A teatro, la rivolta dei bigotti
A teatro lo scandalo ha una storia lunga: dall’antica Grecia in poi, ha creato scontri furibondi. Luogo privilegiato del consenso, il teatro ha saputo covare allo stesso tempo sacche di dissenso, di protesta. Pure in tempi recenti il teatro ha generato problemi, diventando protagonista di alcuni scandali amplificati dai media generalisti. Anche se il problema vero è forse che i media generalisti dedicano ampio spazio al teatro solo quando questo entra nel campo di ciò che è reputato scandaloso.
Nel 2007 le repliche milanesi di Accidens-Matar para comer dell’argentino Rodrigo Garcia furono in parte bloccate, per effetto di molti clamori: il perfomer, denunciando le multinazionali dei pesci in scatola, in scena uccideva, cucinava e si mangiava un astice. Pochi anni dopo Sul concetto del volto del Figlio di Dio di Romeo Castellucci venne accusato da una frangia di fondamentalisti cattolici, in buona parte lefevriani, di essere blasfemo. Sulla scena l’enorme volto di Gesù, dipinto da Antonello Da Messina, subiva l’ira di un attore che gli si scagliava contro, in preda alle disperazioni della vita (un padre anziano e incontinente, al quale doveva cambiare più volte il pannolone). A Santarcangelo il caso del danzatore completamente nudo che orina per strada, imitando il Manneken Pis di Bruxelles, arriva in parlamento. Di recente a Terni una danzatrice con fallo di lattice interpreta una coreografia nella quale si propone sulla scena la prolungata penetrazione anale del partner maschile.
Quando scoppia la polemica, dai media locali a quelli nazionali, il processo di approssimazione cresce esponenzialmente. Lo scontro si scatena tra frange opposte che solitamente non hanno visto lo spettacolo e sono anche piuttosto aliene da questioni teatrali e artistiche. Dall’ambito culturale il discorso scivola subito nelle dinamiche della battaglia politica, da salotto tv: c’è l’esperto, l’opinionista, la gara a chi la spara più grossa… Di solito da una parte si grida alla degenerazione morale e allo sperpero di soldi pubblici dall’altra alla censura e al fascismo. Quando la polemica scoppia sui grandi media, per un motivo o per un altro, scatta la recita dell’indignazione, dei moralismi e delle difese della libertà d’espressione. Di solito chi ci rimette è soprattutto il ragionamento critico, ricattato da una polarizzazione ideologica, non priva di echi pubblicitari.
Provocazione per provocazione tanto vale dire che forse nessuno dei lavori citati, a distanza di pochi anni, ha lasciato un segno significativo, se non nel ricordo dello scandalo mediatico che suscitò. L’insopportabile posizione di Garcia fu denuncia effimera e violenza gratuita; la debolezza dello spettacolo di Castellucci non era forse il suo non essere per nulla “blasfemo”, cioè non riuscire ad avere – a differenza di altri suoi lavori del passato – un respiro e uno sguardo realmente “verticali”? Il danzatore nudo a Santarcangelo fin dall’inizio sembrò un’azione tutt’al più virtuosa e citazionistica, un giochino per addetti ai lavori. Le ragioni delle destre naturalmente erano tutt’altre: incapaci di leggere i segni sulla scena si attaccavano a parole d’ordine moralistiche, svuotate di senso… Ma anche la bandiera contro la censura sventolava un po’ fiacca. L’appello era sempre il solito: l’arte può tutto, vietato censurare. Anche se di fatto non si trattava quasi mai di censura, perché gli spettacoli, salvo qualche eccezione clamorosa, andavano in scena regolarmente, con grande partecipazione. La censura vera in questi anni ha lavorato in maniera più ambigua, alle fondamenta del sistema, diffondendo regole e logiche di mercato, a discapito della qualità, facendo morire – e dunque davvero censurando – progetti, artisti, giovani gruppi…
Un nuovo spettro si aggira nei teatri
Uso improprio degli animali, rimandi blasfemi a immagini sacre, nudo in scena e sessualità… sostanzialmente questi i principali temi dello scandalo. Per innescare le dinamiche della provocazione bisogna frequentare l’eccesso e superare i limiti, o meglio un certo limite, condiviso da un sentire e da una morale comuni. L’effetto del déjà vu è sempre molto forte. È inevitabile che ci siano casi ripetitivi o variazioni sul tema. Ma quali sarebbero i limiti ancora da superare e come è possibile definire “morale e sentire comune” in un paese fortemente disgregato con pezzi di società tra loro impermeabili? L’ultimo episodio di teatro scandaloso (e pericoloso) è piuttosto interessante e apre questioni anche differenti. Si tratta di Fa’afafine. Mi chiamo Alex e sono un dinosauro del giovane siciliano Giuliano Scarpinato, autore e regista, produzione del Teatro Biondo di Palermo e del Css di Udine.
“Fa ‘afafine” è una parola usata nell’isola di Samoa per definire le persone che non amano identificarsi nel maschile o nel femminile: una sorta di terzo sesso a cui la società non impone una scelta e che gode di considerazione e rispetto. Siamo nell’ambito di quello che i giornali chiamano genericamente “gender”. A sfogliare le pagine dei quotidiani, delle riviste, dei siti web, a guardare ai dibattiti più discussi degli ultimi anni, a pensare alle mobilitazioni, alle raccolte firme, ai presìdi è piuttosto impressionante accorgersi di quanto e di come la questione degli studi di genere abbia acceso gli animi; è un nervo scoperto che smuove e mobilita moltissime persone. È una questione che catalizza tante battaglie sui diritti, molto più delle macroscopiche ingiustizie e differenze tra ricchi e poveri o tra vecchi e giovani. Difficile darsi una spiegazione univoca. Fatto sta che si assiste a una sorta di “liberazione sessuale 2.0”, sospinta da forti venti americani. È vero che in America Facebook per la determinazione del genere già offre ai suoi utenti cinquantasei differenti categorie, da agender, androgyne a two-spirit, passando per intersex, neutrois, other, pangender… e che esperienze di bisessualità sono pure molto “alla moda” tra gli adolescenti; ma anche in Italia, seppure lo stesso Facebook offra solo l’opzione maschio/ femmina, certe aperture e cambiamenti sono assai evidenti: pure la più democristiana delle fiction su Rai 1 mostra famiglie moderne, con personaggi omosessuali e bisessuali, costruite attorno a equilibri inediti e non tradizionali.
Nonostante resistenze e chiusure di una parte del mondo cattolico e delle destre più oltranziste, nonostante l’Italia mantenga differenze enormi tra nord e sud, tra centri urbani e zone periferiche, tra province e grandi città, nel giro di pochi anni gli studi di genere, portati avanti da poche minoranze, hanno avuto un impatto enorme, con conseguenze importanti, soprattutto sulle nuove generazioni. E allora perché lo spettacolo Fa’afafine di Giuliano Scarpinato ha provocato e continua a provocare un clamore così grande, tanto che la petizione contraria allo spettacolo è stata firmata, pare, da più di ottantamila persone? La risposta, in questo caso, appare molto semplice: lo spettacolo si rivolge ai bambini, dagli otto anni in su. Di per sé parlare di omosessualità o di gender fluid non provoca molto scandalo, ma parlarne a dei bambini può diventare peccato mortale. In tutte le città nelle quali è stato rappresentato lo spettacolo (da Bolzano, a Firenze, a Pistoia…) è scattata una polemica più o meno intensa promossa da Forza Nuova, Ass. Evita Peron, Lega Nord, Generazione Famiglia… La tournée dello spettacolo è stata seguita, e continua a portarsi dietro, comunicati stampa, dichiarazioni, interviste molto dure e poi qualche minaccia, proclami, presìdi… Là dove la Lega è forza di governo la polemica assume contorni particolarmente plumbei e minacciosi, ma anche nelle Regioni “rosse” stupisce il trambusto generale. I toni sono sopra le righe, si legge: “non aderire a iniziative che mirano a inculcare nelle menti dei bambini l’idea che la propria sessualità sia fluida”, “le famiglie chiedono urgentemente che la politica smetta di usare la scuola pubblica come un campo di rieducazione di massa per fabbricare individui privi di identità forti e incapaci di relazioni stabili, cioè prototipi di perfetti consumatori e sudditi obbedienti”. Le dichiarazioni paiono per lo più allarmiste, e ruotano sulla convinzione che si stia operando una sorta di “colonizzazione del gender”, che nelle scuole si stiano mettendo in testa ai bambini strane idee e che tutto questo influenzi pericolosamente le scelte sessuali. Ora, a voler essere severi, si può forse rimproverare a certi attivisti l’insistenza con cui si guarda agli stereotipi di genere a volte difettando di inscrivere il discorso in una cornice più ampia; si può non essere d’accordo sulla troppa attenzione rivolta ad alcuni dettagli, ma pensare che tutto questo vada a influenzare le scelte sessuali è francamente insostenibile, pensiero che sembra mossa da paure ancestrali, incontrollabili.
Da Pistoia con timore
A Pistoia le polemiche sono iniziate con la netta dichiarazione di un noto consigliere comunale di destra; sono seguiti gli interventi di Forza Nuova e della Lega Nord, alimentati dai giornali che hanno chiesto pareri e repliche. Naturalmente nessuno aveva visto lo spettacolo; erano tutti giudizi duri, ma generici, più da dibattito politico già ascoltato, già visto, senza agganci con la situazione specifica. Ecco che la percezione comincia a farsi schizofrenica: da una parte le dichiarazioni sui giornali appaiono chiaramente dentro una “recita” mediatica e come tali innocue; sono sconnesse dal contesto, provengono da una parte politica di estrema destra, numericamente circoscritta, una netta minoranza; dall’altra però anche nella parte più sensibile della città si insinua un certo “timore”. Lo spettacolo d’altronde ancora non lo ha visto nessuno, sarà adeguato ai bambini e ai ragazzini? Siamo proprio sicuri che sia giusto parlare di sessualità in età pre-puberale e soprattutto di questioni così delicate? La paura cresce. Le due repliche in programma, la mattina rivolte solo alle scuole, hanno l’adesione di pochissime classi. Mentre il dibattito si accende sulla stampa, arrivano le disdette. Rimangono prenotate solo due classi di insegnanti particolarmente sensibili e motivate. Una replica viene annullata e l’altra si svolge con carabinieri e polizia a tener d’occhio il presidio all’ingresso del teatro di una ventina di militanti della Lega Nord e di Forza Nuova con striscioni e volantini. Mai successo prima. La replica mattutina annullata viene spostata in orario serale e aperta a tutti. Nonostante il preavviso di solo un paio di giorni si sparge la voce e il teatro si riempie di insegnanti, educatori, ragazzini, curiosi, appassionati, politici e associazioni. Lo spettacolo viene accolto con grande favore e un sincero sentimento di sostegno.
Prima constatazione: un sospiro di sollievo. Gli spettatori rimangono esterrefatti dalla discrepanza tra il dibattito apparso sulla stampa e lo spettacolo. Nonostante i toni forzati e sopra le righe si era davvero insinuato un clima di timori, dubbi, paure.
La seconda considerazione riguarda il mondo della scuola. Di fronte alle polemiche, alle critiche, alle accuse l’istituzione scuola è risultata di fatto estremamente vulnerabile. Le scuole, per volere degli insegnanti o dei dirigenti, hanno disertato. Molti sicuramente non avranno ritenuto appropriata la proposta, ma la maggioranza ha arretrato per paura. In realtà a rileggere i comunicati e le dichiarazioni delle destre ci si accorge che sono molto più subdoli e insidiosi di quanto ci si aspetterebbe. L’anello debole che si vuole colpire non è tanto il teatro che sperpera i soldi pubblici, cioè la cultura (o “culturame”) e nemmeno genericamente la scuola, bensì il rapporto quanto mai difficile e in crisi tra insegnanti e genitori. Scrive Forza Nuova: “Riteniamo agghiacciante che la visione di questo spettacolo, chiaramente attuato e concepito con il solo scopo di indottrinare bambini a ideologie perverse e chiaramente contro natura, sia esclusivamente a discrezione del corpo docente, senza una previa consultazione dei genitori”. E così via. Il baluardo educativo è, e deve rimanere in mano ai genitori. Gli insegnanti vengono, ancora una volta, destituiti del loro compito educativo. Si alimenta il conflitto, richiamandosi alla responsabilità dei genitori, esortandoli a non lasciarsi ingannare. Paradossalmente si dice che presentare lo spettacolo in teatro potrebbe anche non essere un problema, l’errore è rivolgerlo alle scuole; eppure il ragionamento dovrebbe, anche a voler essere prudenti, funzionare esattamente al contrario. Si presenta alle scuole perché gli insegnanti che lo ritengano, facendo tutte le verifiche del caso, possano portare le loro classi accompagnando, preparando e rielaborando l’esperienza della visione, cosa che è difficilmente realizzabile in una canonica programmazione per le famiglie. Ma se dell’istituzione scolastica non c’è alcuna fiducia è naturale che tutto venga ribaltato. E in questo caso, di fronte a un argomento che si porta comunque dietro un antico tabù, la sessualità e l’infanzia, dar la prima parola ai genitori è la posizione largamente vincente.
Di cosa si è avuto paura?
Lo spettacolo racconta di Alex, otto anni, che scopre di voler bene “in modo speciale” a un suo compagno di scuola. Si mostrano i tormenti, le domande, le inquietudini del bambino che si è chiuso in camera e non vuole più uscire. Ha paura. Dei genitori, dei compagni di classe, dell’amico…
In scena è ricostruita la cameretta e sulle pareti si proiettano paesaggi o figure, che sono pensieri, desideri, sogni. La cameretta è un piccolo mondo, al contempo rifugio, pensatoio, nascondiglio. Un grande buco della serratura è proiettato sul fondale, dal quale si vedono i genitori che, preoccupati, gli parlano, cercando di capire cosa sta accadendo. Alex si è innamorato di un suo compagno di scuola. Gli lascia bigliettini a forma di cuore nell’armadietto. E adesso vuole accoglierlo in aeroporto, perché sta tornando con i genitori da una vacanza. Ma non sa come vestirsi. Si vede supereroe con un copricapo che preannuncia avventure e allo stesso tempo principessa con un lungo abito azzurro. Nella continua oscillazione sceglie entrambi i costumi dando vita a una figura buffa, unica, sicuramente ricca di elementi e imprevedibile. Vuole essere tutto assieme come l’unicorno, l’ornitorinco o i dinosauri.
Su internet scopre che a Samoa abitano i “fa ‘afafine”, persone che sente prossimi, perché neanche loro amano identificarsi in un sesso preciso e vivono liberi, senza complessi. Alex pensa di fuggire a Samoa, anche se in sogno l’isola gli appare deserta, vuota, senza abitanti. Lo spettacolo procede in modo delicato. Seguendo un ritmo ironico e leggero, la storia accenna a forme di discriminazione a scuola e racconta delle reazioni della preside, della telefonata scocciata e imbarazzata dei genitori dell’amico.
Il teatro offre tanti strumenti per permettere alla narrazione di evolversi naturalmente, perché Alex ricerca una propria identità tramite costumi e travestimenti, il dialogo con amici immaginari e una partitura di gesti ben ponderati. D’altronde oltre che della parola e dell’immagine il teatro è il luogo prediletto del corpo e da Tiresia a Dioniso è campo di esplorazione tra generi e mondi differenti. Molto merito va proprio all’attore Michele Degirolamo che da trentenne interpreta il bambino senza sottolineare in modo caricaturale o parodico gli aspetti femminili e infantili, ma al contrario inventandosi uno stile originale, non lezioso.
Scarpinato dichiara che il punto di partenza è Il mio bellissimo arcobaleno. Crescere un bambino di genere non conforme di Lori Buron, dove si raccolgono le esperienze di una madre che ha cresciuto un figlio gender fluid e racconta dei comportamenti e delle scelte necessarie per tirare su un figlio che non sia vittima di paure, insicurezze e tabù. Anche nello spettacolo si avverte un clima un po’ americano, soprattutto per lo stile che ammicca al telefilm e per un ottimismo di fondo che affida al dialogo e alla verbalizzazione le armi migliori per la risoluzione dei problemi. Ma è una chiave che funziona, soprattutto pensando alla pesantezza con la quale vengono affrontati questi temi e agli aspetti più cupi del problema, che riguardano le dure discriminazioni, le storie più tragiche, i problemi di salute. Anche in Italia di recente sono iniziati a nascere centri specializzati che accompagnano bambini e adolescenti in un cammino che, se non affrontato con attenzione, può generare sensi di emarginazione, depressioni, tendenze suicide… Di tutto questo nello spettacolo non si parla, ma si offre al pubblico la possibilità di seguire la giornata speciale di un bambino e dei suoi genitori, di confrontarsi con una differenza, alleggerendo la tensione, senza insistere troppo su pregiudizi, obblighi morali e sociali. Le difficoltà ci sono e sono grandi, ma si possono superare se c’è affetto e ascolto. Così più che altro, tramite questa giornata, gli spettatori, si confrontano con una diversità che si rispetta e che improvvisamente non fa paura. I più piccoli lo capiscono benissimo, tant’è che una bambina, pensando ai tanti bigliettini a forma di cuore nascosti nell’armadietto dell’amico, dice senza fronzoli che il problema di Alex è di essere appiccicoso.