Una risposta alle domande degli Asini sulla scuola
Quando voi Asini, e come voi , sono sicuro, tutta la vasta schiera della “scuola democratica”, dite che la scuola stessa “deve rispondere alle esigenze e agli interessi dei bambini e dei ragazzi” io mi chiedo: bene, ma chi lo stabilisce quali sono “gli interessi veri (mi raccomando: “veri”) dei bambini e dei ragazzi” ?
Quando voi Asini, e come voi , sono sicuro, tutta la vasta schiera della “scuola democratica”, dite che la scuola stessa “deve rispondere alle esigenze e agli interessi dei bambini e dei ragazzi” io mi chiedo: bene, ma chi lo stabilisce quali sono “gli interessi veri (mi raccomando: “veri”) dei bambini e dei ragazzi” ? Presumo che neppure la vostra fede nella bontà e nell’intelligenza innate degli esseri umani vi spingano fino a credere che possano essere i medesimi bambini e ragazzi. Che ne sanno infatti questi della vita, del mondo, della cultura, di se stessi, per poter dire quale educazione ed istruzione gli si confà? E allora? Allora non si scappa: sarà sempre qualcun altro a farlo in loro nome. E inevitabilmente secondo le proprie idee.
La verità che voi non riuscite a vedere è che la democrazia e l’istruzione, l’autonomia kantiana dell’individuo e l’educazione morale di un bambino/adolescente, sono ambiti che non hanno nulla a che fare tra di loro. Ogni rapporto educativo e d’insegnamento è fondato sull’autorità: e ogni autorità legittima presuppone e funziona su una disparità. Nel nostro caso su una scontata, diversa collocazione tra chi sta in alto, dietro una cattedra e chi in basso tra i banchi. Fingere che non sia così, e per esempio credere che per instaurare la “democrazia scolastica” basti togliere la predella sotto la cattedra rappresenta solo una patetica messa in scena.
C’era una volta, quando esisteva il marxismo, un vecchio saggio marxista, di nome Antonio Labriola. Un giorno gli chiesero quale sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto per educare alla libertà un selvaggio della Papuasia. “Lo farei schiavo”, rispose impavido Labriola. Aveva ragione. Nella mani di bravi maestri e insegnati (il punto chiave è bravi) la scuola non democratica, che voi Asini in omaggio al vostro nome giustamente aborrite, ha educato migliaia e migliaia di giovani agli ideali di libertà, di dignità, di eguaglianza. Migliaia e migliaia di giovani ribelli che hanno incendiato l’Europa otto-novecentesca. La vostra scuola, invece, sta facendo crescere una moltitudine di conformisti, passivi ricettori di ogni idiozia purché abbia il marchio di internet. Ma proprio voi avete pubblicato in una vostra controcopertina il testo della bellissima lettera che Albert Camus scrisse, reduce da Nobel, al suo maestro della scuola elementare di Orano confessandogli che doveva a lui tutto ciò che era riuscito a combinare di buono nella vita e nelle lettere. Giù la maschera, allora, amici Asini! Credete forse che quel maestro fosse un maestro “democratico”? o che non fosse invece un nobile rappresentante di quella scuola “disciplinante che impartisce nozioni e regole” a voi così sgradita? Figuriamoci!
E oltre nozioni e regole la scuola non democratica impartisce anche il disciplinamento sociale: che voi naturalmente aborrite al massimo grado. Ancora una volta sbagliando: a scuola si entra alle 8 e non quando ci fa comodo; per parlare si alza la mano; gli insegnanti e il personale vanno trattati con rispetto; se si vuole essere promossi bisogna studiare; i locali della scuola non possono essere imbrattati. Insomma, se si è parte di un collettivo, di una comunità, è necessario rispettarne le regole ; in caso contrario si è sanzionati. Questo è il “disciplinamento sociale”: come vedete non è esattamente una cosa da Goebbels, come voi nel vostro timore di bravi asini democratici paventate.
Ma non si tratta solo di questo . Il disciplinamento sociale consiste anche nel fatto che una società che si sottopone all’onere di sborsare miliardi per mantenere una scuola, non da ultimo lo fa – e a mio sommesso giudizio lo deve fare – anche per trasmettere alle nuove generazioni la propria cultura, il proprio retaggio di valori , la propria immagine di sé. E dunque, in qualche modo, per ratificare i dispositivi e la “morale” che di fatto la regolano, come voi di nuovo scioccamente paventate. Ma scuola pubblica è nata così, che vi piaccia o no, cari Asini: quando nel corso del XIX secolo i liberali decisero di strappare alla Chiesa la formazione delle giovani menti. Cioè per sostituire un monopolio con un altro: con una differenza però, la quale fa sì che anche noi oggi possiamo riconoscerci in quell’atto di forza, in quella scuola. E cioè che la scuola di impronta laico-liberale era (è) portatrice di una cultura, di valori, di un retaggio e di un’idea di sé, che avevano (hanno) un più o meno ampio margine di non dogmaticità, di discussione, di “argomentabilità”, di razionalità. Ed è questo che alla fine ne ha fatto (e ne fa, almeno fintanto che a voi incoscienti non riuscirà di distruggerla) una palestra di relativa libertà (la libertà, come qualunque altra cosa esiste solo in misura relativa). Mi sbaglio o non avete anche voi studiato tutti in quella scuola? E naturalmente con merito? Non c’è alcuna contraddizione. Perché è una scuola che ha sempre creduto, come io anche credo, che chi ha fatto buoni studi, chi ha letto in giovane età i libri giusti, ha imparato nozioni basiche su che cosa è la natura e su che cosa è l’uomo, costui sarà anche un buon cittadino. Dove buon cittadino non vuol dire un automa passivamente convinto della bontà comunque della legge e dell’ordine, ma un essere umano capace di voler dire la sua, di ribellarsi, perfino di prendere le armi se occorre.
A me piacerebbe che anche i giovani alunni di origine straniera potessero frequentare con profitto questa scuola, a voi no? Se poi, come voi sottolineate, essi fanno registrare un deficit fisiologico rispetto al livello di apprendimento dei loro compagni italiani, questo è un problema molto serio di cui le autorità scolastiche devono farsi obbligatoriamente carico. Ma non abbassando quel livello, o rinunciando a sanzionare chi non lo raggiunge. Fare così significherebbe solo buttare il bambino con l’ acqua sporca. Significherebbe null’altro che truffare i ragazzi di origine straniera , i quali uscirebbero dalla scuola convinti di avere ottenuto la medesima istruzione dei loro compagni nati a Vicenza o a Poggibonsi, e non si accorgerebbero di aver ricevuto invece solo una pietosa elemosina.