Associazioni: Roma non le vuole
di Lorenzo Manni

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Nata a Roma nel 1988 nel quartiere San Lorenzo su iniziativa dello psichiatra e scrittore Marco Lombardo Radice, il Grande cocomero è un’associazione di volontariato che opera nel campo della psichiatria dell’età evolutiva.
Giovedì 9 Marzo 2016, tardo pomeriggio, i ragazzi del Grande cocomero sono impegnati in un accanito torneo di biliardino a eliminazione diretta e non fanno caso al grattare nervoso alla porta. Attraverso il vetro intravediamo la sagoma di qualcuno che nella pioggia non riesce a trovare la maniglia e si muove nervoso all’esterno. Facciamo entrare un signore alto, magro, visibilmente affaticato: portiamo dell’acqua, si siede su un divano, respira male, sembra in difficoltà. Ma non è vero.
Siamo noi quelli in difficoltà.
Verso la fine del 2014, Roma era stata travolta dalla scoperta della cosiddetta Mafia capitale, un’organizzazione criminale ramificata che aveva condizionato per diversi anni la politica cittadina gestendo appalti, lavori e affitti attraverso un consolidato sistema di corruzione di cui avevano beneficiato esponenti di tutti gli schieramenti politici.
Molto tempo prima, a metà degli anni Novanta del Novecento, la resistenza allo sgombero forzato di alcuni spazi occupati nella zona di Roma nord era riuscita a imprimere al Comune di Roma una forte accelerazione politica e culturale, culminata nell’emanazione di una delibera (26/1995) volta a regolamentare l’assegnazione di locali di proprietà comunale – spesso abbandonati e in pessime condizioni di manutenzione – per usi di tipo assistenziale, culturale, ricreativo e sportivo; avevano così trovato casa anche alcune associazioni, come Il grande cocomero, già attive nel sociale e nell’assistenza alle fragilità, che in virtù della loro indiscutibile rilevanza, avrebbero beneficiato di un affitto calmierato, pari al 20% del valore di mercato dello spazio assegnato. Ma la tempesta generata da Mafia capitale e dallo scandalo Affittopoli, insieme alle singolari tesi accusatorie di un oscuro procuratore della Corte dei conti ai danni di alcuni dirigenti comunali colpevoli, a suo dire, di un immenso danno erariale, generato dalla cattiva gestione del patrimonio comunale, avevano messo in difficoltà l’Amministrazione, allora guidata da Ignazio Marino, che decise di reagire nel modo peggiore di tutti: attaccando i deboli.
Con una tipica reazione autoimmune Roma capitale decide di espellere gli unici anticorpi di cui è provvista: la rete di associazioni di volontariato, spazi sociali, associazioni culturali che hanno sede nelle proprietà comunali e che negli ultimi venti anni si erano trovate a fronteggiare la generalizzata contrazione dei servizi pubblici diventando spesso l’unico punto di riferimento, di ascolto o di aiuto per le persone in difficoltà.
Il proposito si condensa nella famigerata delibera 140 del maggio 2015 che, esemplare nella sua poca chiarezza, può essere considerata un classico strano anello: si riconosce in gran pompa la valenza pubblica delle attività che si svolgono negli spazi in concessione, ma la loro regolamentazione deve passare per la riacquisizione, anche forzosa, del bene di proprietà comunale e la sua successiva riassegnazione attraverso un bando pubblico, bando da cui tuttavia sarebbero inevitabilmente escluse molte delle associazioni attualmente assegnatarie per un perverso meccanismo insito nella stessa delibera. I suoi estensori giurano oggi che la delibera rappresentava solo un passaggio amministrativo intermedio, volto a sopire i malumori dei dirigenti inquisiti dalla Corte dei conti, e che il successivo regolamento avrebbe chiarito tutto, consentendo di favorire le reali esperienze virtuose e colpendo chi invece in questi anni – ed erano tanti – delle agevolazioni di affitto se ne era colpevolmente approfittato, arricchendosi con operazioni al limite del lecito mascherate da attività sociali. Ma nel frattempo il Sindaco Marino si era dimesso, il regolamento non si era visto, e la gestione commissariale della città del Prefetto Tronca non era in grado di leggere tra le righe e cogliere le raffinate sfumature della precedente Giunta. Erano partite le lettere e iniziati gli sgomberi; gli spazi in questione sono circa 800, bisognava cominciare presto per finire presto.
Il tizio malmesso che grattava alla porta quel pomeriggio invernale era in realtà un vigile urbano in borghese; era venuto a consegnarci una determina di riacquisizione – di fatto un provvedimento di sgombero – con allegata intimazione di pagamento di 116.438,78 euro; la cifra, così lucidamente precisa, derivava da un complesso ricalcolo dei dovuti basato sulla cancellazione delle agevolazioni concesse in precedenza; il danno erariale era tutto qui e qualcuno adesso doveva rifonderlo interamente. A niente valevano i canoni versati, i lavori di ristrutturazione eseguiti e i servizi gratuiti erogati in oltre venti anni di attività. Da questo momento siamo illegali, occupanti senza titolo. Noi e le nostre eventuale masserizie (sic!).
Ma come? Lo so, lo so, fa il vigile.
Con un inaspettato autocontrollo e una lucida gestione dell’emotività riusciamo ad accompagnarlo alla porta cercando di non prendercela con lui che, ingrato, decide di darci la stoccata finale facendoci notare che il nostro cancello d’ingresso è sprovvisto di regolare numero civico e che, di conseguenza, rischiamo una ulteriore sanzione, una multa. Inutile far notare che il numero sul muro c’è, dipinto, in blu e nero; lancia con fatica un debole sguardo alla scritta e dice che è irregolare. Forse voleva sdrammatizzare.
“E comunque”, ci giriamo lentamente temendo il peggio, “stiamo consegnando centinaia di lettere dello stesso tipo in tutta la città”.
Bene. Non siamo soli. Ma di questo eravamo consapevoli. A Roma c’è una forza che nessuno è in grado di cancellare; soffre, si modifica, evolve, magari a volte è meno evidente, ma c’è da sempre. La rete cittadina che lega centri sociali, associazioni di volontariato, spazi culturali, è in continuità: esperienze lontane nello spazio e spesso molto diverse tra loro, sono connesse in una sorta di rete neurale in cui i legami elettrochimici sono sostituiti da quelli emotivi. La sera della lettera c’era una assemblea cittadina al Nuovo cinema palazzo. Gli sgomberi imminenti avevano attivato i gangli della rete, anche i più lontani; chi non era stato ancora raggiunto dalle lettere di sgombero era a disposizione degli altri. In un attimo si sono annullate le distanze.
Ci siamo ritrovati.
Il 19 marzo 2016 in piazza. Una manifestazione verso il Campidoglio, tanta gente preoccupata. E poi la costruzione della rete Decide Roma, l’ottenimento del blocco degli sgomberi almeno fino alle elezioni comunali. Lo stupore dell’intelligenza collettiva, le competenze personali messe in comune per una elaborazione condivisa, per confrontarsi politicamente con chi si candidava a governare la città. La Carta dei beni comuni, l’approfondimento sul debito pubblico, sui servizi, sul patrimonio comunale, i tavoli di lavoro, le assemblee, economisti, avvocati e giuristi accanto a militanti e volontari; un lavoro che ha prodotto documenti, proposte, spunti politici, manifestazioni, incontri. Ci siamo ritrovati parte di una città solidale, viva, piena di energia, propositiva, in grado di unirsi e farsi forza, senza scoraggiarsi di fronte al vuoto pneumatico dei nuovi amministratori, dimostratisi finora incapaci di cogliere gli stimoli di una comunità attiva che chiede partecipazione e costruzione dal basso.
La sindaca di Roma? Chi aveva visto il nuovo ha clamorosamente sbagliato.
Alle elezioni è seguito il vuoto, evidente ovunque in città.
Per quanto riguarda gli sgomberi, il patrimonio, le assegnazioni e tutto il resto, siamo in attesa; in attesa ancora una volta di un regolamento; un regolamento che, ovviamente, chiarirà tutto; un regolamento che tuttavia non potrà essere scritto in modo partecipato. Questo proprio no. Nel dogma assoluto del bando pubblico, il falso simulacro di imparzialità che in passato ha consegnato la gestione dei servizi pubblici a società controllate da Mafia capitale. E nel frattempo sono stati sgomberati altri spazi, inviate altre lettere, intensificati i controlli dei vigili urbani, in un clima che non lascia ben sperare; alcune voci parlano di valutazioni caso per caso da parte dell’assessorato al patrimonio, la possibilità di una divisione della città in Buoni e Cattivi, la scrittura del regolamento è rimandata a dopo quest’estate calda e siccitosa che rallenta tutto, ma in cui continuano gli sgomberi e il numero delle persone fragili lasciate in strada aumenta.
Chi decide di fare volontariato, di dedicare un po’ del proprio tempo all’altro-da-sé, lo fa per i motivi più disparati e personali; ci si spinge un po’ oltre la propria zona di sicurezza, ci si mette in gioco in prima persona, si guarda fuori. Chi si affaccia al volontariato in un’associazione come Il grande cocomero, non è detto che sia spinto da un afflato politico militante o dal volersi opporre alle grandi ingiustizie del mondo. Le associazioni, con le loro attività strutturate e continuative, consentono di partecipare con diversi gradi di coinvolgimento e di impegno, senza mettersi a rischio. Il contenuto delle lettere di sgombero con la richiesta illegittima di arretrati esorbitanti, esprime invece proprio il contrario: chi fa il volontario in un’associazione che ha sede (ormai illegalmente) in uno spazio del patrimonio comunale in concessione potrebbe trovarsi a subire uno sgombero, con il rischio di essere incriminato o denunciato, o coinvolto in una causa civile per il recupero di centinaia di migliaia di euro. Con un guizzo di cattivo gusto e un sorrisetto maligno, l’ex assessore ai servizi sociali della giunta Marino, tra i geniali estensori della delibera 140, ha detto pubblicamente che i rappresentanti legali delle associazioni rischiano proprio l’avvio di azioni legali nei loro confronti per il recupero delle somme richieste, pignoramenti, sequestri e tutto il resto.
A fare volontariato in questo contesto, se riesci a orientarti nella confusione della vicenda, oggi ci pensi bene.
E allora, quello che forse è il risultato peggiore e più deprimente di tutta questa storia, che chissà quando e come si concluderà, è che al Grande cocomero, così come altrove, si avvicinano sempre meno persone; già immerse nella loro quotidiana fatica personale, non possono scegliere di correre rischi più grandi anche della voglia di mettersi in gioco.
Qualche giorno fa, mentre allestivamo la scenografia in piazza dell’Immacolata a San Lorenzo per la tradizionale iniziativa del Grande cocomero nel quartiere, abbiamo incrociato il nostro vigile magro. Ci ha chiesto notizie; era dispiaciuto per la vicenda e in aperto disaccordo con l’amministrazione. Ci ha fatto gli auguri. Abbiamo ricambiato con affetto.
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