Berserk – Un manga sul fondo dell’inferno
“Se mi preoccupassi di non schiacciare le formiche, non potrei neanche camminare”. In una delle frasi più celebri pronunciate dal protagonista Gatsu è racchiuso tutto lo spietato fascino di Berserk, iconico manga che si protrae dal 1989 ed è oggi condannato a restare incompiuto, orfano dell’autore Kentarō Miura morto lo scorso 6 maggio a soli 54 anni a causa di un improvviso problema cardiaco. Ma del resto, il viaggio di Gatsu sembrava già per sua natura interminabile, rivolto verso una meta irraggiungibile perché inumana, e nel mondo impietoso disegnato da Miura, fatto di sangue, perversioni e mostruosità, era difficile immaginare un lieto fine, una chiusura del cerchio – le Midlands, questo ipotetico territorio a cavallo fra il Medioevo e il Rinascimento occidentale, assumevano piuttosto le forme di un girone infernale dove i personaggi erano destinati a ripetere in eterno gli orribili peccati e i vani atti eroici, a gustare i frutti malvagi del tradimento e scontare la pena del contrappasso. E tuttavia, la potenza della narrazione di Miura stava precisamente in questo: riusciva a rendere nitido, importante e prezioso ogni gesto e ogni sentimento dei suoi personaggi, persino sul fondo di quell’inferno.
Non è un caso se abbiamo parlato di un cerchio in attesa di chiusura. Berserk è, nel suo nucleo, la storia di una vendetta impossibile che, per essere consumata, impone immani sacrifici. Quanto amore siamo disposti a bruciare sull’altare dell’odio? Gatsu e Grifis erano legati da un affetto profondo, fraterno, un legame fra due uomini diversi ma ugualmente provati dalla vita, a tratti puro come una carezza, a tratti morboso di gelosia. Fino a quando Grifis, posto di fronte alla morte, sceglie la strada del peccato capitale: tradisce Gatsu, gli toglie tutto ciò che aveva di più caro, e si costruisce una scalinata di cadaveri per ascendere al potere divino. A quanta umanità sarà disposto a rinunciare Gatsu per sfidare quel potere? Lui si fa vanto di combattere mostri leggendari ed esseri supremi con la semplice forza di un uomo, ma quel marchio sul collo che gronda sangue ci ricorda che Gatsu è maledetto fin dalla nascita, nel suo cuore cavo alberga un’anima nera che deve tenere a bada, se non vuole cedere come Grifis alle tentazioni del male. Ed ecco che torna, ma con altre sfumature, la frase che citavamo in apertura, l’orgoglio di un guerriero che si sente talmente superiore da considerare gli altri alla stregua di formiche, così forte da saper brandire uno spadone più alto di lui – un pezzo di ferro grezzo, più che una lama, che rappresenta come uno specchio la sua natura brutale. Ma è una facciata: dietro i muscoli, le cicatrici e le frasi rudi Gatsu è un uomo sensibile, che sa prendersi il tempo per raccogliere e annusare un fiore, che ama camminare da solo ma si ferma sempre a proteggere chi incontra lungo la strada, che lotta contro se stesso per non ferire chi ama, che ha il coraggio di amare in un mondo dove tutto sembra invitare all’odio. Ed è questo che dona significato alla sua vendetta e invita il lettore all’empatia.
Berserk è un manga che si rivolge alla demografica seinen: si tratta in poche parole della fascia di pubblico definita in occidente come Young Adult
Berserk è un manga che si rivolge alla demografica seinen: si tratta in poche parole della fascia di pubblico definita in occidente come Young Adult, un settore che parte idealmente dagli ultimi anni di liceo per allargarsi fino alla piena età adulta e che, nel mercato del fumetto giapponese, si contrappone agli shōnen, i classici manga di straordinario successo globale come Dragon Ball o One Piece caratterizzati da un taglio più giovanile, avventuroso e leggero. Sia in patria che all’estero, però, Berserk ha suscitato un enorme fascino anche tra i ragazzi nel pieno dell’adolescenza; non è azzardato pensare che per alcuni abbia funzionato da rito di iniziazione, da avvicinamento ribelle e proibito verso gli aspetti più crudi di un’estetica che riconosciamo come adulta: gli elementi gore e splatter, ritratti da Miura con generosità di dettagli, la violenza reiterata e realistica, le suggestioni dell’omosessualità, le scene di sesso esplicite, le torture. Ma Berserk è molto più che una pornografia del dolore: come il suo protagonista Gatsu e come, forse, il suo autore Miura, Berserk possiede un cuore nerissimo e pulsante. Lo si apprezza in quei simboli sottili che emergono tra le pagine caotiche. Il duello fra Gatsu e Grifis su una collina innevata, per esempio, con i rarefatti spazi bianchi e gli alberi secchi che rappresentano l’inevitabile caducità degli affetti. O l’amore fra Gatsu e Caska, la passione triste fra due corpi nudi, muscolosi e tempestati di cicatrici, in un’unione carnale che, come dice Caska, assomiglia alla fuga di due animali braccati che si leccano a vicenda le ferite. Berserk è una rappresentazione mentale della disperazione, del peso schiacciante di un mondo stretto in una guerra perenne, ma non c’è rassegnazione perché tra le pieghe della storia affiora la radice di un nichilismo violento che incontra numerosi rimandi negli abissi della letteratura horror, nel senso comunitario di ribellione della musica metal, negli aspetti più iconoclasti della filosofia di Nietzsche o Deleuze: tutti micro-mondi che, non a caso, sanno esercitare un forte fascino sugli adolescenti. Se il mondo in cui viviamo è un inferno inabitabile, sembra suggerirci Miura, armiamoci della volontà di potenza e pieghiamolo, stritoliamolo, facciamolo scoppiare. Grifis e Gatsu, in questo senso, scelgono due strade alternative per lo stesso scopo, e ciò li rende protagonisti indissolubilmente legati e indimenticabili. Grifis è un antagonista terribile, il Principe dei Peccatori, eppure il lettore non può fare a meno di ammirarlo, forse persino di invidiarlo, con quello stesso misto di odio e amore che Gatsu prova nei suoi confronti.
Il tratto di Miura realizza sulla pagina contrasti violenti fra le grezze pennellate nere e le ampie campate bianche, ma addentrandoci nel cuore della storia i contorni si smussano e si confondono, come appunto odio e amore, accompagnando la disorientata passionalità degli adolescenti verso una più cupa e realistica scala di grigi. È questa una preziosa coincidenza tra la tipica angoscia giovanile e la quieta disperazione squisitamente adulta, la consapevolezza che preda e predatore, eroe e nemico sono uniti dalla stessa forma di sofferenza, ma Berserk ci parla anche di un ideale romantico, del titanismo tardo-settecentesco – un uomo solo che combatte dèi e demoni – che sfuma senza perdere potenza nel pessimismo di Schopenhauer e Leopardi – la condanna a una battaglia-spirale, cosmica, eterna. È un senso di vertigine che si apprezza al massimo grado quando l’arte di Miura raggiunge i suoi picchi: la delicatezza della rappresentazione psicologica, ad esempio nel personaggio di Caska, contrapposta alle imperiose scene di violenza; l’intima esplorazione dell’animo umano, con le nostre manie e le nostre ossessioni, che procede allo stesso ritmo di una narrazione-mondo, di una mitologia ritratta nel suo divenire. Se Grifis è asceso a uno stato di esistenza diverso, Gatsu invece parla dritto al cuore di tutti noi, perché è un eroe al tempo stesso potentissimo e fragile, un uomo comune che lotta per superare i propri limiti senza tuttavia tradire se stesso.
Come spesso accade nelle grandi opere, Kentarō Miura è stato in grado di intercettare e forse anticipare lo spirito del tempo in maniera naturale, non programmatica, attingendo dalla sua sfera interiore e sposando la propria sensibilità con le fonti che lo avevano formato. Ci sono Devilman di Gō Nagai e Ken il Guerriero di Buroson e Tetsuo Hara, ma c’è anche un fertile testacoda fra un’estetica alta – le illustrazioni di Gustave Doré, i labirinti di Escher e i pandemoni infernali di Hieronymus Bosch – e un immaginario pop tipicamente ottantiano – Hellraiser, Ladyhawke, Conan il Barbaro – che è stato in grado di creare un mondo vivo e originale, una fortunata combinazione fra oriente e occidente i cui frutti continuano a maturare in maniera trans-mediale: nelle letteratura grimdark fantasy di George R. R. Martin e Joe Abercrombie il lascito di Berserk è evidente, un’eredità che si fa ancora più palese della serie di videogiochi Dark Souls di Hidetaka Miyazaki.
E nelle grandi opere, accade anche talvolta che l’autore finisca intrappolato nella stessa spirale della sua storia, e che il narratore coincida con il narrato. Agli inizi degli anni Duemila, all’apice del successo internazionale di Berserk, numerose testimonianze dello stesso autore raccontano che Miura perse la salute per rispettare le stringenti scadenze editoriali, interamente assorbito dal lavoro e stretto fra l’incudine e il martello: da un lato le aspettative dei fan, desiderosi di leggere la fine di un fumetto attivo ormai dal 1989, dall’altro l’inerzia di una storia che, anziché convergere verso la chiusura, si squadernava in nuovi archi narrativi e cominciava a orbitare intorno a essi. “Neanche quest’anno sono riuscito a vedere i ciliegi in fiore” scriveva Miura, recluso, solo e schiacciato dallo stress, infelice nonostante il lavoro di mangaka fosse il suo sogno di una vita, e non è difficile immaginare il suo animo dilaniato dalla stessa ossessione che guidava i passi di Gatsu, la folle determinazione di chi si oppone al destino.
Nei successivi vent’anni la produzione di Miura si è diradata fino a diventare materia di meme e leggende metropolitane tra i fan: alcuni si irritavano e abbandonavano l’opera, convinti che ogni autore abbia l’obbligo di soddisfare i lettori, altri scherzavano sul fatto che Berserk sarebbe rimasto eternamente incompiuto. Forse, per Miura, si trattò di cedere alla pressione; o forse fu un modo per recuperare la salute fisica e mentale, proteggendosi e staccandosi da una storia che lo stava consumando dall’interno. I suoi assistenti raccontano che negli ultimi anni il mangaka conduceva una vita serena, dai ritmi regolari, lontana dal lavoro ossessivo che lo aveva ridotto all’esaurimento, e questa ritrovata leggerezza si rispecchiava anche nella lenta, timida ripresa di Berserk. Narratore e narrato sembravano tornati in sintonia, non più intenti a divorarsi l’un l’altro, e la storia pareva avviarsi a una risoluzione.
Non sapremo mai se Miura fosse davvero pronto a chiudere quel cerchio. Forse la dissezione aortica che l’ha stroncato a inizio maggio è stato un evento totalmente fortuito e imprevedibile, o forse tutti quegli anni di ossessione e consunzione, tutto il sudore versato sulle pagine di Berserk avevano lasciato delle ferite che non potevano guarire. E viene da chiedersi se la vera dimensione di Berserk, quella più fedele e vicina al suo nucleo nerissimo, non sia proprio la sospensione dell’incompiuto. La missione di Miura, del resto, era come quella del suo Gatsu: disumana, impossibile, ma di vitale importanza per ricordarci che ciò che conta è il viaggio, non la meta; è l’orgoglio con cui affrontiamo l’inferno setacciando sul suo fondo ogni singola goccia d’amore.
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