Gli Asini - Rivista

Educazione e intervento sociale

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Yankee go home. Il benefattore statunitense in America latina

Illustrazione di Martina Sarritzu
22 Ottobre 2020
Ivan Illich

Discorso tenuto il 20 aprile 1968 a Chicago, rivolto a una platea composta da studenti dell’associazione cattolica statunitense Ciasp (Conference on Inter-American Student Projects) dedita a iniziative di volontariato in America del Sud.

È molto difficile parlare stasera, perché una ventina o trentina di noi ha già avuto oggi stesso una conversazione di cinque ore, e ci sono altri con cui ho discusso in privato. È come se noi tutti stessimo guardando nella stessa direzione e vedessimo cose diverse. Se ho capito bene il senso del seminario a cui ho preso parte stamattina, il tema di questa conferenza non è stabilire come prepararvi all’estate che forse passerete in Messico nel 1968 o 1969, bensì individuare i cambiamenti e le revisioni che si rendono necessari quanto a struttura, organizzazione, ideologia, dottrina, regole e finanziamento del Ciasp. Spero che ci siamo trovati d’accordo su questo: solo un cambiamento radicale potrebbe forse autorizzare un essere umano decente nel 1969 a insistere nella sua affiliazione al Ciasp. Tuttavia, nelle conversazioni che ho avuto oggi, sono rimasto colpito da due cose, e le voglio dichiarare prima di iniziare il discorso che ho preparato.

Sono rimasto colpito dalla vostra consapevolezza che le motivazioni dei volontari statunitensi all’estero scaturiscono per lo più da sentimenti e concezioni molto alienati. Sono rimasto ugualmente colpito da ciò che, tra aspiranti volontari quali voi siete, interpreto come un passo avanti: l’apertura all’idea che l’unica cosa per la quale voi potreste legittimamente fare volontariato in America Latina sia la volontaria rinuncia al potere, la volontaria presenza come persone che possono solo ricevere: amate o adottate, si spera, ma senza alcuna possibilità di ricambiare il dono.

Sono rimasto altrettanto colpito dall’ipocrisia della maggior parte di voi: dall’ipocrisia dell’atmosfera prevalente qui dentro. Dico questo come un fratello che parla a fratelli e sorelle. Lo dico contro molte resistenze interiori; ma lo devo dire. Proprio la vostra consapevolezza, proprio la vostra disponibilità a riconsiderare le attività svolte vi rendono ipocriti perché i più tra voi hanno già deciso di passare la prossima estate in Messico, e quindi non sono disposti ad andare fino in fondo nel ripensamento del vostro programma. Chiudete gli occhi perché volete tirar dritto, e non potreste farlo se consideraste seriamente alcuni fatti.

È ben possibile che questa ipocrisia sia inconsapevole nella maggior parte di voi, non in tutti voi però, di questo sono davvero certo. Sul piano intellettuale, siete perfettamente in grado di capire che le motivazioni che potevano legittimare un’attività di volontariato all’estero nel 1963 non possono essere invocate per la stessa attività nel 1968-1969. “Vacanze in missione” tra i poveri messicani erano la cosa da fare per gli studenti americani benestanti all’inizio di questo decennio: il turbamento sentimentale per una povertà da poco scoperta a sud del confine, abbinato alla totale cecità verso una povertà ben più grave in patria, giustificava queste escursioni caritative. Un chiaro discernimento delle difficoltà di un’azione volontaria fruttuosa non aveva ancora snebbiato l’entusiasmo di Peace Corps, Papal Volunteers e volontari fai da te.

Oggi l’esistenza di organizzazioni come la vostra è offensiva per il Messico. Volevo fare questa affermazione allo scopo di spiegare perché sono nauseato da tutto ciò, e farvi capire che le buone intenzioni non hanno molto a che vedere con quello di cui stiamo discutendo qui. Al diavolo le buone intenzioni. Questa è una affermazione teologica. Non aiuterete nessuno con le vostre buone intenzioni. C’è un proverbio irlandese che dice: la via per l’inferno è lastricata di buone intenzioni – e sintetizza bene la medesima consapevolezza teologica.

Avrei preparato questo intervento in modo diverso, soprattutto nello stile, avessi avuto prima queste cinque ore di conversazione con voi. L’avrei reso meno aspro e ancora più preciso. Non posso modificarlo adesso perché la mia padronanza dell’inglese non basta a far sì che il discorso resti comprensibile se lo vado cambiando mentre lo leggo.

Prima di leggere, volevo aggiungere qualcos’altro. Nel corso di questa giornata sono arrivato a credere nella sopravvivenza del Ciasp. Nel venire qui consideravo mio dovere proseguire nei miei sforzi per farvi cessare l’attività. Ora vedo che troppi soldi, troppi interessi costituiti, troppe illusioni sorreggono il Ciasp per permettere a questa organizzazione di scomparire. Perciò dobbiamo chiederci cosa fare del Ciasp, dal momento che non può morire.

Sono giunto alla conclusione che, probabilmente, ci sono alcune persone che potrebbero mettere a profitto l’esperienza dei passati anni Ciasp per sviluppare una sorta di agenzia educativa che renda possibile agli studenti nordamericani di vivere in Messico. Con “vivere” intendo “Vivere”, con la maiuscola; vivere in senso biblico in Messico per un mese, perfettamente consapevoli dei limiti di una simile esperienza, del pericolo di illusioni narcisistiche in un incontro tanto breve, e tuttavia vivere lì.

Non sono affatto sicuro che il Ciasp nel suo insieme dovrebbe servire a questo scopo in futuro, o che sarebbe in grado di farlo: potrebbe essere troppo segnato dai suoi peccati d’origine, peraltro non riconosciuti da voi come peccati, ma considerati piuttosto come semplici difetti, lo non penso che la vera conversione sia possibile a meno che non si dica: “Non mi sono sbagliato, avevo torto. Mi sono lasciato indurre all’ideazione e organizzazione del Ciasp dal mio orgoglio profondamente radicato, dalla fede nella mia superiorità, dalla mia convinzione di avere qualcosa da dare”. Non credo che tale “conversione” sia possibile per un’intera organizzazione, ma sono convinto che sia possibile per alcuni individui.

Alcuni di voi potrebbero ancora trarre profitto dalle esperienze fatte in passato nel Ciasp o grazie al Ciasp. Proprio la frustrazione e l’umiliazione che avrete forse provato nella partecipazione ai suoi programmi potrebbe condurvi a una nuova consapevolezza: la consapevolezza che persino i nordamericani possono ricevere il dono dell’ospitalità senza avere la minima possibilità di compensarlo: la consapevolezza che per alcuni doni non si può nemmeno dire “grazie”.

E ora, il discorso preparato in precedenza.

Negli ultimi sei anni mi sono fatto conoscere per la mia progressiva opposizione alla presenza di qualsivoglia “benefattore” nordamericano in America Latina. Di certo siete al corrente dei miei attuali sforzi per ottenere il ritiro spontaneo dal continente di tutte le armate di volontari nordamericani: missionari, membri del Peace Corps e gruppi come il vostro, una “divisione” organizzata per l’invasione filantropica del Messico. Sapevate queste cose quando avete invitato proprio me tra tutti gli interlocutori possibili, a fare da oratore principale alla vostra assemblea annuale. Si stenta a crederci!

Posso solo concludere che il vostro invito significhi una di almeno tre cose.

Alcuni di voi potrebbero essere giunti alla conclusione che il Ciasp dovrebbe o sciogliersi del tutto o eliminare dai suoi scopi istituzionali la promozione di aiuti volontari ai poveri del Messico. Dunque potreste avermi invitato qui per incoraggiare altri ad abbracciare questa stessa convinzione.

Potreste anche avermi invitato per imparare come si affrontano le persone che la pensano come me, come si discute efficacemente con loro e come si fa a confutarle. È diventato abbastanza comune invitare dei portavoce del Black Power a parlare ai Lions Club. Una “colomba” non può mancare in una pubblica discussione mirata a incentivare gli sforzi bellici statunitensi.

E infine, potreste avermi invitato qui sperando di riuscire a essere d’accordo con la maggior parte di quel che dico per poi tirare avanti in buona fede e lavorare quest’estate nei villaggi messicani. Quest’ultima possibilità è aperta solo a chi non ascolta oppure non è in grado di capire.

Non sono venuto qui per discutere. Sono qui per dirvi, possibilmente per convincervi, auspicabilmente per distogliervi dalla pretesa di imporre la vostra presenza ai messicani.

Sono sinceramente convinto che il volontario americano abbia intenzioni infinitamente buone. Ciò non toglie che la sua buona fede possa di norma spiegarsi soltanto con un’abissale mancanza di discrezione e discernimento. Per definizione, voi non potete che essere piazzisti in vacanza dello “stile di vita americano” della classe media, perché è questa l’unica vita che conoscete.

Un gruppo come il vostro non avrebbe potuto svilupparsi se non lo avesse corroborato un sentire diffuso negli Stati Uniti, la convinzione che ogni vero americano debba condividere le benedizioni di Dio coi suoi simili meno fortunati. L’idea che ogni americano abbia qualcosa da dare e che in ogni circostanza possa, sappia e debba darlo spiega come mai a degli studenti sia venuto in mente di poter aiutare i contadini messicani a “svilupparsi” trascorrendo un’estate in loro compagnia. Naturalmente, questa singolare convinzione è stata supportata dai membri di un ordine missionario, che non avrebbero alcuna ragione di esistere se non nutrissero la stessa convinzione, solo molto più forte. Ora per voi è giunto il momento di guarire da questa illusione.

Come i valori che veicolate, voi siete il prodotto di una società americana di vincitori e consumatori, col suo sistema bipartitico, la sua scolarizzazione universale, la sua agiatezza da auto privata. Ne siate consapevoli o meno, siete in sostanza i “commessi viaggiatori” di una fede chimerica negli ideali di democrazia, pari opportunità e libera impresa presso gente che non ha la più remota possibilità di giovarsene.

Dopo il denaro e le armi, la terza principale voce dell’export bellico nordamericano è l’idealista statunitense, che sbuca su ogni teatro delle operazioni in ogni angolo del pianeta: l’insegnante, il volontario, il missionario, l’organizzatore di comunità, il cooperatore economico e il benefattore in vacanza. Idealmente, questa gente intende il proprio ruolo come di servizio. Di fatto, finisce spesso per ammortizzare i danni provocati da armi e denaro, o per “sedurre” i “sottosviluppati” ai vantaggi del mondo dell’opulenza e del successo. Ma forse è arrivato il momento di far capire al popolo degli Stati Uniti che lo stile di vita che si è scelto, semplicemente, non è vitale abbastanza da poter essere condiviso con altri.

Ormai dovrebbe essere evidente a tutta l’America che gli Stati Uniti sono impegnati in una formidabile lotta per la sopravvivenza. Essi non possono sopravvivere se il resto del inondo non si convince che qui abbiate il paradiso in terra. La sopravvivenza degli Stati Uniti dipende dal fatto che tutti gli uomini cosiddetti “liberi” accettino l’idea che qui la classe media “ce l’ha fatta”. Il suo stile di vita è diventato una religione che chiunque non voglia morire di spada o di napalm deve abbracciare. In tutto il mondo gli Stati Uniti stanno combattendo per promuovere e proteggere almeno una minoranza che consumi ciò che la maggioranza degli americani può concedersi. Questo è lo scopo dell’Alleanza per il progresso della classe media che gli Stati Uniti hanno stipulato alcuni anni fa con l’America Latina. Ma sempre più questa alleanza commerciale deve essere protetta con le armi, le sole in grado di garantire alla minoranza che “ce la può fare” la difesa delle sue conquiste e avanzamenti.

Tuttavia a una minoranza non bastano le armi per comandare. Le masse emarginate diventano turbolente se non viene data loro una dottrina o una fede che giustifichi lo status quo. Questo compito è assegnato al volontario statunitense, si tratti di un membro del Ciasp o un operatore dei cosiddetti “programmi di pacificazione” in Vietnam.

Gli Stati Uniti sono attualmente impegnati in una guerra su tre fronti per affermare i loro ideali di “democrazia” acquisitiva e rampante. Dico “tre” fronti perché tre grandi aree del mondo stanno sfidando la validità di un sistema politico e sociale che rende i ricchi ancora più ricchi e i poveri sempre più marginali al sistema.

In Asia sono minacciati da un potere costituito in Cina. Gli Stati Uniti combattono la Cina con tre armi: le piccolissime élite asiatiche che non potrebbero augurarsi di meglio che una alleanza con gli americani; un’enorme macchina da guerra per impedire ai cinesi il taking over, come si usa dire qui da voi; e la rieducazione violenta dei popoli cosiddetti “pacificati”. Tutti e tre questi sforzi sembrano sulla via del fallimento.

A Chicago non sembrano riscuotere molto più successo i tentativi compiuti da fondi per la povertà, forze di polizia e predicatori dal pulpito per tener sotto controllo la riluttanza della comunità nera ad aspettare educatamente l’integrazione al sistema.

E infine, in America Latina l’Alleanza per il progresso ha avuto un certo successo nell’accrescere il numero di persone che economicamente non potrebbero star meglio, intendendo le minuscole élite della classe media, e ha creato le condizioni ideali per le dittature militari. Prima i dittatori erano al servizio dei proprietari terrieri, ma ora proteggono i nuovi complessi industriali. Da ultimo arrivano i volontari statunitensi, per aiutare il perdente ad accettare il suo destino dentro a questo processo!

Tutto quel che farete in un villaggio messicano è creare disordine. Nel migliore dei casi, potrete provare a convincere le ragazze messicane a sposare un giovane “che si è fatto da sé”, ricco, un consumatore, altrettanto irrispettoso della tradizione quanto uno di voi. Nel caso peggiore, col vostro spirito di “sviluppo della comunità” potreste creare abbastanza problemi da far sì che qualcuno muoia ammazzato dopo le vostre vacanze, quando voi sarete tornati di corsa ai vostri quartieri middle class dove i vostri amici fanno battutacce su spics e wetbacks.

Iniziate il vostro intervento senza alcun tirocinio. Persino il Peace Corps investe circa diecimila dollari su ciascun membro per aiutarlo ad adattarsi al nuovo ambiente e tutelarlo dallo shock culturale. Strano che nessuno abbia mai pensato di spendere soldi per formare i poveri messicani, così da evitare a loro lo shock culturale di incontrare voi!

Ma la verità è che non potete nemmeno incontrarla, la più parte delle persone che immaginate di servire in America Latina, neppure se ne parlaste la lingua, cosa che la maggior parte di voi non sa fare. Potete dialogare solo con quelli come voi, imitazioni latinoamericane della classe media a stelle e strisce. Non c’è alcun modo per voi di conoscere davvero i diseredati, dato che manca un qualsiasi terreno comune su cui incontrarvi.

Permettetemi di spiegare questa affermazione, e anche di spiegare perché molti latinoamericani coi quali sareste in grado di entrare in comunicazione non sarebbero d’accordo con me.

Supponiamo che andiate in un ghetto americano quest’estate e proviate ad aiutare i poveri “ad aiutare sé stessi”. Molto presto vi sputerebbero addosso o riderebbero di voi. Quelli offesi dalla vostra pretenziosità picchierebbero o sputerebbero; quelli che capiscono che è la vostra cattiva coscienza a portarvi lì riderebbero con sufficienza. Sareste costretti a rendervi conto in fretta della vostra irrilevanza tra i poveri, del vostro status di studenti universitari della classe media che fanno i compiti delle vacanze. Sareste brutalmente rifiutati, non importa se la vostra pelle è bianca, come la maggior parte delle vostre facce qui, o marrone o nera, come le poche eccezioni che in qualche modo sono riuscite a entrare qui dentro.

Le relazioni sul vostro lavoro in Messico che così gentilmente mi avete inviato trasudano autocompiacimento. Queste relazioni sulle scorse estati dimostrano che non siete nemmeno in grado di capire come il vostro far del bene in un villaggio messicano sia ancor meno rilevante che in un ghetto degli Stati Uniti. Non soltanto c’è un abisso tra ciò che avete voi e ciò che hanno altri molto più profondo di quello che corre tra voi e i poveri del vostro stesso Paese; ma c’è un abisso incommensurabilmente più grande tra ciò che voi provate e ciò che prova il popolo messicano. Ed è una distanza così radicale che in un villaggio messicano voi, da americani bianchi (almeno per cultura), potete immaginarvi e di fatto vi immaginate esattamente come un predicatore bianco vedeva sé stesso quando offriva in sacrificio la sua vita predicando agli schiavi neri in una piantagione dell’Alabama. Il fatto che viviate in capanne e mangiate tortillas per qualche settimana rende solo un po’ più pittoresco il vostro gruppo così pieno di buone intenzioni.

Le uniche persone con le quali potete sperare di comunicare sono alcuni membri della classe media. E qui ricordate per piacere che ho detto “alcuni”, intendendo con questo una minuscola élite in America Latina. Venite da un Paese che si è industrializzato presto e che è riuscito a integrare la grande maggioranza dei propri cittadini nelle classi medie. Non è una distinzione sociale, negli Stati Uniti, aver finito il secondo anno di università. Di fatto, ci passa la maggior parte degli americani ormai. Chiunque in questo Paese non abbia finito il liceo è considerato uno svantaggiato.

In America Latina la situazione è molto diversa. Circa il settantacinque per cento delle persone abbandona gli studi prima di arrivare alla sesta classe di scuola primaria. Quelle che hanno finito il liceo appartengono a una ridottissima minoranza. Una minoranza di questa minoranza prosegue con gli studi universitari. È solo tra questi ultimi che troverete i vostri omologhi a livello di istruzione.

La classe media negli Stati Uniti è maggioranza. In Messico, è un’infima élite. Sette anni fa il vostro Paese attivò e finanziò la cosiddetta “Alleanza per il progresso”. Era una “alleanza” per il “progresso” delle élite della classe media. È tra i membri di questa classe media che troverete qualcuno disposto a sprecare il suo tempo con voi. E saranno soprattutto quei “bravi ragazzi” ai quali piacerebbe a loro volta placare la propria coscienza in subbuglio “facendo qualcosa di buono per la promozione dei poveri indios”. Ovviamente, quando incontrerete queste vostre controparti messicane vi sentirete dire che state facendo qualcosa di prezioso, che vi state “sacrificando” per aiutare gli altri.

E sarà soprattutto il prete straniero a darvi conferme di questa vostra immagine di voi stessi. Dopotutto, il suo pane quotidiano e il suo senso della propria utilità dipendono dalla sua ferma fiducia in una missione della durata di un anno, non troppo diversa dalle vostre missioni-vacanze estive.

Esiste l’argomentazione che alcuni volontari siano tornati con la consapevolezza di aver fatto danno ad altri e in questo modo sono diventati persone più mature. Capita anche con minor frequenza di sentir dire che qualcuno di loro si renda ridicolo col suo orgoglio per i propri “sacrifici estivi”. Forse c’è qualcosa di valido pure nell’argomentazione secondo cui i giovani uomini devono essere promiscui per un po’, per scoprire che l’amore fisico raggiunge la sua massima bellezza all’interno di un rapporto monogamico. O che il modo migliore per lasciar perdere l’Lsd sia di provarlo per un po’, o magari che il modo migliore per capire che il tuo aiuto nel ghetto non è né necessario né desiderato sia di provarci e fallire. Io non sono d’accordo con questo modo di ragionare. Il danno che i volontari fanno volenti o nolenti è un prezzo troppo alto da pagare in cambio della presa d’atto tardiva che non si sarebbe dovuto essere volontari fin dall’inizio.

Naturalmente, per quelli di voi che sono perfettamente coscienti di utilizzare una certa organizzazione per farsi una vacanza spesati, e sono certo che sono pochi: voi non capirete questo ragionamento, perché il vostro intento è disonesto.

Se avete un briciolo di senso di responsabilità, restatevene con le vostre rivolte qui in casa vostra. Lavorate per le prossime elezioni. Può darsi che McCarthy perda, ma certamente se fate la campagna per lui saprete che cosa state facendo, perché lo state facendo e come comunicare con quelli con cui parlate. E, se fallirete, ve ne accorgerete. Se insistete nel lavoro coi poveri, se è questa la vostra vocazione, fatelo almeno con poveri che possano mandarvi al diavolo! È incredibilmente scorretto che imponiate la vostra presenza in un villaggio in cui siete linguisticamente sordi e muti al punto da non capire neppure cosa state facendo o cosa la gente pensi di voi. Fate un grave danno a voi stessi definendo come “bene”, “sacrificio” e “aiuto” qualcosa che semplicemente vi va di fare.

Sono qui per suggerirvi la rinuncia volontaria a esercitare il potere che vi dà l’essere americani. Sono qui per implorarvi di rinunciare liberamente, consapevolmente e umilmente al diritto che avete per legge di imporre la vostra benevolenza sul Messico. Sono qui per provocarvi a riconoscere la vostra impossibilità, la vostra impotenza e la vostra incapacità di fare il “bene” che avevate intenzione di fare.

Sono qui per scongiurarvi di usare il vostro denaro, il vostro status e la vostra istruzione per viaggiare in America Latina. Venite a vedere, venite a scalare le nostre montagne, a godervi i nostri fiori. Venite a studiare. Ma non venite per aiutare.

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