Un’altra fine del mondo è possibile
Se, durante i picchi di calore estivi, il ministro delle infrastrutture del governo italiano risponde alle preoccupazioni relative agli effetti del cambiamento climatico, minimizzandole e ridicolizzandole (“In estate fa caldo in inverno fa freddo”), la risposta dei movimenti ambientalisti e sociali non può che essere quella di un autunno caldo, di lotta, mobilitazione, discussione, proposta.
A questo autunno caldo vogliamo contribuire con le riflessioni ospitate in questo numero degli Asini. Apriamo la sezione con la lettera che centinaia di rappresentanti dei popoli indigeni del bacino dell’Amazzonia hanno scritto ai capi di stato dei paesi della regione in occasione dell’incontro che questi hanno tenuto a Belém, in Amazzonia, l’8 e 9 agosto. Una lettera nella quale essi rivendicano il loro ruolo di difensori dell’Amazzonia: “Senza di noi non ci sarà l’Amazzonia e senza Amazzonia non esisterà più il mondo come lo conosciamo”. Un documento politico in cui ambiente, identità e condizioni economiche e sociali di vita diventano un’unica lotta. Uno sguardo dal Sud del mondo è necessario per costruire la fittissima agenda di questo autunno, come prova a fare Caterina Orsenigo: un’agenda che ruota non solo attorno al World Congress for Climate Justice che si terrà a Milano a metà ottobre, ma anche alle mobilitazioni contro il vertice di FMI e Banca Mondiale, a Marrakech in ottobre, e in occasione della COP-28 di novembre a Dubai, in uno dei paesi in cui, per gli interessi legati al petrolio e per la mancanza di spazio democratico, per i movimenti ambientalisti sarà difficilissimo far sentire la propria voce.
Non esiste però solo il cambiamento climatico: pur importantissimo, questo tema rischia da un lato di fagocitare altre questioni altrettanto fondamentali (come i danni per l’ambiente e la salute umana provocati dagli sversamenti di inquinanti tossici) e dall’altro lato di essere, più facilmente di altri, “recuperato” da mass media e governi, con l’idea che per “risolvere” la crisi ecologica sia sufficiente una trasformazione tecnologica che mantenga inalterate le attuali strutture sociali ed economiche. La causa prima del problema non va individuata nel rapporto tra l’uomo e la natura ma nel rapporto tra l’uomo e l’uomo, scrive nel suo contributo Marino Ruzzenenti, nell’indicare il nesso inscindibile tra crisi ecologica e crisi sociale, che i movimenti ambientalisti non possono permettersi di dimenticare.
Che fare, allora? Lorenzo Velotti, dopo un’analisi della congiuntura attuale dei movimenti ecologisti europei, tra delusioni, radicalizzazione e tentativi di azione all’interno delle istituzioni, ricorda che bisogna “tenere insieme disobbedienza ecologista, lotte territoriali e comunalismo”, opponendosi alle grandi opere inutili e dannose e alle aziende inquinanti e al contempo impegnandosi pazientemente e lucidamente nella costruzione di alternative. E cercando, aggiunge Ruzzenenti, per quanto difficile e impervio, di monitorare e condizionare l’uso delle risorse pubbliche.
Due questioni più puntuali, ma non meno complesse e necessarie, emergono dalle interviste a Jaume Franquesa e Raffaella Veridiani. Franquesa, antropologo spagnolo, analizza come la cosiddetta “transizione energetica” realizzata a colpi di mega-impianti eolici si sia trasformata in una nuova forma di sfruttamento delle aree marginali, passando sopra la testa delle popolazioni coinvolte. Le energie rinnovabili sono necessarie, ma come vanno utilizzate? Un tema che si sta ponendo con forza anche in Italia, dall’Irpinia al Mugello. Veridiani riflette invece a partire dall’impegno solidale verso le popolazioni colpite dalle alluvioni di maggio in Romagna, un impegno che ha coinvolto centinaia di attiviste e attivisti: cosa abbiamo imparato da quelle settimane faticose? Le pratiche mutualistiche che vediamo emergere durante i disastri ambientali possono contribuire alla crescita di una consapevolezza ambientale e sociale più radicale?
Un ultimo tema riguarda gli immaginari e l’educazione. Su questo come Asini sentiamo di dover lavorare e riflettere con molta più attenzione e profondità; intanto, Matteo Gaspari ci propone un percorso di letture utili. “Un’altra fine del mondo è possibile”: la frase, che sembra ironica, è in realtà serissima. Il mondo non finirà, ma cambierà drasticamente. Probabilmente in peggio, dal punto di vista sia ambientale sia sociale. Per questo è urgente agire, ragionare, costruire, discutere, ma anche elaborare un immaginario e un’educazione differenti, per un mondo migliore.
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