’ipotesi più ottimistica”, dice al giornale “O Globo”, Vitor Valente professore e uno dei responsabili della ricerca. “Abbiamo fatto tre ipotesi di futuro. Però la stima più realistica arriva a 40mila e una pessimista indica che fino al 9 giugno, 64mila persone potrebbero morire per Coronavirus nel paese”.
Nonostante i dati che riflettono l’espansione della pandemia nel paese, cosa fa Bolsonaro, l’ex capitano dell’esercito espulso per aver organizzato un atto terroristico all’interno della corporazione negli anni Ottanta? Dimette il ministro della Salute perché favorevole all’isolamento sociale.
Davanti ai 9mila decessi, il presidente ha mostrato totale indifferenza, mancanza di empatia e solidarietà verso il dolore degli altri. Nessuna parola di conforto, nessuna visita istituzionale ai cittadini che ogni minuto muoiono colpiti da questo virus terribile. A loro soltanto il vuoto, il silenzio. Il 29 aprile, quando i casi erano oltre 5mila e si superava la Cina per numero di morti, pressato dai giornalisti, Bolsonaro in tono di disprezzo ha dichiarato: “E allora? Mi dispiace. Cosa volete che faccia? Sono Messia, ma non faccio miracoli”, ironizzando sul suo secondo nome, Messias. Ma che ci si può aspettare da uno che difende dittatori e torturatori?
Il brasiliano medio. Come in una setta religiosa i suoi seguaci sono ciechi, non sentono o vedono quello che accade davanti ai loro occhi. Si sentono forti e tutelati dal loro Messia e distribuiscono violenza contro chiunque. Il 1° maggio, nella Festa dei lavoratori, un gruppo di 60 infermieri che protestava nella piazza dei Tre Poteri a Brasilia, in difesa dell’isolamento sociale e in onore degli operatori sanitari morti nella lotta contro la pandemia, è stato aggredito verbalmente da alcuni simpatizzanti di Bolsonaro. Vestiti con abiti giallo verde, hanno insultato gli operatori definendoli “analfabeti funzionali” e “codardi”.
Due giorni dopo, sempre a Brasilia, durante una manifestazione pro-Bolsonaro, antidemocratica e incostituzionale perché a favore della chiusura della Corte suprema (equivalente alla Corte di cassazione in Italia), la vittima è stata la stampa. Alcuni nostri colleghi sono stati picchiati e altri aggrediti verbalmente. Sul palco, Bolsonaro, ormai fuori controllo, in toni minacciosi, urlava che “la sua pazienza era finita”, “che le forze armate sono con lui” e “che la costituzione sarebbe stata rispettata a qualsiasi prezzo”.
Questi seguaci di Bolsonaro rappresentano quello che il sociologo Ivann Lago descrive come “il brasiliano medio”. Secondo Lago, “questo brasiliano non va in strada per difendere un sovrano pazzo e mediocre; lui urla affinché la propria mediocrità sia riconosciuta e apprezzata e per sentirsi accolto da altri pazzi e mediocri che formano un esercito di burattini la cui forza sostiene il governo che lo rappresenta”.
L’ubriaco e la equilibrista. In questo mese tragico in cui il Coronavirus ci ha portato via tanti nostri cari, il paese ha perso Aldir Blanc, il suo più grande paroliere. Autore del classico O bêbado e a equilibrista, “L’ubriaco e la equilibrista”, reso immortale dalla voce vibrante di Elis Regina negli anni Settanta, Blanc, come la maggioranza dei brasiliani, non aveva un’assicurazione sanitaria privata ed è stato necessario l’appello di sua figlia per fargli avere un letto in terapia intensiva.
È morto a Rio de Janeiro senza dare un addio. Il suo dramma è lo stesso di tutti coloro che muoiono vittime di questa orribile malattia. La solitudine è l›ultima cosa che resta prima di spegnersi. “E allora?”, ha chiesto il presidente ignorando che dietro alla quantità assurda di corpi senza vita ci sono nomi e famiglie distrutte dal dolore. Persone come Jorge da Silva Chagas, 65 anni, che ha aspettato cinque giorni per avere un posto nella terapia intensiva di Rio e quando l’ha avuta, ormai era troppo tardi. È morto lo stesso giorno in cui è stato ricoverato.
Nel mezzo di questa apocalisse assurda che ha colpito il Brasile, i primi a soffrire sono i più vulnerabili come Jorge. Per venire loro incontro, il governo ha adottato alcune misure economiche che hanno rivelato quanto distante sia la classe politica dalla popolazione più povera. Circa 25 milioni di lavoratori informali avrebbero il diritto di ricevere per tre mesi un fondo di emergenza di 94 euro (600 reais), ma non riescono a riscuotere i soldi per colpa delle lunghe code alle banche. Questo importo sarebbe stato addirittura più basso – 200 reais, circa 31 euro – se non ci fosse stata pressione da parte dell’opposizione. Dovete immaginare che in Brasile i lavoratori informali sono quelli che vendono qualsiasi cosa in strada: cibo, bibite, strofinacci, bambole, pupazzi, qualunque oggetto possa essere venduto. Questa categoria di lavoratori si trova tra gli ultimi, senza diritto a nulla.
Di fronte all’incuria e all’abbandono del governo, centinaia di persone che vivono nelle favelas di San Paolo e Rio hanno deciso di rimboccarsi le maniche per fronteggiare da soli l’epidemia di Covid-19, i cui effetti potrebbero essere devastanti in queste realtà già di per sé difficili. Pensate: 13 milioni di persone, il 6% della popolazione brasiliana, vive nelle favelas. Negli agglomerati di case è praticamente impossibile rispettare il distanziamento sociale e altre regole come il lavaggio frequente delle mani: In questi luoghi, l’acqua è un lusso al quale pochi hanno accesso.
Resistere per non morire. “Siamo senza un presidente, non abbiamo nessuno che ci guidi in questa pandemia. Sta a noi resistere per non morire”, dice al telefono Gilson Rodrigues, presidente dell’associazione dei residenti della favela di Paraisópolis, nella zona sud di San Paolo, quartiere dove vivono 100mila persone. “Ci siamo organizzati e attraverso donazioni abbiamo potuto contrattare medici e infermieri e affittare 3 ambulanze”, racconta Rodrigues. In questa lotta organizzata contro l’epidemia ci sono circa 400 “presidenti di strada”, in pratica un residente volontario responsabile per monitorare e sostenere un gruppo di 50 famiglie che vive nel vicinato, tutto tramite whatsapp. È lui che distribuisce porta a porta le donazioni di cibo e dà l’allarme e contatta il medico quando qualcuno presenta sintomi di Coronavirus”.
Il modello di presidente di strada è diventato virale e lo stanno applicando in varie favelas brasiliane. “Ci hanno chiamato addirittura dall’Africa per chiedere indicazioni su come implementarlo”, dice Rodrigues, che è anche presidente della rete nazionale del G10 delle favelas. Il G10 è un vertice che riunisce le dieci favelas brasiliane con la più grande potenza economica del paese. L’obiettivo dell’iniziativa è unire gli sforzi per cercare investimenti per le imprese locali. “Proprio come i paesi ricchi, che si sono uniti per formare il G7 e il G20, abbiamo deciso di unire le dieci favelas più ricche nel paese”, ha spiegato Rodrigues.
Oltre a questo, l’Associazione della donne di Paraisopolis, si è presa l’incarico di confezionare le mascherine, visto che ora sono obbligatorie e non si trovano da nessuna parte. Ne hanno già prodotte 50mila. Nella battaglia contro il nemico invisibile si aggiunge anche l’esercito di 240 soccorritori della prima brigata della favela formati grazie ai contributi dei sostenitori. “Sono stati preparati anche a raccogliere i corpi se fosse necessario”, spiega Rodrigues.
Dentro due scuole a Paraisopolis sono state create case di accoglienza per i malati di Covid-19 che hanno bisogno di un posto per passare la quarantena. Finora hanno avuto 6 ospiti: fra loro la giovane Jessica che ha perso la madre vittima di Coronavirus e ha il padre di 78 anni in terapia intensiva e Roberto, che non ha perso nessuno ma ha deciso di andare lo stesso in isolamento nella struttura per non esporre la famiglia e i vicini. “È stato difficile fare la quarantena lontano dalla famiglia, ma è stata la scelta giusta, abito in un piccolo appartamento con mia moglie e due figlie e poi si sono presi cura di me con tanta tenerezza. Mi hanno fatto anche la torta per i miei 44 anni”, racconta Roberto.
Nonostante
le misure adottate, Rodrigues sa che il peggio deve ancora arrivare.
“La situazione è iniziata a diventare più critica. Fino alla
settimana scorsa avevamo 34
casi, oggi sono 80.
Questi sono casi identificati da noi, nelle nostre ambulanze, ma il
numero può essere 4
volte più di questo, perché non abbiamo accesso ai dati dalle unità
di sanità che si occupano della popolazione di Paraisopolis”,
dice. Sebbene il vivace commercio della favela sia chiuso, le persone
continuano a girare per le strade come se nulla fosse.
La
realtà delle favelas a Rio non si differenza da quella di
Paraisopolis dov’è assente lo Stato. Nel complesso della Maré, un
conglomerato di 16
favelas in cui vivono 140mila
persone, ci sono almeno 140
casi sospetti e 18
morti, secondo l’ultimo bollettino di Olho no Corona,
dell’organizzazione Rete della Maré. L’Ong, insieme al
Collettivo Papo Reto, l’Associazione di vicinato, con il sostegno
della Fondazione Oswaldo Cruz (Fiocruz), è la responsabile per la
diffusione nella favela delle linee guida delle autorità sanitarie
per prevenire l’infezione da Coronavirus.
Dalla
terza settimana di marzo, due volte alla settimana, una macchina
attraversa le vie della Maré e, in rima e al ritmo della musica
funk, informa gli abitanti sui rischi della malattia e le
raccomandazioni di prevenzione: evitare la folla, rimanere a casa,
lavarsi le mani. La scena si ripete in altre favelas di Rio, come
Città di Dio e Rocinha. Le vie di quest’ultima sono passate anche
per una sanificazione grazie alla collaborazione di circa 140
persone, sessanta delle quali volontarie della comunità.
Secondo
il bollettino epidemiologico, alla Rocinha ci sono 74
contaminati e 9
morti. Gli esperti di sanità pubblica, tuttavia, stimano che il
numero sia molto superiore. “La situazione è critica”,
afferma Wallace Pereira, presidente dell’Associazione dei
residenti. “Stiamo combattendo come possiamo, ma mancano delle
politiche pubbliche”, aggiunge.
Per chi volesse contribuire, è partita una campagna di raccolta fondi per il progetto Brigate dei soccorritori della favela Paraisopolis: http://esolidar.com/crowdfunding/detail/36-paraisopolis-projeto-das-brigadas-de-socorristas.
Per chi volesse contribuire con la Rete della Maré:
Banco do Brasil – 001, Agência: 0576-2
Conto corrente: 160.568-2
Iban: BR1500000000005760001605682C1
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