Vado Ligure è una cittadina di poco più di 8mila abitanti. Meta di vacanze al mare per le famiglie liguri e piemontesi, il suo porto commerciale ha iniziato a espandersi dal 2013, quando la Banca europea per gli Investimenti ha concesso un prestito di 109,6 milioni di euro all’Autorità portuale di Savona per la costruzione di una piattaforma logistica polivalente di 21 ettari di estensione. Un progetto maestoso, che mira ad attirare navi cargo fino a 10mila Teu (ovvero “Twenty (feet) Equivalent Unit”, unità di misura della nautica commerciale equivalente a un container) e che negli ultimi anni ha raccolto l’interesse dei principali player mondiali nel settore dello shipping e della logistica. Il progetto ha però guadagnato una certa spinta solo dopo che ha iniziato a essere menzionato tra le infrastrutture di punta in Italia per uno dei più grandi piani di investimento infrastrutturali del Pianeta: la Belt and Road Initiative. Conosciuta anche come “la Nuova Via della Seta”, la Belt and Road Initiative è il piano di investimento globale del governo cinese. Secondo l’Ocse, una prima stima della portata degli investimenti si aggirerebbe sugli 800 miliardi di dollari. Altre fonti hanno fatto riferimento a una cifra ben più alta: fino a quattromila miliardi, mentre il quotidiano finanziario italiano “Il Sole 24 Ore” lo ha paragonato al Piano Marshall.
Nel marzo 2019, quando il presidente cinese Xi Jinping ha visitato l’Italia e l’Europa, i media hanno dato ampio spazio alla Belt and Road Initiative. Probabilmente ci troviamo di fronte all’esempio più avanzato di un modello sistemico di riorganizzazione della produzione globale, che sta aprendo la strada a una significativa espansione del commercio, della produzione e della finanza su scala mondiale.
Le cancellerie europee l’hanno accolta con favore già nel 2016, in occasione del G20 tenutosi a Hangzou, in Cina. All’epoca, il presidente del Consiglio Matteo Renzi dichiarò durante un’intervista al canale televisivo cinese Cctv che l’Italia era pronta a contribuire al successo del programma One Belt One Road, il nome piuttosto ambizioso che il piano di investimenti infrastrutturali aveva all’epoca. Renzi affermò che si trattava di “una grande opportunità per i porti italiani”. Nel 2016, con la creazione della Banca asiatica per le infrastrutture e gli investimenti (Aiib) e del Fondo per la Via della Seta, il piano di investimenti ha cominciato a vedere la luce.
Nel 2016, infatti, due dei maggiori operatori cinesi, Cosco Shipping Ports (40%) e Quingdao Port International con sede a Hong Kong (10%) sono entrati nel progetto della piattaforma logistica di Vado Ligure, nota anche come Vado Gateaway. L’altro azionista è Apm Terminals (50%), che fa parte del gruppo Maersk, la più grande compagnia di navigazione a livello globale.
È troppo presto per dire se i residenti di Vado beneficeranno o meno di questa mega infrastruttura. Tuttavia alcuni elementi sono già chiari. L’infrastruttura chiave del “sistema portuale più avanzato dei tre terminal regionali” è totalmente in mano a società straniere. Inoltre, Vado Gateway è stato progettato per consentire l’attracco di navi cargo di nuova generazione, ma la piattaforma logistica è priva di un collegamento ferroviario: tutte le merci usciranno dal terminal attraverso la rete viaria, sovraccaricando il traffico locale e regionale. Il risultato sarà un aumento dell’inquinamento per il territorio ospitante e dell’impatto climatico complessivo del progetto.
L’ampiezza dell’iniziativa Belt and Road e le potenzialità di un piano che prevede investimenti in Europa e nei paesi vicini hanno influenzato le politiche europee e nazionali in materia di investimenti infrastrutturali. L’interesse cinese per una specifica infrastruttura è stato occasionalmente utilizzato dai decisori politici e dai promotori di infrastrutture come quadro generale a sostegno degli investimenti nell’espansione portuale, nella logistica e nei trasporti. Nel caso dell’Italia, l’interesse cinese per alcuni dei suoi porti è stato utilizzato per presentare riforme legislative orientate a creare un ambiente commerciale favorevole agli investitori. Nel 2017, il cosiddetto “Decreto Sud” ha introdotto nella legislazione italiana le Zone economiche speciali. Queste sono descritte come “aree legate a un’area portuale” che potrebbero ricevere importanti benefici fiscali e semplificazioni amministrative. Ciò consentirebbe lo sviluppo di imprese già costituite o ancora da costituire, che potrebbero così attrarre più facilmente gli investimenti stranieri. La legge specificava che le Zone economiche speciali potevano essere istituite solo in prossimità dei porti che fanno parte di un corridoio di trasporto europeo incluso nella Ten-t (Trans-European Transport Network, ovvero l’insieme delle policy comunitarie che implementeranno una nuova rete di trasporto europea e nuovi corridoi infrastrutturali: https://ec.europa.eu/transport/themes/infrastructure/ten-t_en). Chiaramente, quindi, l’obiettivo principale è quello di attrarre investimenti stranieri per espandere i porti e riorganizzare la produzione nelle aree vicine ai porti che si trovano nei principali corridoi europei. Ma chi ne trarrà vantaggio?
Vincitori e vinti in un mondo pandemico
Il 2020 passerà alla storia non solo per la pandemia di Covid-19, ma anche per una delle più grandi crisi economiche della storia moderna. Una crisi in cui stanno già emergendo vincitori e vinti. Tra i primi, oltre ai giganti delle piattaforme di vendita al dettaglio online, troviamo anche le più grandi società di trasporto marittimo.
Un recente documento pubblicato dall’International Transport Forum (Itf), che riunisce i ministri dei Trasporti di 62 paesi membri dell’Ocse, segnala che un significativo sostegno statale per mitigare gli impatti di Covid-19 è stato diretto dai governi al settore dello shipping, in particolare alle compagnie di navigazione marittima e crocieristica. Il rapporto giustamente segnala che gli aiuti di Stato dovrebbero essere segnalati alle autorità dell’Ue, tuttavia paesi come Italia, Francia e Svezia hanno sostenuto il settore con compensazioni per la perdita di entrate e esenzioni fiscali. Tutto ciò, però, non è stato segnalato alla Commissione europea.
L’Itf prende posizione anche contro le principali società di trasporto merci. Secondo l’organismo internazionale, oltre a beneficiare in alcuni casi delle misure sul Covid-19, tra febbraio e giugno 2020 le compagnie hanno ridotto la capacità commerciale dei container sulle principali rotte, creando scarsità e spingendo artificialmente verso l’alto il prezzo per la spedizione di un container. Questo ha permesso loro di realizzare margini di profitto dell’8,5% nel secondo trimestre del 2020 – il profitto più alto dall’ultimo trimestre del 2010, nonostante la crisi attuale. Un profitto che secondo l’Itf “potrebbe essere visto come un sussidio ‘nascosto’ pagato dai consumatori”.
Poiché l’espansione dei porti, la riorganizzazione della produzione e il rilancio del commercio globale fanno parte della nuova ricetta per superare la recessione economica e la crisi, il settore dello shipping sta acquistando importanza. I benefici nascosti che il settore potrebbe ottenere in alcuni paesi durante la pandemia di Covid-19 sono rivolti ad alcune delle più grandi aziende a livello globale, che si sono espanse negli ultimi tre decenni e che sono tra gli attori che più beneficiano di un maggiore sostegno ai porti e all’espansione logistica.
La riorganizzazione della produzione globale lungo i megacorridoi infrastrutturali per favorire il just-in-time globale, specialmente nell’attuale contesto della pandemia globale Covid-19, porta con sé alcuni terribili interrogativi sul futuro che stiamo costruendo.
La tendenza alla concentrazione non è un fenomeno relativo solo al settore del trasporto via mare. Tuttavia, attraverso la definizione di alleanze, le principali compagnie di navigazione cargo potrebbero ridurre la concorrenza e definire una situazione di oligopolio in un comparto sempre più centrale per l’economia globale. Oltre alle fusioni e alle acquisizioni, le prime della classe si sono unite in tre grandi alleanze marittime globali: 2M, composta da Maersk e Msc group; Ocean, di cui fanno parte Cma Cgm / Apl, Cosco Shipping, Evergreen Line e Orient Overseas ContainerLine (Oocl); e The Alliance, che annovera Hyundai Merchant Marine, Hapag-Lloyd, Ocean Network Express (One) e Yang Ming. Oggi i membri di queste tre alleanze globali rappresentano circa l’80% del traffico di container a livello globale. In prospettiva, circa il 90% del traffico merci mondiale è movimentato via nave e rappresenta il 12% del Pil del mondo.
La concentrazione in alcuni casi comporta una penetrazione nell’intera catena di forniture. Le compagnie di navigazione possono essere azionisti o controllare anche gli operatori dei terminal, o far parte di alleanze commerciali con loro. Le alleanze possono arrivare fino ai fornitori di servizi portuali, coprendo l’intera catena di approvvigionamento.
Il caso di Msc
Due società europee sono le più grandi compagnie di trasporto container a livello globale per capacità Teu, il gruppo danese A.P. Møller – Mærsk e il gruppo italo-svizzero Mediterranean Shipping Company. Come accennato in precedenza, sono partner della 2M Alliance e in una ipotetica classifica globale sono seguiti dal gruppo cinese Cosco Shipping, un concorrente oltre che alleato in vari porti europei.
Msc è spesso associata al business delle crociere piuttosto che al trasporto di merci. Tuttavia, guardando più da vicino, l’azienda si presenta come un attore chiave nel settore delle spedizioni in Europa e nel mondo.
Con sede a Ginevra, l’azienda trova le sue radici nel Sud Italia, nella città di Sant’Agnello, vicino Napoli. Il fondatore, Gianluigi Aponte, è nato lì nel 1940, in una famiglia che già all’inizio del secolo scorso gestiva piccole imbarcazioni per il trasporto di passeggeri e merci nel Golfo di Napoli. Insieme alla moglie Rafaela Denat, figlia del banchiere svizzero Dominique Denat – che fu anche il primo socio d’affari di Aponte – in cinquant’anni hanno costruito un impero. Secondo Forbes, la coppia Aponte-Denat è al 230° posto tra le persone più ricche del mondo, con un patrimonio di 8,7 miliardi di dollari. La holding svizzera Msc è una società per azioni che risponde agli obblighi minimi previsti dalla legge svizzera, il che rende difficile l’accesso ad alcune delle informazioni più rilevanti sul gruppo. Inoltre, la società ha un modello di gestione quasi “a conduzione familiare”, con alcune delle persone più fidate che ricoprono molteplici posizioni chiave in diverse società controllate.
Il gruppo Msc è una superpotenza non solo nel trasporto merci. Attraverso la Terminal Investments Limited (Til), controlla circa 37 terminal che gestiscono i più importanti hub a livello globale, distribuiti in ventisei paesi. In Italia il gruppo Msc controlla alcuni dei porti più promettenti, come Gioia Tauro. Attraverso la Marinvest, controlla diversi terminal nei porti di tutta la penisola, tra cui Napoli, La Spezia, Civitavecchia, Genova, Catania, Venezia e Brindisi.
Con la costituzione della MedLog, costituita nel 2018, il gruppo è entrato nella logistica del trasporto merci su strada e nello sviluppo di hub logistici. Essendo presente in tutta la filiera, Msc si trova ora in una posizione di vantaggio e potrebbe diventare dominante nel prossimo futuro.
Infine il settore crocieristico. La celebre Msc Crociere attraverso diverse acquisizioni potrebbe diventare leader mondiale nel settore delle crociere turistiche e leader italiano nel trasporto passeggeri. Tra le società che ha acquisito in Italia vi sono Snav, Grandi Navi Veloci e lo storico marchio italiano Ignazio Messina & C.
Un modello fallimentare?
La concentrazione del potere e l’accumulazione di ricchezza nelle mani di poche gigantesche aziende a livello globale hanno lati negativi come lo sfruttamento, l’erosione dei diritti del lavoro, l’indebolimento della regolamentazione ambientale, l’aumento dell’estrazione delle risorse naturali.
La riorganizzazione della produzione globale lungo i megacorridoi infrastrutturali per favorire il just-in-time globale, specialmente nell’attuale contesto della pandemia globale Covid-19, porta con sé alcuni terribili interrogativi sul futuro che stiamo costruendo. I governi e le aziende stanno spingendo per una “Globalizzazione 2.0” come modo per rilanciare la produzione e superare la crisi economica, ma questo non fa altro che aumentare il divario tra chi ne beneficia e chi sostiene i costi di un modello orientato a diventare più disuguale e insostenibile. L’agenda degli investimenti cinesi in Europa si è dimostrata funzionale a mobilitare gli investimenti pubblici per l’espansione dei porti e delle relative infrastrutture, a beneficio di una manciata di aziende a livello globale. L’attenzione al settore dello shipping ci ha aiutato a vedere come una sola azienda, Msc Group, potrebbe in pochi anni guadagnare enormemente dalla riorganizzazione del settore e dagli investimenti pubblici in infrastrutture e benefici speciali su misura per il settore. Tuttavia, tale modello non solo è ingiusto, ma è anche in contrasto con la necessità di affrontare le cause alla radice del cambiamento climatico. L’espansione della produzione globale e del trasporto globale di merci, su navi ancora più grandi che funzionerebbero su un numero ancora maggiore a livello globale, è un piano orientato al profitto che non tiene conto dell’impronta globale di un modello ingiusto e ad alta intensità energetica a lungo termine.
La domanda allora è proprio questa: siamo sicuri che questa sia la direzione giusta da prendere?