“2+2=4. Il nero è nero. Il bianco è bianco.” L’ultimo discorso di Alla Gutnikova
Traduzione di Francesca Stefanelli
Come resistere al flusso della storia e contemporaneamente farne parte? E’ questo che sembra chiedersi l’autrice quando, uscendo dalla sua autoproiezione di “bimba, pesciolino, ragazzino che va ancora scuola” si cala nel “novero degli esseri umani”. Se nell’autofiction “Il canto del cigno di Alla Gutnikova”, un testo ibrido alla cui spina dorsale si agganciano le citazioni e i riferimenti più disparati, la protagonista reagisce e si difende psicologicamente dalla barbarie di una perquisizione e di un lungo processo grazie ai suoi interessi, ai suoi studi e alla sua, proprio letteralmente, conoscenza (alle domande dell’investigatore sui suoi whereabouts risponderà con definizioni enciclopediche, schermaglie linguistiche e kalambours), nell’ultimo discorso in tribunale, dopo un anno agli arresti domiciliari costellato da discorsi quotidiani sui vari aspetti della situazione, Alla è quasi apofatica: “celerò le mie piccole, tenere parole sulla punta della lingua”. Ma di chi stiamo parlando?
Alla Gutnikova è una poco più che ventenne attivista, traduttrice, giornalista e, in primis, studentessa che è stata privata dell’agentività sulla propria vita. Alla Gutnikova, studentessa di culturologia ed ex redattrice del giornale indipendente DOXA con sede a Mosca, ha passato l’ultimo anno della sua vita agli arresti domiciliari ventidue ore su ventiquattro per un video divulgativo sui diritti dellə studentə russə durante le proteste del 2021.
Il flusso della storia è il fattore di discrimine tra queste due proposizioni; l’abisso della storia è ciò che divide l’aprile 2021 dall’aprile 2022. Se la conoscenza è il seme dell’eterno, la più grande barriera difensiva contro la violenza, l’accidente storico, che sia una perquisizione o lo scanno di un tribunale, appare come il segno di un male strutturale, prediscorsivo, quasi unica cifra interpretativa del reale. Ma la libertà nella storia esiste, si dispiega dialetticamente, si concretizza, e Alla ci dà, alla fine del suo discorso, una ben precisa indicazione su cosa sia, soprattutto su cosa assolutamente non sia, e su come la si debba cercare.
(Francesca Stefanelli)
Non parlerò del caso giudiziario, delle perquisizioni, gli interrogatori, i tomi, i processi. È noioso, e non avrebbe senso. Negli ultimi tempi frequento la scuola della stanchezza e della frustrazione. Ma già prima dell’arresto ero riuscita a iscrivermi alla scuola del saper parlare di quello che conta.
Vorrei parlare di filosofia e letteratura. Di Benjamin, Derrida, Kafka, Arendt, Sontag, Bartes, Foucalt, Agamben, di Audre Lorde e bell hooks. Di Timofeeva, Tlostanova e Rahmaninova.
Vorrei parlare di poesia. Di come leggere poesia contemporanea. Di Gronas, Daševskij e Borodin.
Ma ora non è né tempo né luogo. Celerò le mie piccole, tenere parola sulla punta della lingua, sul fondo della laringe, tra lo stomaco e il cuore. E dirò solo qualcosina.
Spesso io mi sento un pesciolino, un uccellino, un ragazzino che va ancora a scuola, una bimba. Ma di recente ho scoperto con stupore che anche Brodskij è stato messo sotto processo a 23 anni. E dato che sono stata ammessa anche io al novero degli esseri umani, dirò:
Nella Kabbalah esiste il concetto di tikkum olam – perfezionare il mondo. Io vedo che il mondo è imperfetto. Credo che, come ha scritto Yehuda Amichai, il mondo fu creato bellissimo perché vi fossero il bene e la tranquillità, come una panchina in un cortile (in un cortile, non in una corte di appello!). Credo che il mondo sia stato creato per la tenerezza, la speranza, l’amore, la solidarietà, la passione, la gioia.
Ma il mondo è un posto di terribile, insostenibile, di troppa violenza. E io non la voglio la violenza. In nessuna forma. Né nelle mani dei professori nelle mutande delle studentesse, né nei pugni di un padre di famiglia ubriaco sui corpi della moglie e dei figli. Se decidessi di elencare tutti i casi di violenza che ho intorno, non mi basterebbe un giorno, una settimana, un anno. Per vedere la violenza che abbiamo intorno è sufficiente aprire gli occhi. I miei occhi sono aperti. Vedo la violenza, e non la voglio. Più violenza c’è, più fermamente io non la voglio. E più di ogni altra cosa, ciò che non voglio è quella violenza più enorme, più terrificante.
Amo molto studiare: da ora parlerò attraverso le voci di altri.
A scuola, nelle lezioni di storia, ho imparato le frasi “Voi crocifiggete la libertà, ma l’animo umano non conosce catene” e “Per la libertà, vostra e nostra”.
Al liceo ho letto Requiem di Anna Achmatova, Viaggio nella vertigine di Evgenija Solomonovna Ginzburg, Il teatro soppresso di Bulat Šavlovič Okudžava, Figli dell’Arbat di Anatolij Naumovič Rybakov. Di Okudžava più di tutto ho amato la poesia:
Coscienza, dignità e onore
ecco la nostra sacra torma
tendile il palmo, per lei anche nel fuoco
non proverai timore
Illustre e mirabile è il suo volto.
Dedicale il tuo secolo breve
Potresti anche non vincere, ma almeno
Morirai da essere umano!
Alla MGIMO (Istituto statale di Mosca per le relazioni internazionali) ho studiato il francese e memorizzato il verso di Edith Piaff “Non poteva durare per sempre”. E quello di Marc Robine “Non può continuare così”.
A diciannove anni sono andata a Majdanek e Treblinka e ho imparato come si dice “mai più” in sette lingue: never again, jamais plus, nie wieder, קיינמאל מער, nigdy więcej, לא עוד.
Ho studiato i Maestri ebrei e mi sono innamorata di due proverbi. Rabbi Hillel diceva “Se non ci sono io per me, allora chi ci sarà per me. Se esisto solo per me, a che scopo esisto? Se non ora, quando?” e Rabbi Nachman diceva “Il mondo intero è un ponte stretto, la cosa importante è non avere paura”.
Poi mi sono iscritta alla Scuola di Culturologia e ho imparato delle altre lezioni importanti. Prima cosa, le parole hanno un significato. Seconda, bisogna chiamare le cose col loro nome. E infine, sapere aude, cioè abbi il coraggio di usare la tua testa.
Fa molto ridere che il nostro caso sia legato agli studenti. Ho insegnato ai bambini materie umanistiche in inglese, ho lavorato come tata, sognavo di partecipare al programma “Insegnante per la Russia” in qualche piccola città per due anni e seminarvi l’intelligenza, la bontà, l’eterno. Ma la Russia – parole del pubblico ministero Trjakin – ritiene che io abbia spinto dei minorenni a compiere azioni pericolose per la loro vita. Se un giorno avrò dei figli (e ne avrò, perché ricordo bene il Comandamento più grande) appenderò alla loro parete il ritratto del governatore Ponzio Pilato, per farli crescere persone pulite. Ponzio Pilato, in piedi che si lava le mani – raffigurato così. Sì, se ora pensare e non essere indifferenti mette a repentaglio la vita, non so cosa dire di questo capo di accusa. Me ne lavo le mani.
E ora arriva, un momento di sincerità. L’ora della trasparenza.
Io e i miei amici e amiche non riusciamo a trovare riparo dal terrore e dal dolore, ma quando scendo giù per prendere la metro io non vedo visi rigati di lacrime. Non vedo visi rigati di lacrime.
Nessuno dei miei libri preferiti – né per bambini, né per adulti – mi ha mai insegnato l’indifferenza, l’apatia, la viltà. Mai da nessuna parte mi sono state insegnate queste frasi:
siamo piccoli uomini
sono una persona semplice
non è tutto così univoco
non si deve credere a nessuno
come dire, non mi interesso di tutte queste cose
non sono troppo dentro la politica
questo non mi riguarda
niente dipende da me
è compito degli organi competenti
cosa mai potrei fare io solo
Io conosco e amo tutt’altre parole.
Jonn Donn attraverso Hemingway dice:
Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te.
Mahmoud Darwish dice:
Quando prepari la colazione, pensa agli altri
(non dimenticare il cibo per i piccioni).
Quando fai le tue le guerre, pensa agli altri
(non dimenticarti chi cerca la pace).
Quando paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri
(chi viene nutrito dalle nuvole)
Quando torni a casa, a casa tua, pensa agli altri
(non dimenticare le persone nei lager)
quando dormi e conti le stelle, pensa agli altri
(a chi non ha dove dormire)
quando ti esprimi tramite metafore, pensa agli altri
(a chi ha perso il diritto di parola)
quando pensi a chi è lontano, pensa a te
( dì: se solo fossi candela dentro al buio)
Gennadij Golovatij dice:
I ciechi non possono guardare irati
I muti non possono urlare con rabbia
Chi non ha braccia non può imbracciare armi
Chi non ha gambe non può marciare.
Ma – i ciechi possono guardare irati
I muti possono parlare con ira
Chi non ha braccia può imbracciare armi
Chi non ha gambe può marciare
Qualcuno, lo so, ha paura. Sceglie di tacere.
Ma Audre Lorde dice:
Your silence will not protect you.
Nella metro di Mosca dicono:
Ai passeggeri è proibito salire sui mezzi che viaggiano su binari morti.
E la band Akvarium da Pietroburgo aggiunge: questo treno sta andando a fuoco.
Lao Tzu tramite Tarkovskij dice:
La cosa più importante: che credano in se stessi, che si sentano impotenti, come bambini. Perché grande cosa è la debolezza, e infima la forza. Quando l’essere umano viene al mondo è debole e malleabile, quando muore invece è forte e insensibile. L’albero mentre cresce è tenero e flessibile, ma quando diventa secco e duro muore. La freddezza e la forza sono i compagni della morte. La debolezza e la tenerezza esprimono la freschezza della vita che esiste. Per questo ciò che si è indurito non può vincere.
Ricordatevi che la paura divora l’anima. Ricordatevi del personaggio di Kafka che vede “nel cortile della prigione una forca, crede erroneamente che sia destina a lui, evade di notte dalla cella e si impicca”.
Siate come bambini. Non abbiate paura di chiedere, a voi stessi e agli altri, cosa sia male e cosa bene. Non abbiate paura di dire che il re è nudo. Non abbiate paura di gridare, di scoppiare a piangere. Ripetete, a voi stessi e agli altri: 2 + 2 = 4. Il nero è nero. Il bianco è bianco. Io sono un essere umano, sono forte e coraggioso. Forte e coraggiosa. Fortə e coraggiosə.
La libertà è un processo, nel corso del quale allenate giorno dopo giorno la vostra indisponibilità ad essere schiavə.
Il discorso è stato pubblicato nella sua versione originale sul sito di DOXA.
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