Sento l’obbligo morale di mettere
in discussione la soluzione dei due stati

Conosco bene tutti gli argomenti a favore della soluzione dei due Stati, ed è per questo che sento il diritto e persino l’obbligo morale di mettere in discussione questa posizione quando vedo crescerne l’impossibilità davanti alla cupa realtà della Cisgiordania. E sono contento di vedere molte persone nel campo pacifista avanzare varie proposte nello spirito degli articoli che i miei colleghi ed io abbiamo pubblicato negli ultimi anni.
L’identità ebraica (qualunque cosa essa significhi) esiste da migliaia di anni come quella di una piccola minoranza tra persone numerose e potenti, e non c’è motivo per cui non dovrebbe persistere in uno stato israeliano nonostante ci sia una minoranza palestinese molto ampia, tanto che lo si potrebbe definire uno stato binazionale. Nel 1976 non c’era un solo palestinese a Gerusalemme, la capitale di Israele, mentre ora i palestinesi che vi risiedono sono circa 300mila. L’identità ebraica di Gerusalemme è diminuita o aumentata? Molti direbbero che l’identità ebraica di Gerusalemme sia solo aumentata, e che certamente non sia diminuita. Prima del 1967 Israele era anche un paese con un’ampia minoranza palestinese, con propri diritti speciali.
I palestinesi non sono né lavoratori migranti africani né rifugiati siriani; sono nativi di questo paese, da molte generazioni. La maggior parte di loro conosce l’ebraico, comprende e condivide i codici culturali israeliani. Con loro si potrebbe creare un partenariato reciprocamente vantaggioso. Non mi aspetto la visione della pace dei profeti che non è mai esistita nella storia ebraica, ma piuttosto uno status quo umano che fornisca cittadinanza a tutti.
Il sionismo ha avuto successo nonostante le più cupe previsioni e si è realizzato nonostante l’opposizione della maggior parte del popolo ebraico. A mio parere ciò deriva dalla sua tensione verso un principio morale che richiede agli ebrei di assumersi la piena responsabilità delle loro azioni e del loro destino all’interno di un territorio indipendente, e non rimanere un’appendice per altri popoli.
Credo che la pletora di insediamenti e l’annessione di Gerusalemme Est abbia distrutto la possibilità di una divisione ragionevole ed equa della Terra d’Israele tra i due popoli. Pertanto, dobbiamo trovare una soluzione in un partenariato che sia il più possibile sostenibile ed equo, sulla falsariga di quello che ha preso forma con i palestinesi israeliani dopo il 1948 e che si sta formando con i palestinesi di Gerusalemme est. Ci sono mille problemi in questi “partenariati”, ma le parti non sembrano volerli smantellare. Del resto tutti gli esperti ritengono che anche se dovessimo separarci in due Stati, ci sarebbero infiniti punti di contatto e di attrito – oltre che di partnership – tra i due popoli, tanto più che lo Stato palestinese sarebbe immediatamente inondato da un milione di rifugiati provenienti dalla Giordania.
Non dimentichiamo che questi piani sono solo tentativi di districarci dalla palude morale in cui stiamo sprofondando. Eppure, nonostante tutto ciò che è scritto qui, se una forza politica potesse dimostrarmi con le parole e con i fatti che in fondo è possibile separarsi in due stati, in un modo ufficialmente accettabile da entrambe le parti, sarei pronto a gettarmi nel fuoco per perseguire questa soluzione.
[Questo articolo è stato pubblicato su Haaretz il 20 dicembre 2021 e ripubblicato sullo stesso quotidiano in seugito alla scomparsa di Yehoshua]
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