Una passeggiata rigeneratrice “intorno” a Corvetto

La guerra dei muri
Il quartiere Corvetto ha una grande peculiarità rispetto al resto di Milano: i suoi muri parlano, sono una superficie vivente e cosciente che dà espressione al conflitto e provoca il pensiero critico degli abitanti. Passeggiando tra le sue strade, lo sguardo viene catturato da un complesso sistema di cancellature e riscritture, un palinsesto di voci che si sovrappongono e tentano di sopraffarsi l’una con l’altra. Ma chi ha avuto l’occasione di osservare questo mosaico di superfici verticali in modo diacronico è in grado di trarne un racconto animato.
Appena montato l’albero di Natale in Piazzale Corvetto, a fine 2022, un grande striscione con la scritta «STOP GENTRIFICAZIONE» è stato calato proprio sopra il murales “di quartiere” dipinto un anno prima da Pablo Pinxit Compagnucci e Lillo Loris sul cavalcavia dell’autostrada del Sole, commissionato nell’ambito della campagna Neighbourhood by neighbourhood promossa da Milano & Partners (l’agenzia di promozione ufficiale della città all’origine del brand YesMilano che ha messo in piedi, oltre a una piattaforma di comunicazione, un sistema di bandi per sviluppare l’identità dei quartieri attraverso street art “partecipata” ed eventi) e dall’Ufficio Arte negli Spazi Pubblici del Comune con il contributo di Fondazione di Comunità Milano, un’emanazione di Fondazione Cariplo.

La dialettica visiva tra il recente intervento di street art – il nome “Corvetto” in caratteri coloratissimi e graficamente curati, affiancati da stencil che rappresentano una serie di icone della zona e la scritta sul lenzuolo spiegazzato è la trasposizione perfetta del conflitto comunicativo aperto negli ultimi anni. Da un lato il linguaggio positivo, propagandistico, utilizzato dei fautori dei piani di riqualificazione, che con le cromie brillanti e i simboli identitari cerca di coprire il “grigio” e lo “squallore”, di mostrare un’attenzione alla “comunità” da parte di chi governa e di ottenere il consenso e la partecipazione, se non degli abitanti, delle associazioni che agiscono sul territorio. Dall’altro gli scarni e diretti messaggi, in gran parte attribuibili a un noto gruppo anarchico di Corvetto, che demistificano questa retorica, istituendo un legame diretto tra i programmi di rigenerazione, sia dal basso che dall’alto, e la gentrificazione, con conseguente espulsione degli abitanti.
A scandire questa battaglia sono i tempi di programmi, bandi e progetti, mentre ad animarla sono i discorsi e le pratiche che vi prendono forma, nell’intreccio di azioni dall’alto e dal basso che danno forma a una rigenerazione selettiva e precaria. Sotto la retorica del gioco a somma positiva (vincono gli investitori e vince anche “il quartiere”), questa riqualificazione è intessuta di rapporti di forza squilibrati tra grandi investitori e banche cui il Comune cede la regia delle operazioni e piccole associazioni e medie cooperative in cerca di finanziamenti per le proprie azioni vecchie e nuove. L’intraprendenza sociale diffusa, ma pur sempre concentrata in poche mani in un quartiere tanto popolato e abitato da popolazioni escluse dal gioco dei bandi, finisce così in un gorgo autoreferenziale, mentre la maggior parte della popolazione assiste allo spettacolo contraddittorio di degrado e riqualificazione, sperando di cavarsela in qualche modo.
L’epicentro di questa battaglia è piazzale Ferrara, posto al confine tra l’area di Brenta/SouPra (South of Prada) – vale a dire il grosso trapezio tra Corso Lodi, lo Scalo di Porta Romana, via Ripamonti e via Quaranta-Marco D’Agrate preso d’assalto dalla ventennale valorizzazione avviata dalla Fondazione Prada e da Covivio-Symbiosis e poi dai progetti legati in modo diretto e indiretto alle Olimpiadi 2026 – e l’area delle case popolari estesa fino a Parco Sud e Porto di mare-Rogoredo, ancora da gentrificare. Questo spazio è stato oggetto di molte politiche incrociate: il piano di riqualificazione dei Mercati Comunali; il programma di urbanistica tattica delle Piazze Aperte, promosso da AMAT (Agenzia Mobilità Ambiente e Territorio) insieme alla Bloomberg Associates, volto a trasformare lo spazio pubblico in modo temporaneo attraverso la pedonalizzazione di piccole aree, la colorazione dell’asfalto e qualche panchina e tavolo da ping pong; la costruzione di uno studentato del Politecnico all’angolo con via Polesine; i diversi interventi di Fondazione Cariplo attraverso il programma LaCittàIntorno, pensato insieme al Comune e al Politecnico per catalizzare diversi interventi pubblici e privati sui quartieri di Corvetto, Via Padova e Crescenzago, attivare le reti dell’associazionismo e le comunità; la Scuola dei quartieri lanciata dall’assessorato allo Sviluppo economico e Politiche del Lavoro del Comune di Milano; infine il programma di rigenerazione Corvetto Universal City finanziato dal CIPE, elaborato dal Comune insieme alla Fondazione Housing sociale per “integrare i servizi pubblici della casa e il sistema di welfare territoriale”, cioè in sostanza orientato a introdurre housing sociale nei quartieri di edilizia pubblica.
Quando nel febbraio 2020 il sindaco Sala arrivò per partecipare all’inaugurazione della Cucina Condivisa, il nuovo punto di aggregazione della rete di associazioni del progetto Made in Corvetto all’interno del mercato comunale sito nella piazza, fu accolto da una serie di scritte ostili – «La riqualificazione è il nuovo business di Cariplo», «Fanno la guerra ai poveri e la chiamano riqualificazione», «Beppe Sala infame. Tornatene nei quartieri di lusso» – apparse a coprire i rassicuranti fiori e arcobaleni dipinti qualche tempo prima durante una festa organizzata da alcune associazioni attive da tempo nel quartiere. Il sindaco aveva allora risposto furioso ai contestatori del collettivo anarchico del quartiere, elevando Fondazione Cariplo al ruolo di intoccabile soggetto benemerito: “Come si permettono? Quando avranno dato alla città un’unghia di quello che ha dato Cariplo potranno parlare, prima stiano zitti”, per concludere in modo imperioso: “toccate me, ma non chi, come la Fondazione Cariplo, ha fatto tanto per la città”.

Da allora molte mani di vernice si sono sovrapposte, al mercato e nelle vie circostanti, ma periodicamente le scritte ricompaiono – «Politecnico milanese sgomberi a vostre spese» (riferito allo studentato in costruzione), «–riqualificazione+case occupate» – e si diffondono nelle strade del quartiere ERP Mazzini: «Il quartiere è di chi lo abita. Fuori sbirri e palazzinari», «Restare a casa? MM e ALER sgomberano comunque», «Se il quartiere vuoi riqualificare tanti poveri devi cacciare», fino al recentissimo «Fuck Olympics» nei pressi dello Scalo. Nel frattempo, anche la vicina piazza Angilberto ha subito diverse metamorfosi, attirando prima le strisce colorate sull’asfalto e il ping-pong delle Piazze Aperte e poi un gigantesco murales dell’artista olandese ZEDZ, commissionato dall’Ufficio Arte Pubblica ora coordinato con il Mudec e OrticaNoodles, una coppia di Street artist che si è trasformata in una startup di marketing urbano, specializzata in arte pubblica portatrice di messaggi edificanti sponsorizzati da aziende in cerca di investimenti responsabili” (che la neolingua del mondo economico indica con l’acronimo ESG: Environment, Social, Governance). Poco più in là, i disegni ormai un po’ sbiaditi sulla facciata dell’ex centro sociale Corvaccio, tra via Ravenna e via S. Dionigi, sono semicoperti da una palizzata sgargiante con su scritto, in mezzo a personaggi da cartoon, «Ridisegna il tuo mondo», frutto di un Patto di collaborazione tra il Comune e la società “Brand for the city”: si tratta del progetto “Giardino dei desideri”, che per trovare maggiore legittimazione ha coinvolto i bambini della scuola Fabio Filzi.

A un passo da piazza Gabriele (Gabrio) Rosa sono infine comparse delle figure in stile Banksy sul muro esterno alla sede della cooperativa La strada, promosse dall’associazione Sentieri educativi, mentre a pochi metri troneggiava – beffa alle polemiche sul “degrado” affiorate sui giornali e i social in nome del decoro – «Le scritte sui muri fanno abbassare gli affitti».
Il mercato tra i due scheletri
Se dal mercato ci spostiamo verso sud, troviamo un grande palazzo di edilizia popolare, i cui muri sono un puzzle incongruo: al primo piano la facciata color giallo crema dello stabile popolare riqualificato fa a pugni con i mattoni di cemento grezzo che ne murano le finestre. Dal secondo piano in su le finestre sono aperte e la facciata, ancora in discrete condizioni fino al quarto piano prima di sfogliarsi in prossimità del tetto, stride invece con quel che si intravede degli interni, consumati dall’umidità. Il palazzo – nuovamente cinto da impalcature proprio mentre pubblichiamo questo articolo – è in queste condizioni da circa dieci anni, anche se è difficile trovarne traccia nelle cronache cittadine.
Una specie di congiura del silenzio fa sì infatti che l’unico palazzo vuoto della piazza a trovare spazio sulle pagine di cronaca milanese sia quello, ancora di proprietà di Aler (Azienda lombarda edilizia residenziale Milano), che si trova sul versante nord della piazza, all’angolo tra via Polesine e via Mincio. Per anni “scheletro” in costruzione lasciato in stato di abbandono, dal 2021 – dopo il fallimento nel 2012 delle ditte che avrebbero dovuto realizzare il progetto precedente, scaturito dalla stagione dei Contratti di quartiere dei primi anni 2000 – ha visto ridefinirsi il proprio destino. Regione, Aler e il Comune hanno affidato il completamento dell’opera al Politecnico di Milano, che avrà una concessione trentennale sull’edificio, e vi realizzerà uno studentato con 213 posti. I piani terra saranno destinati ad attività di interesse pubblico ancora in via di definizione e non più, come previsto inizialmente, alle attività commerciali del Mercato Comunale.
Dopo aver in un primo momento deciso di demolire del tutto l’edificio del Mercato in mezzo alla piazza per creare un grande spazio pubblico aperto, negli ultimi anni il Comune ha preferito orientare la sua trasformazione verso uno spazio ibrido, nel senso di pubblico-privato e al tempo stesso multifunzionale: un mix di commercio diretto, consumo e attività del Terzo settore, analogamente a quanto, con formule diverse, ha già fatto o sta facendo in altri mercati, per esempio quello di Piazzale Lagosta a Isola o di Piazzale Selinunte a San Siro.

Si tratta di una forma di rigenerazione che ha avuto effetti molto negativi sui commercianti storici della struttura. «Noi siamo qua dentro da decenni» dice Fulvio F., titolare di uno dei due ultimi negozi rimasti aperti «e abbiamo assistito a un cambiamento radicale nell’atteggiamento del Comune: da che ci considerava un servizio per la popolazione residente, e controllava che non chiudessimo negli stessi giorni per non lasciarla sguarnita di un presidio fondamentale, a un certo punto ha smesso di mettere a bando gli stalli vuoti. Prima eravamo ventuno: tre salumerie, tre fruttivendoli, tre macellerie e altri negozi vari, ma poi a mano a mano che si svuotavano nessuno poteva rimpiazzare i vecchi perché c’era incertezza sul futuro e nessuno apre un negozio se forse dopo un anno deve chiuderlo. C’è stato solo un bando due o tre anni fa, ma della durata di un anno, ed è andato deserto. Hanno detto che sono costretti a ripensare lo spazio perché il commercio al dettaglio non funziona più, ma non è vero: sono loro che l’hanno ucciso, anche lasciando il palazzo ALER qua di fronte vuoto. Adesso nel giro di qualche mese sappiamo che dobbiamo chiudere anche noi. Hanno detto che abbatteranno il mercato, non ci è chiaro cosa faranno e quali possibilità saranno date a noi».
E in effetti la lettura è coerente: le case di Edilizia Residenziale Pubblica (ora SAP, Servizio Abitativo Pubblico) vengono con ogni evidenza lasciate degradare, e quelle poche riqualificate restano inspiegabilmente non riassegnate, mentre si alimenta la costruzione di studentati, attrattori di una popolazione temporanea, giovane e più adatta al consumo. Il mercato dovrebbe diventare a questo punto un hub al servizio di questi abitanti short-term, che costituiscono un capitale umano ideale per penetrare in modo molecolare il quartiere identificato come “difficile” e cambiarne il dna.
La somma di questi interventi è un tipico esempio all’italiana di quella “politica dei quartieri” di cui parla – in modo fortemente critico – Sylvie Tissot nel suo libro L’état et les quartiers: un modo di pensare e trattare i problemi sociali a partire dalla situazione di territori specifici, i “quartieri sensibili”, dirottando l’attenzione e i finanziamenti dalla più ampia lotta alle disuguaglianze e alla discriminazione verso le politiche territorializzate della partecipazione. Lo Stato ha così rinunciato alla redistribuzione per trasformarsi in uno “Stato animatore”. Ma questa animazione effimera e spesso poco attraente per i supposti destinatari, risulta – come già evidenziato ne L’ultima Milano da Lareno Faccini e Ranzini proprio a proposito di Corvetto – nel migliore dei casi inefficaci e nel peggiore controproducenti per la vita dei residenti fragili.
Le finestre rotte e la palazzina riqualificata
Tra piazza Corvetto e Piazza Rosa si estende per circa 150 metri viale Martini. Sul suo marciapiede sinistro si trova un muro semi-spoglio: fino al 2020 e al 2021, quel muro ha a lungo portato la scritta «A Rogoredo la polizia spara», con riferimento ad alcuni episodi di violenti allontanamenti compiuti dalle forze dell’ordine alla stazione di Rogoredo. Davanti a quel muro e a quella scritta, inoltre, si sistemano spesso durante il giorno dei venditori di vestiti usati, insieme ad altri che vendono saponi e profumi, scarpe, pattini e materiale elettrico di seconda mano, soprattutto caricatori per cellulari e cuffie. Nelle ore serali il marciapiede ospita furgoncini con cucina latinoamericana e nordafricana, poco distanti da alcuni gruppi di spacciatori.
Contro i venditori di merce di seconda mano si verificano di tanto in tanto blitz della Polizia Locale, e una serie di campagne sulle social street. Tra i protagonisti di queste campagne troviamo un soggetto non nuovo a iniziative di questo genere: direttore di una nota rivista d’arte, e da qualche tempo residente in quartiere, che a Roma aveva orchestrato varie campagne “contro il degrado” sotto lo slogan «Roma fa schifo». Tra il 2021 e il 2022 affida alla social street diverse fotografie che ritraggono “il degrado” della zona (panchine danneggiate, scritte sui muri, rifiuti), cercando di inquadrare la diffusa insoddisfazione per le condizioni di alcuni spazi pubblici del quartiere (in particolare lo spaccio diffuso in piazza Rosa) nel frame comportamentistico della “teoria delle finestre rotte”, ripetutamente invocata per spiegare sporcizia per strada e micro-criminalità e per invocare il pugno di ferro contro i responsabili. In un post del 2021, per esempio, accompagnato da un video girato in bicicletta sulla pista ciclabile che corre lungo la via, offre ai lettori queste considerazioni: «A proposito di Teoria delle Finestre Rotte. Se consenti ogni santo giorno che Viale Martini si trasformi in un suq con rivendita abusiva di oggetti trovati nei cassonetti della spazzatura o provento di furti, allora non puoi sorprenderti che poco più in là venga considerata la cosa più normale del mondo spacciare in piena libertà. Le cose vanno assieme». Unica soluzione: cacciare i venditori abusivi dal perimetro del quartiere civile (i pochi commenti al video riportano altri episodi di illegalità tollerata come il mancato rispetto della raccolta differenziata nei palazzi – traducendo la teoria americana in milanese: «rumenta [spazzatura] chiama rumenta»).

Sull’altro lato della strada spicca, oltre a una serie di esercizi commerciali di riferimento per il quartiere, una palazzina d’epoca (due piani, mattoni a vista) che nell’ottobre 2022 ha rivisto la luce dopo una lunga ristrutturazione. Nel giro di pochi giorni appare su uno dei suoi balconi l’insegna che ne pubblicizza la vendita: se ne occupa Dire Immobiliare, specializzata in “dismissioni immobiliari” e nella gestione di investimenti immobiliari in Italia per conto di fondi nazionali e internazionali. Sulla social street, la vendita è pubblicizzata così da un post del già citato giornalista e ciclista anti-degrado: «Questa agenzia ha iniziato a commercializzare le case del grazioso palazzetto restaurato su Viale Martini angolo Gabrio Rosa. I prezzi sono attorno a 5.5/6000 euro al metro quadro». I numerosi commenti che seguono coprono ad ampio raggio i nodi fondamentali di un quartiere “in trasformazione”, con la diversità di interessi e sensibilità degli abitanti del quartiere, vero campo di battaglia della guerra dei muri che descriviamo in questo articolo: l’incredulità sfiduciata di chi sostiene che, date le condizioni del quartiere, nessuno comprerà quelle case; le speranze di “rimbalzo” dei prezzi e rivalutazione del proprio appartamento da parte di piccoli proprietari; la speranza di una riqualificazione guidata da queste operazioni che “faccia pulizia” in quartiere; le preoccupazioni per i rischi di espulsione degli abitanti più poveri, compresi precari ad alto capitale culturale che già faticano a pagare un affitto.
Lusso e cultura: le vie della rigenerazione “pesante”
Le rispettive speranze e paure sono tutte più che ragionevoli. La growth machine innescata da Prada a inizio millennio sta procedendo meglio di quanto allora si potesse immaginare, esercitando una pressione fortissima sugli abitanti. La cittadella della Fondazione progettata da Rem Koolhaas, affacciata sull’ex scalo ferroviario di Porta Romana da riqualificare, ha cominciato a valorizzare i terreni a sud dell’area prima ancora che il cantiere fosse aperto. Del Vecchio di Luxottica li ha acquistati con Beni Stabili, la sua società immobiliare, che poi attraverso fusioni è diventata Covivio e ha dato vita al progetto Symbiosis, cioè alla trasformazione di capannoni in headquarters di extralusso. Manfredi Catella, CEO di Coima, dopo avere investito sull’area di via Ripamonti, ha unito le forze con Prada e Covivio per aggiudicarsi la vittoria al concorso per le Olimpiadi Milano Cortina 2026, non casualmente localizzate tra lo scalo Romana e lo Scalo Rogoredo. L’acquisizione dell’area da Gruppo FS, per un valore di 180 milioni di euro, è stata in parte finanziata da Intesa San Paolo attraverso un Sustainability-linked Loan, ovvero uno strumento che “incentiva” l’azienda che lo riceve (in questo caso il fondo Coima ESG City Impact) a fissare e raggiungere e comunicare i propri obiettivi di sostenibilità . La morsa della rendita avanza sul Corvetto da nord e da sud-est.
Il migliore punto di osservazione per osservarne gli effetti è la bianca torre di Prada: a mano a mano che si sale di livello, dai tulipani di Jeff Koons alle mosche morte di Damien Hirst, si legge meglio la geografia presente, passata e futura. Le ruspe già disegnano le aree del villaggio Olimpico e del parco, e al suo esterno si vedono i cantieri della torre A2A e dell’ex Consorzio Agrario che Hines sta trasformando in studentato (la tipologia più redditizia per i developer). Dal lato opposto Symbiosis ha già realizzato la sede di Fastweb e il sistema di spazi pubblici (specchi d’acqua, ciuffi di graminacee e spiazzi per tavolini) che attraversa l’area verso sud, fino ai cantieri della sede Snam (Piuarch), di LVMH (Louis Vuitton) e Moncler (Citterio Viel), e a Vitae, il centro di ricerca oncologica di Carlo Ratti, oggetto di un concorso C40 Reinventing Cities (“il network globale di sindaci delle città leader del mondo, unite nel contrasto della crisi climatica”).
Proseguendo a piedi lungo via Gargano si scopre però che accanto ai grossi edifici corporate stanno spuntando come funghi le residenze di lusso che pubblicizzano “nuove comunità”, degli spazi aperti privati, del verde da godersi in pace. E, immancabile, è arrivato il mondo dell’arte: la galleria Viafarini ha comprato un capannone in via Marco D’Agrate, dove come di rito promuove arte partecipata con le associazioni del quartiere. Brenta pullula già di locali come il Madama o spazi colti come ReadingRoom, e attraversato viale Lodi ci si imbatte, proseguendo verso Rogoredo, in nuovi agenti gentrificatori come la galleria Zero che ha preso il posto del locale Dude, lo spazio a vocazione architettonica Dopo, vincitore di un bando Scuola dei Quartieri per animare la scena culturale con le reti di Corvetto, e poi il coworking nell’ex Gavazzi.
Rogoredo-Santa Giulia è il luogo del riscatto: dal più grande fallimento degli anni 2000, quando il progetto di Foster naufragò in mezzo agli scandali di corruttela, bancarotte e bonifiche mancate, e dal cosiddetto Bosco della droga, piazza di spaccio e consumo di eroina recentemente bonificata (e l’attività respinta sotto i piloni del raccordo autostradale) grazie a Italia Nostra. Le strutture olimpiche a venire stanno attirando progetti per una sede e studentato del conservatorio, e poi ancora housing sociale.

Conclusioni
Siamo partiti dalla guerra dei muri e ne abbiamo dato uno spaccato attraverso il contrasto tra le scritte a spray e i murales di “arte pubblica” legati a progetti ed eventi di riqualificazione.
Abbiamo visto che questa guerra si gioca sulla tenuta dell’alleanza tra strategie dall’alto e dal basso e conviene, in conclusione, far notare gli spazi in cui quest’alleanza si cementa: per accennare agli schieramenti attuali ma anche per suggerirne le contraddizioni e i punti ciechi.
In primo luogo, guardando al fronte dei grandi attori finanziari e immobiliari, va sottolineata la concordanza tra l’azione delle “case madri” e quella dei loro bracci filantropici (grazie anche all’ombrello dell’ “Impact Investing”). La situazione è molto chiara rispetto a Intesa Sanpaolo. Dal lato for-profit, la banca finanzia, peraltro con uno strumento di “finanza sostenibile”, il Fondo (a sua volta “sostenibile”) che ha comprato i terreni dello Scalo di Porta Romana). Dal lato non-profit, Fondazione Cariplo (sua azionista di controllo quasi alla pari di Compagnia di San Paolo, che partecipa al fondo COIMA ESG City Impact Fund sui progetti di Housing sociale, e insieme a questa leader dell’insieme delle Fondazioni di Origine Bancaria) ha un ruolo centrale in tutti i progetti di riqualificazione dal basso: La Cittàintorno, i Patti di collaborazione, i bandi C40, le Piazze Aperte, gli eventi culturali a matrice innovativa o partecipativa del quartiere, talvolta direttamente, talvolta indirettamente attraverso il sistema di Fondazioni derivate (per esempio Fondazione di Comunità) e partecipazioni incrociate ai fondi pubblico-privati (per esempio FIA, FIL per l’housing sociale). Si tratta, come abbiamo visto, di una serie di azioni molecolari che, a giudicare dagli effetti reali sugli abitanti del quartiere, sono da capire più come una ri-brandizzazione di Corvetto da capire in connessione con gli investimenti della banca di cui la fondazione è azionista
COIMA stessa, leader dell’operazione immobiliare di Scalo Romana ha schierato per l’occasione – come abbiamo mostrato – il proprio braccio “sostenibile”, ovvero il Fondo Coima ESG City Impact. Questo le ha permesso di attirare investimenti da parte di investitori istituzionali quali i fondi pensione (Fondazione ENPAM, la cui casa madre ha dismesso tra il 2021 e il 2022 un complesso residenziale ai margini di Corvetto, vendendolo ad Apollo Global Management per affidarlo poi a InvestiRE Sgr, Inarcassa, Cassa Forense, Cassa dottori commercialisti), la Cassa Depositi e Prestiti (anch’essa a sua volta partecipata al 15% dalle Fondazioni di Origine Bancaria) e soggetti pubblici (Invimit, RFI, Regioni, Comuni, aziende pubbliche) e catturare così i finanziamenti pubblici, dal PNRR ai fondi per l’housing sociale.
La medesima strategia “ibrida” tra profit e non-profit è portata avanti da Snam, che da un lato costruisce i lussuosissimi headquarters nell’area Symbiosis, e dall’altro, con la sua Fondazione, si inserisce nei Patti di collaborazione per Piazzale Ferrara, finanziando le piante d’arredo.
In secondo luogo, l’attenzione va portata sul terzo settore, “rappresentante della comunità” secondo la narrazione dominante e attore centrale nel rebranding LaCittàIntorno guidato da Fondazione Cariplo – È un insieme di organizzazioni diverse, con storie lunghe e brevi in quartiere, con vocazioni diverse, strutturalmente legato al mondo delle partnership pubblico-privato e fino ad ora privo di una voce e una progettualità propria sullo sviluppo del quartiere che non sia la propria stessa sostenibilità economica di breve periodo.
A cucire insieme i due mondi, una rete di expertise delle politiche urbane ed economiche della città cui il Comune si affida tanto per le retoriche quanto per la costruzione di alleanze politiche e d’impresa. Questa rete si articola in almeno due famiglie: da una parte le grandi o piccole società di consulenza, drammaticamente esposte alle leggi del mercato del consulting (sono i gestori del Laboratorio di Quartiere, i valutatori o formatori dei diversi progetti sociali e urbanistici, i consulenti/progettisti che hanno lavorato con la Fondazione Cariplo per i suoi diversi interventi, gli “incubatori di impresa”), e dall’altra le grandi università (soprattutto il Politecnico, ma anche la Bocconi con il suo PNRR Lab), che viaggiano sullo stesso doppio binario degli investitori sopra richiamati. Dal lato “istituzionale” infatti vediamo il Politecnico coltivare il proprio ruolo di buon consigliere e consulente dell’amministrazione ma anche di sviluppatore immobiliare con la costruzione dello studentato di piazza Ferrara, dall’altro promuove attività di “responsabilità verso il territorio” (a fine 2022 ha aperto anche a Corvetto un OFF Campus, iniziativa di “relazione con il territorio” generalmente attiva nella promozione di “progetti dal basso” come quelli già richiamati). In entrambi i casi, non sono pervenuti segnali di un ruolo critico di quest’istituzione universitaria rispetto ai processi in corso.
In mezzo a queste alleanze sta la gran parte della popolazione del quartiere che, per un verso, vede la coesistenza di piccole isole di rinnovamento (spesso effimere come il caso del mercato mostra con chiarezza) e di zone costantemente abbandonate al degrado fisico, alla piccola criminalità e alla solitudine e per altro verso, vede crescere i costi al metro quadro e aumentare gli affitti, fino a venire espulsa dal mercato immobiliare locale. Una popolazione inoltre che, come testimoniano i brevi accenni alle social street, fatica a condividere un’immagine del quartiere che metta d’accordo il proprio interesse privato e una visione collettiva, frammentata in interessi particolari (con molte faglie di classe, genere e nazionalitù di origine) o semplicemente intenta a tirare avanti, tra una festa di quartiere e una scritta sul muro. Ma nonostante tutto la coscienza delle contraddizioni poste dalla rigenerazione, soprattutto sul piano degli effettivi destinatari delle trasformazioni, comincia lentamente a diffondersi.
Il quadro che ne risulta pone con grande urgenza un nuovo protagonismo delle politiche pubbliche, sia sul piano della proprietà immobiliare sia su quello della gestione dei servizi e del welfare, e in subordine delle forme di governo delle partnership pubblico-privato capace di servire effettivamente l’interesse della collettività tutta, in nome dei principi dell’uguaglianza materiale e della giustizia sociale.