Un diario brasiliano
Franco Basaglia fu nell’estate e nell’autunno del 1979, un anno prima della morte, in Brasile, a San Paolo, a Rio de Janeiro e a Belo Horizonte, dove tenne una serie di conferenze, davanti a operatori della sanità, studenti, sindacalisti. Ne pubblichiamo alcuni brani tratti dal volume curato da Franca Ongaro Basaglia e Maria Grazia Giannichedda, intitolato appunto “Conferenze brasiliane”, pubblicato da Raffaello Cortina Editore.
Philippe Pinel, citato da Franco Basaglia, nel 1793 era medico nel carcere-ospizio della Bicetre a Parigi e due anni dopo divenne primario alienista all’ospedale Salpetrière. E’ considerato uno dei fondatori del manicomio moderno assieme a Samuel Tuke, che nel 1791 aprì il Retrait di York, primo ricovero per malati di mente.
San Paolo 18 giugno 1979
Se partiamo dall’origine della psichiatria, nata come elemento di liberazione dell’uomo, dobbiamo ricordare Pinel, che liberò i folli dalle prigioni ma purtroppo, dopo averli liberati, li rinchiuse in un’altra prigione che si chiama manicomio. Cominciano così il calvario del folle e la grande fortuna dello psichiatra. Dopo Pinel, se esaminiamo la storia della psichiatria, vediamo emergere i nomi di grandi psichiatri; ma del malato di mente esistono solo denominazioni, etichette: isteria, schizofrenia, mania, astenia, ecc. La storia della psichiatria è storia degli psichiatri, non storia dei malati.
Fin dal Settecento questo tipo di relazione ha legato indissolubilmente il malato al suo medico, creando una condizione di dipendenza dalla quale il malato non è mai riuscito a liberarsi. Direi che la psichiatria non è mai stata altro che una brutta copia della medicina. Una copia nella quale il malato appare sempre totalmente dipendente dal medico che lo cura: importante è che il malato non sia mai in una posizione critica nei confronti del medico.
San Paolo 22 giugno 1979
Certamente una delle terapie più importanti per combattere la follia è la libertà. Quando un uomo è libero, quando ha il possesso di se stesso e della propria vita, gli è più facile combattere la follia. Quando parlo di libertà, parlo della libertà di lavorare, di guadagnarsi da vivere, e questa è già una forma di lotta contro la follia. Quando si ha la possibilità di rapportarsi con gli altri in modo libero, anche questa è già una lotta contro la follia. Certamente, la follia si evidenzia più facilmente in una vita inquieta, tesa, oppressiva e violenta come la nostra. Oggi lo vediamo in vari modi: in strada incontriamo ad ogni passo persone che non hanno un tetto, persone marginali. Oggi c’è la follia del vivere: noi viviamo come folli, forse neppure sappiamo se siamo folli o no…
Rio de Janeiro 28 giugno 1979
Nello Stato di diritto che nasce dopo la rivoluzione francese tutti gli individui sono formalmente eguali sul piano giuridico. Lo Stato si incarica di creare una serie di istituzioni che da un lato servono a difendere il cittadino dalle interferenze e dal potere dello Stato stesso, e dall’altro servono a concretizzare i principi astratti di libertà, eguaglianza e fraternità su cui si fonda il patto sociale.
E’ in questo contesto che nei paesi occidentali si formano le scienze umane, che allargano via via i loro territori. E’ dal nascente Stato moderno che Pinel riceve la delega a separare nelle prigioni i folli dai criminali. L’istituzione si divide in due parti, manicomio e carcere, e per la gestione di ciascuna lo Stato delega un suo rappresentante. Nasce allora la figura del frenologo, di cui Pinel è il rappresentante più interessante e dignitoso. Lo Stato che si organizza comincia in questo modo a creare i saperi, le discipline: nasce la frenologia, che poi si chiamerà psichiatria, si sviluppa la pedagogia a mano a mano che si concretizza l’istituzione scuola, e così per la polizia, per l’esercito moderno, ecc. Con lo stato democratico queste istituzioni si chiamano democratiche.
A distanza di molti anni, dobbiamo dire che queste istituzioni hanno fallito nel loro obiettivo: dovevano difendere il cittadino e invece lo reprimono. Prendiamo la polizia, per esempio, istituzione nata per difendere il cittadino nel territorio dello Stato. In Italia, all’entrata dei posti di polizia si legge: “la polizia è al servizio del cittadino”, ma non è questo che succede (non so come stiano le cose in Brasile). Se entriamo in un tribunale italiano, dietro la corte che giudica l’imputato, una scritta dice: “la legge è uguale per tutti”, ma non è vero perché la legge è uguale solo per alcuni. Entriamo a scuola e vediamo che la scuola insegna ad alcuni e non ad altri (e oltretutto non si sa che cosa insegni…). Per chi viene dalla borghesia o dalla classe media, la scuola è una fase di preparazione per l’ingresso nel circuito produttivo, per altri questo non esiste e questi altri magari neppure arrivano a scuola. La scuola costruita per soddisfare i bisogni delle persone serve in realtà per stigmatizzarne alcune. Chi entra i manicomio è matto e “matto” significa stigmatizzazione negativa di una persona. Chi entra in carcere, qualunque sia il perché, è criminale, e “criminale” è una connotazione negativa della persona. Quanto allo studente, se è promosso vuol dire che va bene; se è bocciato, allora è un cretino.
Questi sono esempi di come i saperi che rappresentano le istituzioni possono criminalizzare la persona. Allora, a che cosa servono le istituzioni? Evidentemente non serve a tutelare il cittadino ma a difendere e conservare lo Stato. Lo Stato di diritto tutela chi ha da chi non ha. Non voglio fare il sociologo o il politico, ma se esamino la realtà delle istituzioni arrivo alla conclusione che una scienza creata per rispondere ai bisogni di una persona serve in realtà a distruggerla, a criminalizzarla…
… Finora abbiamo discusso del manicomio e della psichiatria, ma se discutessimo della scuola arriveremmo alla stessa conclusione. La violenza con cui si esercita l’insegnamento e si istituzionalizzano i bambini a scuola somiglia molto a quella del manicomio. Ma è lo stesso addestramento scolastico a non aver senso. Per quale ragione i bambini devono iniziare la scuola a cinque anni e non a tre o a quattro anni? Non c’è nessuna ragione, dato che ciò che il bambino apprende a cinque anni può apprenderlo anche a tre, e infatti nelle famiglie borghesi i bambini iniziano la scuola sapendo leggere e scrivere, al contrario dei bambini proletari. La differenza di cultura tra i due determina già dall’infanzia la relazione tra oppresso e oppressore. Il bambino proletario è già stigmatizzato entrando a scuola, come è stigmatizzato il malato che entra in manicomio.
… la cosa importante è che abbiamo dimostrato che l’impossibile diventa possibile. Dieci, quindici, vent’anni fa era impensabile che un manicomio potesse essere distrutto. Magari i manicomi torneranno ad essere chiusi e più chiusi di prima, io non lo so, ma a ogni modo noi abbiamo dimostrato che si può assistere la persona folle in un altro modo, e la testimonianza è fondamentale. Non credo che il fatto che un’azione riesca a generalizzarsi voglia dire che si è vinto. Il punto importante è un altro, è che ora si sa cosa si può fare. E’ quello che ho già detto mille volte: noi, nella nostra debolezza, in questa minoranza che siamo, non possiamo vincere perché è il potere che vince sempre. Noi possiamo al massimo convincere. Nel momento in cui convinciamo, noi vinciamo, cioè determiniamo una situazione di trasformazione difficile da recuperare.
Rio de Janeiro 29 giugno 1979
… Ciò che è accaduto in Italia è stato molto semplice e banale. Abbiamo rifiutato il potere che ci era stato conferito col ruolo di medici, il potere che viene dalla classe dominante e che ci dà la possibilità di opprimere il malato e che ci dà la possibilità di opprimere il malato e abbiamo cercato un nuovo patto, un impegno con la parte oppressa della società. Quando apriamo il manicomio mettiamo in crisila nostra professione, perché diamo al malato la possibilità e le condizioni per criticare la nostra azione pratica.
Se si entra in un manicomio di qualsiasi parte del mondo, l’internato domanda sempre al medico “dottore, quando torno a casa?”. E il medico risponde sempre “domani”. Un domani che non significa nulla, un domani che sarà sempre un oggi di internamento eterno. Invece quando si apre il manicomio la persona ha il diritto di fare ciò che vuole, rimanere o andarsene. Perciò quando il malato chiede quando andrà a casa, il medico sarà obbligato a iniziare con lui un dialogo e in questo dialogo cessano di esistere oggetto e soggetto, ci sono due persone che diventano due soggetti. Se non accettiamo questa logica della contraddizione fra due persone, penso che dovremmo andare a vendere banane anziché a fare i medici.
… Noi medici abbiamo un pessimismo incredibile che è il pessimismo della ragione. Il medico ha studiato che le cose sono come sono. Come il bambino a scuola, il medico ha studiato che uno più uno fa due. E’ questa la sua logica riguardo al mondo in cui vive. E’ pessimista perché c’è sempre questo limite, che uno più uno fa due. E’ il pessimismo della ragione, patrimonio del tecnico e dell’intellettuale borghese. Noi medici democratici proponiamo un altro tipo di logica, quella che uno più uno può fare due, o quattro, o cinque, o dieci. Diciamo questo non perché abbiamo ricevuto l’illuminazione dallo spirito santo, ma perché la pratica ci ha dimostrato che uno più uno può fare tre o cinque. Se il concetto base della psichiatria era che il folle è pericoloso così come uno più uno fa due, noi abbiamo dimostrato che il folle è pericoloso come qualsiasi altra persona che agisce nella società, ha la stessa probabilità di essere pericoloso. La pratica ha cambiato il risultato di uno più uno. Abbiamo messo l’ottimismo della volontà al posto del pessimismo della ragione.
Belo Horizonte 7 luglio 1979
… non è vero che lo psichiatra ha due possibilità, una come cittadino dello Stato e l’altra come psichiatra. Ne ha una sola: come uomo. E come uomo io voglio cambiare la vita che faccio e per questo voglio cambiare l’organizzazione sociale, non con la rivoluzione ma semplicemente esercitando la mia professione di psichiatra. Se tutti i tecnici esercitassero la loro professione, questa sì che sarebbe una vera rivoluzione…. Trasformando il campo istituzionale in cui lavoro io cambio la società, e se questo è onnipotenza, via l’onnipotenza !
Belo Horizonte 17 novembre 1979
Io non ho mai detto che la malattia mentale non esiste. Preferisco fare un altro discorso: io critico il concetto di malattia mentale, non nego la follia, la follia è una situazione umana. Il problema è come affrontare questa follia, quale atteggiamento noi psichiatri dobbiamo avere di fronte a questo fenomeno umano, come possiamo rispondere a questo bisogno. Abbiamo visto che tutte le risposte date finora sono sbagliate e che la malattia mentale come razionalizzazione della follia è un concetto assurdo; non sbagliato assurdo: la schizofrenia in quanto tale è una semplice etichetta che mi serve per avere una distanza e quindi un potere sullo schizofrenico.